Turchia: uccidere con armi italiane

1 – blitz a Roma contro i cannoni Rheinmetall; 2 – ministri e militari italiani alla corte di Erdogan; 3 – la rivoluzione in Rojava;  4 – comunicato di Uiki e Comunità curda; 5 – boicottaggio? sì ma attenzione alle bufale

Organizzato dagli attivisti di Potere al popolo. L’azienda Rheinmetall Spa, controllata dalla tedesca Rheinmetall Defence, starebbe completando un ordine di 12 cannoni speciali Oerlikon per l’esercito turco: Qualche giorno fa il ministro Di Maio ha firmato lo stop all’export di armi verso la Turchia

di Maria Teresa Camarda  (*)

Al grido di “Blocchiamo le armi alla Turchia” un gruppo di attivisti di Potere al Popolo ha organizzato un blitz alla fabbrica Rheinmetall sulla Tiburtina, a Roma. Stando alle ultime notizie, dalla fabbrica, infatti, starebbe per partire un cannone speciale diretto in Turchia. Il paese del presidente Receyp Tayp Erdogan è impegnato in questi giorni in una offensiva in Siria contro la popolazione dei curdi. “La guerra inizia da qui, da casa nostra”, hanno scritto gli attivisti in un post su Facebook, accompagnando le immagini del blitz di oggi, 18 ottobre 2019.

La Rheinmetall spa, controllata italiana del colosso tedesco degli armamenti Rehinmetall Defence, avrebbe preparato un cannone automatico Oerlikon da 25 mm, capace di sparare 600 colpi al minuto, installabile su navi da guerra e carri armati.

Nonostante lo stop del governo italiano alla vendita di armi alla Turchia, il cannone sarebbe diretto ad Ankara. Lo stop all’export di armi italiane verso la Turchia, infatti, non è retroattivo, quindi, tutti gli ordini precedenti possono essere evasi. Da qui, l’idea del blitz in via Affile a Roma.

A quanto risulta al quotidiano La Repubblica, la Rheinmetall Italia, sulla base di un precedente contratto con la Aselsan Elektronic, fornitrice delle forze armate turche, avrebbe già consegnato otto cannoni Oerlikon (di 12 totali ordinati). Uno nel 2017, cinque nel 2018, due nel marzo scorso.

L’ultimo sarebbe già pronto nella sede romana. Gli attivisti di Potere al popolo dopo aver saputo che “il pacco”, di più di due metri di lunghezza, poteva essere spostato già oggi, hanno deciso di agire. Nonostante il rischio di imbattersi nella scorta armata dell’armamento.

Lo stop alla vendita di armi alla Turchia

“Abbiamo lanciato della vernice rossa per rappresentare il sangue che gli Stati europei stanno contribuendo a versare in Rojava, i territori curdi della Siria”, scrivono gli organizzatori del blitz sulla pagina Facebook.

“Negli ultimi anni – proseguono – tante aziende italiane hanno venduto armi alla Turchia, per un totale di 500 milioni di euro negli ultimi 4 anni. Incuranti delle persecuzioni politiche e delle violenze sferrate da Erdogan agli oppositori politici e alle comunità curde della Turchia e della Siria. E incuranti del fatto che l’Isis è stata finanziata ed armata dallo stesso Stato turco”.

“Ora – proseguono – di fronte alla guerra della Turchia in Rojava non è più il momento di mettere la testa sotto la sabbia, l’Italia deve proibire da subito l’invio di armi ad un paese colpevole di un’invasione, e mettere in campo ogni iniziativa possibile per la fine della guerra ed il ritiro dell’esercito turco”.

Quando il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha annunciato lo stop alla vendita di armi alla Turchia, anche le organizzazioni della Rete Disarmo hanno denunciato che “un’indagine istruttoria sulle vecchie forniture non significa di fatto bloccare nell’immediato quei 426 milioni di euro di armi ancora da consegnare”.

“Una decisione di blocco totale e immediato, senza quindi dover mettere in campo istruttorie e verifiche sul passato, si sarebbe già potuta e dovuta prendere fin da ora. Anche nel rispetto del dettato Costituzionale (art. 11). E della legge 185/1990 che regolamenta le esportazioni di armamenti e delle norme internazionali (Posizione Comune UE e Trattato ATT) sottoscritte dall’Italia”, concludono le organizzazioni.

Tra l’altro, la Rehinmetall Defence è la casa madre tedesca della filiale italiana RWM, con sede a Cagliari in Sardegna, che vendeva bombe all’Arabia Saudita per bombardare civili nello Yemen. Sul tema, TPI ha pubblicato la video inchiesta di Madi Ferrucci, Roberto Persia e Flavia Grossi.

Yemen: le bombe made in Italy che uccidono i civili. L’inchiesta di TPI svela il business di armi tra Arabia Saudita e Italia

(*) ripreso da www.tpi.it e rilanciato da “Rete giornalisti indipendenti e attivisti” di Google Gruppi.

Ministri, generali e ammiragli italiani alla corte del sultano Erdogan

di Antonio Mazzeo (*)

Non sono solo gli elicotteri da guerra di Leonardo-Finmeccanica e le batterie anti-missile SAMP-T dell’Esercito schierate ai confini con la Siria a documentare la solidità della partnership strategico-militare tra l’Italia e la Turchia. Nonostante la svolta reazionaria del regime dopo il controverso golpe del luglio 2016 e la crescente escalation militare contro i Kurdi in Turchia e Siria, il Ministero della difesa italiano ha intensificato con Ankara il numero delle esercitazioni aeree, terrestri e navali, le visite ufficiali di ministri, sottosegretari e alti comandanti delle forze armate, le attività di formazione di personale turco nelle accademie di guerra e nei reparti d’elite di mezza Italia e, finanche, la “vendita” delle unità navali dismesse.

Dal 17 al 28 giugno scorso, mentre gli strateghi di Erdogan si preparavano a pianificare la massiccia offensiva anti-kurda in Siria, presso la grande base aerea di Konya i reparti di volo degli Stati Uniti d’America, Giordania, Pakistan, Qatar, Turchia e Italia davano vita ad una grande esercitazione aerea, l’Anatolian Eagle 2019, “una delle più complesse  in ambito internazionale” e “un’opportunità importante per lo sviluppo ed il consolidamento di tattiche ed addestramento delle Forze Armate partecipanti, messe alla prova in diversi scenari operativi”, così come riportato dal Ministero della difesa italiano. Ad Anatolian Eagle hanno partecipato i cacciabombardieri AMX del 51° Stormo dell’Aeronautica militare di Istrana (Treviso), “a conferma – aggiunge la Difesa – che l’esercitazione rientra nell’ambito degli appuntamenti addestrativi di rilievo, quale occasione per migliorare l’integrazione tra il proprio personale, e gli  equipaggi di volo di diverse nazioni nella conduzione delle missioni aeree complesse che caratterizzano gli attuali scenari di intervento del potere aereo”.

Nel settembre del 2017 era stata l’unità della Marina Anteo per il supporto alle operazioni subacquee (alle dipendenze del Raggruppamento Subacquei ed Incursori “Tesei Tesei”) a raggiungere il porto turco di Aksaz per partecipare all’esercitazione Dynamic Monarch, congiuntamente alle forze navali turche, spagnole, statunitensi, norvegesi, britanniche e francesi. “La Dynamich Monarch 2017 è un’esercitazione a cadenza triennale nell’ambito della Submarine Escape and Rescue (SMER), che permette di verificare le capacità a disposizione della NATO per la ricerca ed il soccorso al personale di un sommergibile sinistrato”, riferiva l’ufficio stampa della Marina militare italiana. “Lo scopo di questa complessa attività è la condivisione delle procedure di soccorso ed il miglioramento dell’interoperabilità tra le diverse Marine, allo scopo di ridurre i tempi di intervento ed aumentare le probabilità di sopravvivenza del personale posto all’interno di un sommergibile adagiato sul fondo”. Un anno dopo (luglio 2018), l’equipaggio della fregata missilistica e anti sommergibile Espero, impegnata di norma nell’Operazione Mare Sicuro, partecipava nelle acque del Mediterraneo Centrale all’esercitazione (Passex) con la fregata T.C.G. Gediz della Marina militare della Turchia. “Sono state condotte una serie di manovre cinematiche, simulazioni di approccio per rifornimento in mare e numerose attività tattiche-procedurali, nonché scambi di comunicazioni radio e dati tra le rispettive Centrali Operative di Combattimento”, riporta il sito del Ministero della difesa. “L’evento ha costituito sicuramente una preziosa occasione per entrambe le unità per migliorare le proprie capacità operative e incrementare il livello di addestramento degli equipaggi, rafforzando il grado di interoperabilità tra assetti di diversa nazionalità  appartenenti alla NATO”.

Di massimo rilievo le visite ufficiali in Turchia da parte degli uomini di governo e dei vertici delle forze armate nazionali. Va segnalato in particolare che il 2 maggio 2019 è stata l’allora ministra pentastellata alla Difesa, Elisabetta Trenta, a recarsi ad Istanbul per un vertice con l’omologo turco Hulusi Akar. “Si è trattato di un colloquio cordiale, durante il quale i due Ministri hanno condiviso l’auspicio di portare avanti e rafforzare la cooperazione bilaterale e l’interesse che entrambi i Paesi hanno nei confronti dell’area mediterranea”, riporta il comunicato ufficiale. Elisabetta Trenta ha poi raggiunto i saloni di Idef 2019, la Fiera Internazionale dell’Industria della Difesa che si tiene a Istanbul con cadenza biennale. Accompagnata dal Segretario generale della Difesa/DNA, generale Nicolò Falsaperna, la ministra ha avuto modo d’incontrare i manager e i rappresentanti delle principali industrie italiane produttrici di sistemi da guerra. “Bisogna puntare sulle eccellenze della nostra industria e sul made in Italy, garanzia di sviluppo e innovazione e bisogna farlo con un riferimento sempre molto chiaro verso il nostro Paese”, l’appello della ministra agli espositori connazionali.

Sempre quest’anno, a febbraio, erano stati il Presidente del Centro Alti Studi della Difesa, generale Massimiliano Del Casale e il ministro plenipotenziario Fabrizio Romano a giungere in Turchia per una visita ufficiale alla locale Defence University e al comando della forza di pronto intervento NATO (Rapid Deployable Corps Turkey – NRDC-T), entrambi dislocati ad Istanbul. “Nel corso della visita, il Presidente del CASD ha ribadito che è tempo che nasca una nuova stagione di collaborazione: la Turchia e l’Italia sono collocate in una delle aree più sensibili del pianeta in termini di sicurezza, e la formazione costituisce un punto di forza per ampliare i margini di collaborazione”, riporta l’ufficio stampa della Difesa. Nel 2017 c’era stata invece una missione di tre giorni in Turchia del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale Danilo Errico, che aveva incontrato il suo corrispettivo turco, generale Salih Zeki Çolak e il Capo delle forze armate, generale Hulusi Akar. In occasione di quel viaggio, il generale Errico si recava pure a Kahramanmaraş, località dove è schierata dal luglio 2016 la task force italiana “Sagitta” dotata del sistema anti-missile SAMP-T, nell’ambito del programma NATO di difesa integrata aerea e missilistica della Turchia sud-orientale.

Graduati dell’esercito turco sono stati ricevuti invece dalla Scuola Sottufficiali dell’Esercito italiano di Viterbo (maggio 2018). “Accolti alla Caserma Soccorso Saloni, i visitatori hanno avuto l’opportunità di constatare il percorso didattico e addestrativo seguito dai futuri Comandanti di plotone”, annota il portavoce delle forze terrestri nazionali. “A suscitare particolare interesse, la consolidata collaborazione e sinergia fra la Scuola Sottufficiali dell’Esercito e l’Università degli Studi della Tuscia, giudicata innovativa ed efficace dai colleghi turchi. Il percorso universitario dei giovani Allievi Marescialli dell’Esercito offre infatti interessanti opportunità per conseguire una formazione solida e al passo coi tempi, essenziale per chi nel prossimo futuro sarà protagonista nei principali scenari di crisi internazionali. Particolare attenzione è stata mostrata per il Sistema di Simulazione VBS (Virtual Battle Space), finalizzato a un apprendimento più rapido ed efficace delle procedure tecnico-tattiche tipiche delle minori unità”.

Sempre nell’ambito della formazione-addestramento delle unità turche, va pure segnalato il progetto biennale di “rafforzamento della capacità istituzionale del Comando Generale della Gendarmeria turca in materia di gestione dell’ordine pubblico e controllo della folla”, conclusosi nel febbraio 2019 presso il CoESPU (il Centro di Eccellenza per le Unità di Polizia di Stabilità dell’Arma dei Carabinieri) con sede presso la caserma “Chinotto” di Vicenza. Il progetto indirizzato alla famigerata polizia militare turca è stato finanziato dall’Unione europea: oltre 1.400 gendarmi sono stati addestrati in operazioni anti-sommossa dai Carabinieri sia in Italia che in Turchia, con particolare enfasi al “controllo in aree rurali manipolate da elementi terroristici”. Come segnalato dal quotidiano online Vicenzapiù.it, i militari turchi vengono ospitati nella caserma “Chinotto” anche da altre due agenzie di polizia militare internazionali, la Gendarmeria Europea (Eurogendfor) e il Centro di Eccellenza per la Polizia di Stabilità della NATO (di quest’ultima, il vicedirettore è il colonnello della Gendarmeria turca, Tamer Sert).

Presso i porti e le basi navali turche approdano periodicamente unità e navi scuola della Marina tricolore. E’ accaduto ad esempio nell’agosto 2017 con la Palinuro in sosta tecnica ad Izmir; l’anno successivo ancora la Palinuro nel lasciare il Mar Nero, ha attraversato lo stretto del Bosforo: “sulle sponde, i cittadini di Istanbul e tanti curiosi in mare che con le loro barche si avvicinavano per salutare la nave”, riporta il diario di bordo. “Grande anche la soddisfazione dell’equipaggio e degli allievi della Campagna d’istruzione, tutti impegnati nelle proprie mansioni per condurre la navigazione”. Infine l’approdo ad Istanbul e la libera uscita in città per gli allievi marescialli della Scuola Sottufficiali di Taranto.

Ancora nel settembre 2017 era il cacciatorpediniere Luigi Durand de la Penne a raggiungere il porto di Aksaz prima di concludere il ciclo addestrativo a favore degli allievi dell’Accademia Navale di Livorno. “La base navale NATO di Aksaz è un punto ad alto valore strategico e operativo della Marina militare turca, distante circa 20 km dalla più rinomata città turistica di Marmaris”, riporta lo Stato maggiore della Marina italiana. “Nel primo giorno di sosta si sono tenute le consuete visite protocollari, in cui il Comandante ha incontrato le autorità civili e militari cittadine, consolidando il già forte legame con la Marina militare turca. Legame che si è concretizzato con una serie di esercitazioni congiunte fra l’Unità e la fregata turca TCG Gelibou, svoltesi nelle acque antistanti Aksaz”.

Intanto la Turchia, o meglio i suoi più rinomati cantieri, si sono trasformati nel cimitero (presunto) dove l’Italia inuma i suoi ex gioielli di guerra navale. Lo scorso mese di marzo il Ministero della difesa ha reso noto di aver venduto per 3.382.000 euro l’ex incrociatore Vittorio Veneto e l’ex fregata Granatiere, soggetti all’obbligo di demolizione e riciclaggio sicuro e compatibile con l’ambiente in conformità con le norme europee in materia (queste unità imbarcano amianto ed altri materiali pericolosi). Dopo il disarmo, le due unità sono state ospitate presso l’Arsenale Militare di Taranto e a seguito del bando di gara indetto dalla Difesa, sono state aggiudicate ad una delle quattro società partecipanti – tutte con sede in Turchia -, la Simsekler General Ship Chandlers & Ship Repair Inc. di Izmir, principale azienda di fornitura, riparazione e riciclaggio di navi del paese.

Nei cantieri navali di proprietà della Istanbul Shipyard ospitati ad Aliaga, provincia di Smirne, lo scorso anno sono finiti invece i due (ex) cacciatorpedinieri lanciamissili Audace e Ardito, ormeggiati a La Spezia dal 2006, anno del loro ritiro operativo. Anche in questo caso si è trattato di una cessione onerosa a cura dell’Agenzia Industrie Difesa (AID) in vista della loro demolizione o, meglio, dell’avvio al riciclaggio in Turchia.

(*) da antoniomazzeoblog.blogspot.com

Con il presente comunicato, UIKI Onlus e la Comunità Curda ringraziano tutti coloro che hanno preso parte e firmato l’appello accogliendo le richieste umanitarie di urgenza e dimostrando la loro vicinanza e solidarietà a quanto sta accadendo in queste ore nel Nord-Est della Siria. Il violento attacco delle truppe della Turchia ha fortemente destabilizzato il territorio, creando 275.000 profughi in pochi giorni. A causa di bombardamenti indiscriminati scuole ed ospedali sono stati distrutti o sono fuori servizio per i danni. Nonostante sia stato dichiarato un “cessate il fuoco” le condizioni umanitarie nel territorio sono gravissime e critiche. Pertanto ringraziamo chiunque voglia partecipare alla campagna di crowdfunding per sostenere con un aiuto concreto la popolazione del Rojava. La solidarietà dimostrataci è molto importante per noi. Siamo consapevoli che in queste condizioni, rispondere alla situazione di emergenza e alle normali necessità sanitarie è quasi impossibile.  

Chiediamo quindi il massimo sostegno, sforzo e aiuto nella raccolta fondi che possano aiutarci a garantire le cure ed i fabbisogni delle persone che vivono nel Rojava. Ringraziamo Michele Zerocalcare e Valerio Mastrandrea per averci contattato ed essersi messi a disposizione. Un ringraziamento speciale va a tutti coloro che hanno già firmato l’appello. Chi abbia voglia di mandare la propria adesione può scriverci alla email artisteiperilrojava@gmail.com  

Yilmaz Orkan, coordinatore 

UIKI Onlus
Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia
Email : info.uikionlus@gmail.com
Web : www.uikionlus.com
Facebook : UIKIOnlus
Twitter : @UIKIOnlus
Google + : 102888820591798560472
Skyp : uikionlus

Boicottaggio? sì ma attenzione alle bufale

di db

Da secoli il boicottaggio è uno strumento di lotta efficace soprattutto nel medio-lungo periodo e se organizzato. E dunque lo può essere anche contro la Turchia. Ne riparleremo nei prossimi giorni. Ma intanto urge segnalare che circola un’informazione sbagliata sui codici a barre (869 eccetera) per identificare i prodotti turchi. Leggete qui sotto.

https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.open.online%2F2019%2F10%2F13%2Fil-numero-del-codice-a-barre-per-boicottare-i-prodotti-turchi-la-stessa-bufala-circolava-contro-israele%2F&h=AT3CICIwh-vdlzV_h7qJS7l_0F5VVDoWRWoxyBdyv3W8X4hKH1-mwcMuudb0v6LxSRZhGZ-P3qfzp9gchBweVyC5YxwNT8fbiXKwtDa0q_-UGmWkrDmaP9oSa0mECdf0Nhdi3YA

Dunque non fate girare bufale per favore. Chi vorrà seriamente impegnarsi nel boycott a mio avviso deve in primo luogo contribuire a costruire una seria piattaforma di dove/come il boicottaggio (lo ripeto: organizzato) può far male alla Turchia del boia Erdogan. Il turismo certamente ma non solo. La discussione ovviamente è aperta e questa piccola “bottega-blog” è, come sempre, a disposizione.

ALTRI MATERIALI dalla newsletter della rivista “Jacobin”

I curdi e le popolazioni del Rojava sono da giorni sotto l’attacco dello stato turco. Come se non bastasse, Facebook ha deciso di cancellare le pagine di chi solidarizza e sostiene la lotta e l’esperienza del Confederalismo democratico. Tra queste, sono state messe a tacere o minacciate di censura quelle dei principali portali di informazione di movimento italiani. Nel solidarizzare con loro, contribuiamo a rompere l’assedio del silenzio che vorrebbero imporre al Rojava e alla lotta del popolo curdo.
L’attacco turco avviene in uno scenario atipico – spiega Davide Grasso uno degli italiani che negli scorsi anni si è arruolato per combattere con le milizie delle Ypg – e ha un duplice scopo: distruggere l’esperienza del Confederalismo democratico e cambiare i tratti demografici della Siria del nord, scrivono Djene Bajalan e Michael Brooks. Com’era prevedibile – sostiene Lorenzo Declich – l’aggressione turca ha portato i curdi siriani ad allearsi militarmente con Asad, ma non per questo Asad è diventato buono. Anzi, ricordare i suoi crimini, nello stesso momento in cui difendiamo la rivoluzione del Rojava, è il minimo che possiamo fare.
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L’attacco turco avviene in uno scenario atipico. Ma non abbiamo nulla a che fare coi difensori di famiglia tradizionale e gerarchie naturali, coi liberali imparentati coi fascisti o coi sovranisti per i quali sovrana è una minoranza
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Di fronte all’aggressione turca nel nord del paese, l’accordo tra le forze democratiche siriane e il ràis di Damasco era prevedibile. Ma non dimenticare i suoi crimini è il minimo che dobbiamo fare
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Dopo un anno tra arresti e restrizioni Max Zirngast, collaboratore di Jacobin, è finalmente libero. Qui ragiona sulla situazione in Turchia, le difficoltà del regime di Erdoğan e le prospettive della lotta per la libertà
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