«Il cammino dell’umanità» di Angelo Brelich
di Giuliano Spagnul – libri da recuperare: 15esima puntata (*)
Ci sono ottimi libri “iellati” che nascono evidentemente quando la dea Fortuna è occupata a guardare da un’altra parte. Angelo Brelich è stato un grande studioso di storia delle religioni, oggi purtroppo abbastanza dimenticato, allievo di Károly Kerényi, amico di Ernesto De Martino. Alla fine della Seconda Guerra mondiale sollecitato da Cesare Pavese, che dirigeva la famosa Collana Viola di Einaudi (1) scrive «Il cammino dell’umanità» che a causa della morte di Pavese rimarrà inedito fino a che troverà pubblicazione presso la piccola casa editrice Bulzoni nel 1985, otto anni dopo la morte dello stesso Brelich.
Sfortuna dicevamo, in realtà si trattò di un’autentica opposizione: «l’opera venne accolta con estremo entusiasmo soprattutto da Cesare Pavese (….) tuttavia, già nel 1950 in Einaudi cominciò a delinearsi la ferma opposizione di Antonio Giolitti e Norberto Bobbio alla pubblicazione, perché il testo era ritenuto eccessivamente intriso di irrazionalismo». (2)
È probabile che asserzioni come quella che «neanche la spiegazione più radicalmente razionalistica e causale – come voleva essere quella darwiniana, con i princìpi meccanici dell’adattamento e della sopravvivenza del più adatto – può fare a meno di presupposti inspiegabili, dogmaticamente o misticamente accettati» possano aver suscitato allora, come del resto lo potrebbero ancora oggi, un deciso e netto rifiuto.
Di fatto siamo di fronte a un testo sorprendente da parte di uno studioso delle religioni totalmente laico e di sinistra. Un’opera che ripercorrendo il processo evolutivo dell’uomo, nel suo progressivo distacco della natura che lo porterà a identificarsi sempre più come essere non-naturale, non esiterà a porsi domande scomode e facilmente permeabili, appunto, all’accusa d’irrazionalismo. E ciò che darà sostanza a quest’accusa, ancor più delle domande, è la premessa da cui ognuna di esse trova la propria forza e i propri limiti: cioè che la verità, a cui ogni domanda aspira, «non è un ‘valore obiettivo’ cui si debba tendere per se stessa» ma ha sempre la costante «funzione di mediare all’uomo il contatto con la realtà». Diremmo, col linguaggio d’oggi, una verità situata.
Ancor più scandaloso è il fatto, dato per avvenuto, del «fallimento o l’auto-superamento del razionalismo» tra il XIX e il XX secolo, con la conseguenza per l’umanità di vedersi di colpo mancare «il suolo sotto i piedi. I criteri razionali che finora l’hanno condotta (anche se ciò debba, naturalmente, intendersi con la più forte riserva: in realtà l’umanità credeva soltanto di essere condotta da criteri razionali) ora sono caduti in discredito: ma altri criteri superiori e ugualmente solidi e sicuri, non li hanno sostituiti».
Oggi, a distanza di settant’anni, possiamo forse considerarci, anche solo per un timido passo, in un nuovo ordine di problemi, cioè in una fase in cui dalle macerie di un mondo finito se ne sta creando uno affatto nuovo?
La risposta di Brelich di allora non è né pessimista né ottimista: è aperta al possibile, a ciò che può essere, indipendentemente da ciò che è probabile e che si vorrebbe ineluttabile. «Bisogna rendersi conto della possibilità che l’umanità stia subendo un naufragio definitivo; che essa sia destinata a scomparire dalla faccia della terra; o a sopravvivere ancora per un tempo indeterminato nelle disagiate condizioni spirituali di una crisi insolubile. (…) Ma nessuno può, egualmente, escludere che nel travaglio attuale operino sin d’ora forze – necessariamente inconoscibili nel loro significato – che stiano portando verso una soluzione creatrice, verso una nuova formula d’equilibrio tra uomo e mondo, verso nuovi criteri di azioni giustificabili soltanto sul piano di coscienza differente da tutto ciò che possiamo concepire».
E la nostra risposta oggi? Ci fermiamo qui, con questa domanda, dall’indagare ulteriormente questo testo ricchissimo che sarebbe importante riscoprire e ripubblicare degnamente ma che comunque invitiamo a ricercare nell’usato e nelle biblioteche per riportarlo nel dibattito attuale. Comunque di Angelo Brelich e delle discussioni in quegli anni cruciali del primo dopoguerra (oggi troppo dimenticate) occorrerà tornare a parlare…
Nota 1: “Collezione di Studi Religiosi, Etnologici e Psicologici”
Nota 2: Károlyi Kerényi – Angelo Brelich, Tra gli asfodeli dell’esilio. Carteggio 1935-1959 (a cura di Andrea Alessandri), Editori Riuniti, 2011, nota 160 p. 212.
(*) L’idea di questa rubrica è di Giuliano Spagnul: «… una serie di recensioni per spingere alla ristampa (o verso una nuova casa editrice) di libri fuori catalogo, preziosi, da recuperare». Ecco l’elenco:
1 – Gunther Anders: «Essere o non essere» (2 aprile) di Giuliano Spagnul
2 – L’epica latina: Daniel Chavarrìa (14 aprile) di Pierluigi Pedretti
3 – «Poema pedagogico» di Anton Makarenko (30 aprile) di Raffele Mantegazza
4 – «Il signore della fattoria» di Tristan Egolf (12 maggio) di Francesco Masala
5- «Chiese e rivoluzione in America latina» (26 maggio) di David Lifodi
6 – «Teatro come differenza» di Antonio Attisani (9 giugno) ancora di Giuliano Spagnul
7 – «Dizionario della paura» di Marcello Venturoli e Ruggero Zangrandi (23 giugno) di Giorgio Ferrari
8 – «Arrivano i nostri» di Dario Paccino (il 7 luglio) di Giorgio Stern
9 – «Un debole per quasi tutto» di Aldo Buzzi (21 luglio) di Pierluigi Pedretti
10 – «Protesta e integrazione nella Roma antica» (4 agosto) di Giuliano Spagnul
11 – Athos Lisa: «Memorie» (18 agosto) di Gian Marco Martignoni
12 – «Le donne del millennio»: un’antologia con… (1 settembre) di Giulia Abbate
13 – «Gli antichi Greci» di Moses Finley (15 settembre) di Lella De Marco
14 – «La vita è sovversiva» di Ernesto Cardenal (29 settembre) di David Lifodi
Ci siamo dati una scadenza quattordicinale, all’incirca. Se qualcuna/o vuole inserirsi troverà le porte aperte. [db per la “bottega”]