Adagio
di Susanna Sinigaglia
Karas
Adagio[1]
Saburo Teshigawara, Rihoko Sato
“Quando danzo un adagio, il mio corpo si fonde e il mio cuore è sospeso nello spazio per dissolversi nel nulla. Le parole lentamente evaporano e quando anche la realtà e i pensieri spariscono, sento che sto vivendo la vita e la morte.” Saburo Teshigawara.
Sia Saburo che Rihoko sono al culmine della loro lunga carriera e stanno raggiungendo livelli sempre più elevati. Non è quindi facile trovare le parole per recensire questo lavoro, forse meglio definibile come capolavoro.
La ricerca che lo ha prodotto attinge da un lato al repertorio della musica classica occidentale mentre dall’altro sembra evocare i canoni della danza e della tradizione orientale, come il butō o il tai chi, reinterpretati secondo una chiave personalissima.
I due entrano in scena a turno, avvolti da un kimono bianco. All’inizio sono quasi indistinguibili, poi a poco a poco si disegnano nello spazio le linee più morbide, sinuose e dolci di Rihoko – che è entrata in scena per prima –, e quelle più virili e forse decise di Saburo. Entrambi, in certi momenti, sembrano fatti d’aria e di note musicali, sembrano vibrare con la musica in tutte le cellule del loro corpo avvolto da una specie di aura luminosa.
Le luci rendono la scena essenziale e al tempo stesso sofisticata, accompagnando i movimenti dei due artisti secondo le emozioni suscitate in loro dai vari brani musicali. Spesso li vediamo immersi in chiaroscuri che ne mostrano solo parzialmente il corpo e il viso, come riflessi da un prisma, a volte immersi nel buio o mostrati in piena luce.
Le emozioni più grandi mi sono arrivate dalla visione di Rihoko che danza sulle note struggenti dell’adagietto della V sinfonia di Mahler e da quella di Saburo che interpreta l’adagio del concerto n. 2 di Rachmaninov. Il pezzo mi rimanda sempre ai pomeriggi solitari della mia adolescenza, quando mi lasciavo rapire dalla bellezza e la passione veicolate dal pianoforte.
Rihoko incarna frammento dopo frammento, diventando musica vivente, tutti i movimenti dell’anima che devono aver attraversato il musicista scrivendo questo pezzo.
Saburo dal canto suo ha una metamorfosi all’inizio dell’adagio di Rachmaninov: si muove con piccoli scatti del capo, ricordando un automa, e poi si trasforma ancora e sembra evocare le varie fasi della vecchiaia, il graduale decadimento che si manifesta in movimenti sempre più lenti e affaticati, in un restringimento dello scheletro e della presenza di una persona.
Fino ad avere uno slancio estremo di vitalità prima di chiudersi definitivamente in se stesso.
È stata l’ultima interpretazione della sera di Saburo, seguita da un guizzo danzante di Rihoko quasi in segno di saluto e poi dallo scroscio senza fine degli applausi di un pubblico rapito. In quel momento, una parola ha preso forma nella mia mente:
SUBLIME
[1] Gli adagi del titolo sono tratti da opere di Bach, Beethoven, Mahler, Mozart, Rachmaninov e Ravel.
davvero uno spettacolo emozionante , riassunto in un aggettivo : stupendo
salve. immagino che l’abbia visto a sua volta. anche lei a milano?