La responsabilità sociale del filosofo: Giuseppe Prestipino e …

e l’annosa questione del rapporto élite-popolo.

di Giorgio Riolo

Non è un caso, per Prestipino e per chi scrive, che si prenda a prestito da Lukács il titolo di un saggio del pensatore ungherese pubblicato postumo. Per designare una nozione fondamentale, di cui si dirà, e per prendere le mosse per un breve ricordo del filosofo e militante italiano, “socialista e comunista”, come amava definirsi, recentemente scomparso. La cui personalità era così particolare, così composta e misurata, così rigorosa, così aliena da narcisismi, pose, sicumere, opportunismi, aspetti molto diffusi nel mondo intellettuale e nel mondo politico, anche a sinistra, tanto che molti di noi lo considerano come modello di intellettuale militante a cui ispirarsi.

Il primo colloquio con lui mi colpì molto. In un convegno del 1985 per il centenario della nascita degli amati e studiati Lukács e Bloch, alla mia osservazione sconfortata del fatto che i dilaganti postmoderno, pensiero debole, Heidegger, Nietzsche ecc. avessero fatto breccia anche a sinistra, come momenti costitutivi e fondamentali per molti intellettuali in quell’area collocati, pacatamente, sobriamente Prestipino mi ricordava che “è colpa anche nostra” per quello che stava accadendo. Intendendo con ciò che molto marxismo ferreo e granitico, scolastico, autoreferenziale, semplificato e piatto, che ci stava alle spalle, improntato allo scientismo, all’economicismo, al determinismo ecc avente i caratteri del “sapere assoluto”, produceva l’effetto della dinamica opposta, del pendolo storico della fuga nel “relativismo culturale”, nella ricerca di un pensiero più alla moda. Poi, soprattutto dopo il fatidico 1989, avremmo designato quella deriva postmoderna come «egemonia culturale della filosofia complessiva del neoliberismo».

Prestipino, con altri studiosi marxisti, si muoveva invece avendo in sé gli anticorpi per evitare le speculari derive del “sapere assoluto” e del “relativismo culturale”. Si trattava della salutare e assidua frequentazione degli scritti di Gramsci, Lukács, Bloch. E, sottolineatura personale, della salutare formazione complessiva umanistica che considerava la letteratura e i grandi classici come componente decisiva della formazione politica.

Avendo in sé, inoltre, gli anticorpi del continuo riferirsi, nella propria elaborazione teorica, al corso storico reale, all’impegno politico e sociale.

Prestipino aveva una sensibilità politica e sociale che gli veniva dalla sua formazione e dalla sua militanza politica. Prima nel Pci, già dagli anni quaranta. Dal suo impegno come consigliere regionale nella Assemblea Regionale Siciliana (era nato nel 1922 a Gioiosa Marea in provincia di Messina) e dal suo far parte del Comitato Centrale del partito e poi, dalla fine degli anni novanta, nel Prc, dopo il tragico coinvolgimento nel 1999 del governo D’Alema nella sciagurata Guerra dei Balcani.

Tra i suoi numerosi libri e saggi, cito qui solo il fondamentale Realismo e utopia. In memoria di Lukács e Bloch del 2002 (presso Editori Riuniti) come modello di rigorosa elaborazione propriamente filosofica ma con la continua, feconda, necessaria interazione con la storia, la società, la politica, agita e non solo studiata. È un libro impegnativo, anche nelle dimensioni, ma Prestipino è riuscito a cogliere bene, entro un confronto con i classici della filosofia, la «nuova proposta teorica complessiva» che si poteva enucleare a partire dalla “complementarietà” di Lukács e Bloch.

Il realismo del pensatore ungherese, fondato sulla “ontologia dell’essere sociale” (Prestipino, «ontologia dell’essere-in-comunità»), e “l’utopia concreta” e “il principio speranza” di Bloch, nelle loro divergenti prospettive, tuttavia miravano a un obiettivo comune. Una “rifondazione” e una “rinascita” del marxismo all’altezza dei problemi del loro, e del nostro, tempo. Il retroterra era la fondazione di un’etica necessaria per un marxismo dal volto umano e per un socialismo e un comunismo anch’essi dal volto umano. Né “sapere assoluto”, né “relativismo culturale”. Un tertium teorico come corrispettivo, nel mondo delle idee, del necessario tertium, nella pratica politica e nella pratica sociale, tra opportunismo-moderatismo ed estremismo, velleitario e inconcludente.

Prestipino ha sempre tenuto in seria considerazione il rapporto uomo-società-natura. La sua attenzione a questo complesso problematico è attestata in ogni suo scritto e intervento. Come diceva, una società di liberi ed eguali, una società dove, kantianamente, l’essere umano (donna e uomo) è un fine e non semplicemente ed esclusivamente un mezzo, si fonda su una concezione e una pratica per le quali la natura non è semplicemente ed esclusivamente un mezzo, ma un fine in sé, al pari dell’essere umano. Segnalo in questo senso, oltre al libro sopraccitato, Modelli di strutture storiche (presso Bibliotheca), un suo libro del 1993 purtroppo trascurato.

II.

La personalità di Prestipino, la sua fisionomia intellettuale, politica e morale, ci consente di fare qui, nella brevità di un articolo, un veloce riferimento alla annosa questione del rapporto “élite” e “popolo”. Due nozioni oggi da riempire con altri contenuti sociologici rispetto alla morfologia sociale con cui aveva a che fare e su cui rifletteva Antonio Gramsci, soprattutto in riferimento alla storia italiana, nei suoi Quaderni del carcere.

Così come la storia in generale e la storia dei movimenti sociali e politici in particolare mostrano, il ruolo dei gruppi dirigenti è decisivo. Là dove c’è organizzazione il pericolo della verticalità delle gerarchie, dei ferrei rapporti gerarchici e del consolidarsi di oligarchie è veramente reale. Da qui la deriva della separatezza dei gruppi dirigenti. In ogni dove, non solo nel mondo politico.

Le élites non si possono eliminare ma contenere-trasformare sì. Allora occorre un supplemento nella formazione culturale e nell’etica pubblica, unito a una rigorosa selezione di detti gruppi dirigenti. Anche per scongiurare quella che famosi studiosi della politica hanno designato come “circolazione delle élite”, nella quale vengono e si fanno coinvolgere esponenti provenienti dal movimento operaio, socialista e comunista. Con relativi privilegi, riconoscimento e scalata nello status sociale ecc.

La democrazia è ancora una volta la posta in gioco. La democrazia partecipativa come soluzione è il tertium fra democrazia rappresentativa, per più versi in crisi e delegittimata, e democrazia diretta. Questo nella società capitalistica in generale, soprattutto nell’epoca del dirigismo e dello spossessamento politico a opera del neoliberismo. E, per quanto ci riguarda, negli organismi e nelle organizzazioni sociali e politiche della sinistra. Forme politiche e forme organizzative su cui lavorare, riviste e riformate, in vista di quella democrazia partecipativa.

Prestipino ha molto riflettuto su tutti questi temi e sui quali ha dato contributi importanti fino a tempi recenti.

 

Redazione
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Un commento

  • Gian Marco Martignoni

    E’ decisamente pregevole il ricordo che Giorgio ha tratteggiato di Giuseppe Prestipino , non solo per la giusta sollecitazione volta ad un rilancio di un marxismo in grado di superare la falsa alternativa del ” sapere assoluto ” o in subordine del ” relativismo culturale “, ma anche per il richiamo a quella democrazia partecipativa che animò lo spirito dei Forum mondiali da Porto Alegre in avanti. Riprendere quello spirito è quanto mai urgente, giacchè quel che si profila, a fronte della scissione tra èlites e popolo, è una tragica passivizzazione delle masse, foriera conseguentemente dell’invocazione dell’uomo forte.

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