«Chiese e rivoluzione in America latina»

di David Lifodi. Libri da recuperare: quinta puntata (*)

Chiese e rivoluzione in America latina è stato pubblicato per la prima volta da Newton Compton editori nel 1980. Aperto dalla prefazione di Lucio Lombardo Radice, il volume contiene le relazioni tenute nell’ambito di un convegno organizzato dalla Fondazione internazionale Lelio Basso e tenutosi all’Aja nel 1979.

Fra i testi più significativi vi sono quelli di François Houtart ed Enrique Dussel, che riflettono sul connubio tra religione e lotta di classe in America latina e sulla Chiesa latinoamericana che, a seguito della conferenza di Medellín, aveva da poco concluso anche quella di Puebla (1979) e metteva in discussione, tramite la Teologia della Liberazione, il pensiero papale secondo il quale la dimensione politica doveva rimanere fuori dalle attività pastorali. Si trattava di una richiesta irricevibile per quella parte di religiosi che si erano schierati apertamente a fianco di popolazioni duramente represse dalle dittature militari giunte al potere, prevalentemente tramite colpi di stato, in gran parte dei Paesi dell’America latina.

Il modello di Chiesa popolare provocò un processo di polarizzazione sempre più accentuato nella Chiesa, emerso in particolare il 20 febbraio 1974. Quel giorno in Colombia, in qualità di combattente nelle fila dell’Esercito di liberazione nazionale, veniva ucciso in uno scontro a fuoco padre Domingo Lain. Il 26 giugno 1975, sempre in Colombia, un cardinale viene insignito dell’investitura dell’Ordine militare Antonio Narino (un’onoreficenza militare) mentre contemporaneamente si dichiarava lo stato d’assedio nel Paese.

In pratica, in America latina due Chiese proseguiranno il loro percorso senza incontrarsi, anzi scontrandosi spesso. Da un lato, i sacerdoti che dichiaravano il loro appoggio ai dimenticati e agli ultimi della terra, seguendo l’indirizzo delle conferenze di Medellín e Puebla: denunciando, ad esempio, lo sfruttamento dei proprietari terrieri nei confronti dei peones impegnati nella raccolta del caffè. Dall’altro lato il cosiddetto modello di Nuova Cristianità, quello di un clero alleato con le classi dominanti, vicino alla borghesia e fortemente riottoso a comprendere le ingiustizie e le disuguaglianze sociali presenti nel continente. A questo proposito, non si può dimenticare il comunicato dell’Episcopato cileno, dal titolo Fede cristiana e attuazione politica, che, due giorni dopo il golpe dell’11 settembre 1973, condannava i cristiani socialisti, molti dei quali in quello stesso momento si trovavano già nelle mani degli aguzzini pinochettisti.

Lucio Lombardo Radice, nella prefazione, si chiede il motivo per cui una parte della Chiesa, nel momento in cui cresce il movimento neofascista latinoamericano, non ne prende le distanze e resta ancorato al pensiero integralista e conservatore di Nuova Cristianità.

Sono molti i sacerdoti vicini alle classi popolari a cadere – è impossibile ricordarli tutti – da padre Carlos Mugica, assassinato dal regime argentino l’11 maggio 1974 sulla porta della sua chiesa in una villa miseria a monsignor Enrique Angelelli, il vescovo di Rioja assassinato il 4 agosto 1976, fino ai religiosi salvadoregni e moltissimi altri. È anche grazie al loro impegno militante che in occasione della conferenza di Puebla si consolida un’importante corrente di cristiani latinoamericani impegnati nella lotta popolare, spesso in seno alle comunità di base, proliferate in quegli anni nonostante l’evidente involuzione autoritaria dei governi della regione. Lo sottolineano bene Juan Bautista Mejía, raccontando nel dettagli le esperienze delle comunità di base in Honduras, e Hugo Lopes, che ne racconta le attività nello stato brasiliano del Goiás.

Nel suo saggio Il movimento della Teologia della Liberazione e la crisi economica degli anni Sessanta Franz Hinkelammert si chiede perché un movimento come quello della Teologia della Liberazione e dei Cristiani per il socialismo compare in America latina negli anni Sessanta e Settanta. La sua risposta è che non ci poteva essere altro luogo se non il continente latinoamericano, dove allora, come del resto oggi, «il soddisfacimento dei bisogni fondamentali comporta la rottura con il sistema capitalistico». È per questo motivo che, anche ai giorni nostri, il modello di Chiesa popolare latinoamericana prova a resistere, nonostante la crescita di una parte di Chiese evangeliche integraliste e dei settori del clero maggiormente legati all’oligarchia terrateniente.

(*) L’idea di questa rubrica è nata da un messaggio di Giuliano Spagnul: «… una serie di recensioni, coinvolgendo una lista di persone per spingere alla ristampa (o verso una nuova casa editrice) di libri fuori catalogo, preziosi, da recuperare». Siamo partiti il 2 aprile (con Giuliano ovviamente) a raccontare Gunther Anders: «Essere o non essere». Poi L’epica latina: Daniel Chavarrìa (il 14 aprile) di Pierluigi Pedretti,  «Poema pedagogico» di Anton Makarenko (il 30 aprile) di Raffele Mantegazza e «Il signore della fattoria» di Tristan Egolf (il 12 maggio) di Francesco Masala).

(*) L’idea di questa rubrica è nata da un messaggio di Giuliano Spagnul: «… una serie di recensioni, coinvolgendo una lista di persone per spingere alla ristampa (o verso una nuova casa editrice) di libri fuori catalogo, preziosi, da recuperare». Siamo partiti il 2 aprile (con Giuliano ovviamente) a raccontare Gunther Anders: «Essere o non essere». Poi L’epica latina: Daniel Chavarrìa (il 14 aprile) di Pierluigi Pedretti. Il 30 aprile «Poema pedagogico» di Anton Makarenko riproposto da Raffele Mantegazza e il 12 maggio «Il signore della fattoria» di Tristan Egolf, segnalato da Francesco Masala. Ci siamo dati una scadenza quattordicinale, all’incirca. Si annuncia «Teatro come differenza» di Antonio Attisani … e altre promesse meno definite. Se qualcuna/o vuole inserirsi ovviamente troverà le porte aperte. Ma una rubrica deve avere un titolo? Ne abbiamo discusso e sono uscite queste proposte «Pagine perdute», «Salviamoli dal macero», «Libri da ri-animare» oppure (rubacchiando l’idea al quotidiano «Le Monde») «Ripescaggi» ma anche «La biblioteca da salvare», «Libri recuperati» (come le fabbriche che gli operai portano avanti in modo autogestito…) e «il (non) classico da riscoprire». Voi che dite? C’è anche un’ipotesi di logo – quello che vedete qui sopra – che sarà democraticamente votato … se arriveranno alternative. [db per la “bottega”]

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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