Asimov, il fuoco e la parola

Chissà se morendo avrà ripensato alla frase che aveva scritto per un suo personaggio, Hari Seldon: «lasciò la vita come l’aveva vissuta, cioè con il futuro che aveva creato completamente schiuso di fronte a sé».

Non solo fantascienza. Isaac Asimov resta uno degli scrittori e divulgatori scientifici più tradotti nel mondo e costantemente ripubblicato.

A 20 anni dalla morte – 6 aprile 1992 – gli entusiasti di Asimov restano maggioranza. La minoranza di perplessi continua a rimproverargli lo stile freddo, la ricerca della semplicità (che invece era un vanto per lui), gli eccessi di razionalità in un mondo illogico.

Per i tanti fans era «il buon dottore»: umanista, progressista e convinto sostenitore della scienza ma consapevole dei suoi limiti e preoccupato che una dittatura tecnocratica supplisse ai limiti della democrazia. Era anche egocentrico (diresse una rivista con il suo nome) e presuntuoso. Prolifico, anzi «schiavo del lavoro». D’altronde per arrivare a 500 libri… si è stakanovisti o si sfrutta il lavoro altrui (sospetto molte volte avanzato verso Asimov ma senza conferme). Oppure si prende per buona una sua battuta: «Forse, a forza di scrivere sui robot, anche io sono diventato instancabile». Qualcuno ironizzò sulle sue iniziali: Ia come Intelligenza artificiale.

Dopo i successi come narratore negli anni ’50 e ’60, nel decennio successivo Asimov si dedicò soprattutto alla divulgazione. Negli ultimi anni riprese a scrivere romanzi per collegare in una mega-opera il ciclo dell’Impero, quello della Fondazione e i suoi racconti robotici. Sbaglia chi non vede novità. La svolta ecologista di Asimov è evidente; più in generale va in crisi la sua fiducia nel futuro. Così a fianco delle famose «tre leggi della robotica» da lui inventate (o meglio ipotizzate in un futuro prossimo) auspica le «leggi dell’umanica». La prima suona così: «Un essere umano non può recar danno a un altro essere umano nè può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno». Dispositivo meraviglioso ma non si vede chi lo potrebbe fabbricare.

Solo pochi anni fa la moglie Janet ha rivelato che morì per Aids: era stato infettato nel 1983 durante una trasfusione. Ha lavorato fino all’ultimo e si è impegnato contro l’aumento incontrollato della popolazione come contro il riarmo. Il narratore di fantascienza toglieva tempo al saggista e al “riformatore”: fra le promesse che non ha mantenuto quella di creare un nuovo alfabeto a livello mondiale per muoversi agevolmente nella civiltà tecnologica. Siamo in fondo dalle parti della «psicostoria» – la politica su basi scientifiche – che Asimov immagina creata dal matematico Hari Seldon. Nell’ascoltare Seldon è come se Asimov parlasse di sè: «Anche da giovane non riuscivo a condividere l’opinione che, se la conoscenza è pericolosa, la soluzione ideale risiede nell’ignoranza. Mi è sempre parso che la risposta autentica stia nella saggezza. Non è saggio rifiutarsi di affrontare il pericolo, anche se bisogna farlo con la dovuta cautela. Dopotutto, è questo il senso della sfida posta all’uomo fin da quando un gruppo di primati si evolse nella nostra specie. Qualsiasi innovazione tecnologica può essere pericolosa: il fuoco lo è stato fin dal principio, e il linguaggio ancor di più; si può dire che entrambi siano ancora pericolosi al giorno d’oggi, ma nessun uomo potrebbe dirsi tale senza il fuoco e senza la parola».

UNA PICCOLA NOTA

Questo mio breve (troppo breve per i miei desideri) articolo è uscito, parola più e parola meno, su «L’unione sarda» del 12 aprile. Chi naviga o almeno galleggia in blog saprà che, di recente, Fabrizio Melodia, ha scritto un ben più lungo (sempre breve?) ricordo di Asimov e lì vi rimando. A proposito, mi è tanto piaciuta la sovrapposizione Seldon-Asimov che l’ho “rubata” a Melodia. Nelle mie tre leggi blog-botiche (in preparazione?) una forse suona così: «nessun umano può appropriarsi di idee altrui a scopo di lucro ma per il resto il pensiero è di tutte/i»…. Però è cortese indicare la fonte. E la gentilezza – scriveva Philip Dick – ci distingue dai sassi. (db)

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