Brasile: quando la Volkswagen andava a braccetto con i militari

di David Lifodi

Alla fine di settembre la Volkswagen è stata denunciata di fronte al Ministero Pubblico Federale del Brasile per le responsabilità e la complicità con la dittatura militare che governò il paese dal 1964 al 1985. Da tempo si era a conoscenza della collusione tra la casa automobilistica tedesca e il regime, ma adesso le violazioni dei diritti umani di cui si è resa protagonista la Volkswagen sono riportate nero su bianco.

In Brasile è la prima volta che un’impresa viene denunciata per i suoi legami con la dittatura e questo potrebbe rappresentare un precedente di buon auspicio affinché ne siano incriminate altre, ad esempio Embraer (specializzata nella costruzione degli aerei), Metrô di San Paolo, Companhia Docas e la stessa Petrobras, tutte responsabili di aver agevolato la polizia politica del regime militare. La denuncia è arrivata grazie al lavoro di controinformazione condotto dal Forum Trabalhadores e Trabalhadoras por Verdade, Justiça e Reparação, che riunisce esponenti del mondo politico, sindacale, giuridico e appartenenti alle associazioni impegnate per la tutela dei diritti umani. Un ruolo importante nell’accusa verso la Volkswagen sarà svolto anche da Álvaro Egea, l’avvocato che ha raccontato la storia di Lúcio Belantani, operaio presso la casa automobilistica tedesca che rimase per 42 giorni nelle mani della polizia politica nel famigerato Departamento de Ordem Política e Social (Dops), dove fu torturato affinché denunciasse i suoi compagni con l’accondiscendenza di uno dei capi reparto della Volkswagen stessa. “È importante che una grande impresa quale è la Volkswagen, nota per avere azionisti in tutta la Germania, riconosca i suoi errori, chieda scusa ai lavoratori e al popolo brasiliano e conceda un indennizzo alle famiglie delle vittime”, ha spiegato l’avvocato Egea. In Brasile si sapeva che la Volkswagen, così come le altre imprese, era nota per avere delle liste con i nomi degli oppositori alla dittatura in tutte le città con un’ampia cintura industriale (ad esempio San Paolo), così come era risaputo che i grandi marchi legati al regime militare facevano in modo che ai militanti per la giustizia sociale e i diritti umani non fosse concessa alcuna opportunità di lavoro. La denuncia contro la Volkswagen rappresenta, per Egea, un modo di completare il processo di transizione dalla dittatura alla democrazia, anche se il passo più significativo dovrebbe farlo il Supremo Tribunal Federal abolendo la Lei da Anistia e facendo in modo che i torturatori di allora siano puniti. All’epoca del regime, Volkswagen si distinse soprattutto per la stesura di vere e proprie liste di proscrizione degli oppositori, soprattutto grazie alla capacità di infiltrazione dei suoi membri all’interno dei sindacati, dei partiti e delle organizzazioni operaie, fino ad essere coinvolta direttamente in molti casi di tortura. Nel volume Lucha de clases en Brasil (1960-2010), l’autore Severo Salles racconta i tentativi di fare luce sulla dittatura da parte della Commissionale nazionale per la verità, che quasi un anno fa ha pubblicato un primo dossier relativo alla violazione dei diritti umani in Brasile sollecitando l’abrogazione della Lei da Anistia, in vigore dal 1979. Eppure, nonostante il lavoro della Commissione nazionale per la verità sia al centro del dibattito politico brasiliano e la Volkswagen emerga chiaramente tra le imprese responsabili di aver aiutato i militari ad individuare gli attivisti sindacali, il suo attuale responsabile legale in Brasile, Rógerio Vargas, non ha esitato a garantire che la casa automobilistica tedesca non ha mai collaborato con il regime, spingendosi fino a sostenere che non esiste alcuna prova in merito. A smentirlo, oltre al dossier della Commissione nazionale per la verità, c’è un discorso tenuto negli anni ’70 da Lula, allora leader degli operai metallurgici, in cui metteva in allerta i lavoratori della Volkswagen proprio a proposito della presenza dei militari in fabbrica. Peraltro lo stesso Lula, presidente del paese dal 2003 al 2010, risulta nella lista nera redatta dalla Volkswagen, che invitava i militari a spiare e a tenere sotto controllo i sindacalisti. In particolare, ad inchiodare la Volkswagen, sono emersi documenti in cui si parla di almeno dodici riunioni sindacali tenute sotto osservazione a San Paolo, in merito alle quali gli infiltrati avevano riportato all’impresa una descrizione dettagliata degli scioperi programmati dagli operai per rivendicare aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro. Addirittura, Volkswagen informò il regime che in alcune di queste riunioni i partecipanti avevano visto film di ispirazione “socialista”. Tutte queste informazioni, trasmesse da Volkswagen alla polizia, erano utilizzate dai militari per la detenzione degli oppositori politici e la tortura nel caso in cui rifiutassero di fare il nome dei loro compagni. In poche parole, le imprese collaboravano con il regime affinché ricevessero un aiuto per mantenere l’ordine nelle fabbriche, mentre la dittatura le utilizzava per ricevere informazioni utili per il lavoro sporco della polizia politica. È grazie a questo rapporto così stretto che in Brasile si è consolidato lo stato di contrainsurgência militar, caratterizzato dalla sparizione di militanti di sinistra, sindacalisti e oppositori di ogni tipo.

Se nel 1985, al termine della dittatura, in Brasile si è consolidata una democrazia formale, l’incriminazione dei torturatori tramite la Lei da Anistia e l’impegno per mantenere viva la memoria rappresenterebbero un processo di autoeducazione della società brasiliana affinché il paese non torni più ad essere nelle mani di quei loschi figuri che oggi stanno provando a far cadere Dilma Rousseff per riportare indietro le lancette della storia.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

Un commento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *