Assalto al “polmone verde” del mondo, colpo mortale per il clima

di Dante Caserta ( ripreso da www.officinadeisaperi.it/)

DEFORESTAZIONE. Dossier Wwf. Negli ultimi 50 anni il 17% dell’Amazzonia è stato convertito in coltivazioni. Se dovesse arrivare al 20% rischia di diventare savana

Coprono oltre il 30% delle terre emerse, ospitano circa l’80% della biodiversità terrestre, forniscono servizi essenziali per le nostre vite e svolgono un ruolo cruciale nella mitigazione del cambiamento climatico: sono le foreste, habitat fondamentali per la nostra vita e silenziosi testimoni di quello che era il nostro Pianeta prima che lo modificassimo pesantemente. Nonostante la loro importanza, l’uomo ha sviluppato una preoccupante capacità di distruggerle ben sintetizzata dalla famosa vignetta in cui una persona seduta su un ramo di un albero è attivamente impegnata a tagliarlo.

SOLO NEGLI ULTIMI 30 ANNI sono stati persi 178 milioni di ettari di foreste a livello mondiale, tre volte la superficie della Francia: ciò dipende dalle nostre azioni e dai nostri consumi che contribuiscono alla perdita globale di biodiversità e al cambiamento climatico.

OGGI LA PRINCIPALE CAUSA della deforestazione sulla Terra è l’aumento dei terreni coltivati per la produzione agricola. A causa di questa continua espansione ogni anno vengono convertiti 5 milioni di ettari di foreste tropicali, in particolare per la produzione di carne bovina, olio di palma, soia, cacao, gomma, caffè e legno. La deforestazione provocata dall’aumento, a livello globale, della domanda di carne è una vera e propria piaga: il 60% delle foreste pluviali tagliate (in Amazzonia si arriva al 70%) viene abbattuto proprio per ottenere pascoli e per coltivare grandi quantità di colture (soprattutto soia e cereali) destinati all’alimentazione animale. Inoltre, dalla produzione e dal commercio internazionale di questi prodotti deriva più del 30% delle emissioni di CO2 causate dalla deforestazione.

LA FORESTA AMAZZONICA RAPPRESENTA l’ecosistema maggiormente colpito: negli ultimi 50 anni ben il 17% della sua superficie (equivalente a due volte quella italiana) è stato convertito in coltivazioni. Se questo fenomeno arrivasse a colpire il 20-25% dell’Amazzonia, il polmone verde del mondo, così chiamato grazie alle ingenti quantità di gas serra che è in grado di assorbire dall’atmosfera, non sarebbe più in grado di sopravvivere, trasformandosi in una savana arbustiva nel giro di pochi decenni.

NE SIAMO CONSAPEVOLI DA TEMPO, i dati sono chiari e gli scienziati non fanno che ricordarceli, eppure negli ultimi anni la tendenza non sembra migliorare: nel 2022 i disturbi forestali nella regione pan-amazzonica sono aumentati quasi del 15% rispetto al 2021.

LA DISTRUZIONE DI QUESTA PREZIOSA foresta sta avendo un impatto devastante anche sulla lotta alla crisi climatica globale perché l’Amazzonia, da sola, immagazzina 75 miliardi di tonnellate di carbonio, oltre il 10% di quanto ne «incamerano» le intere foreste mondiali (662 miliardi di tonnellate). Si tratta di quantitativi così elevati da risultare indispensabili nel quadro complessivo di assorbimento della CO2 e per impedire il riscaldamento globale superi la soglia di 1,5°C. Peraltro si stanno già manifestando effetti altamente negativi: studi recenti attestano come, contrariamente a quanto si è sempre creduto, la concentrazione di carbonio nell’atmosfera amazzonica sia maggiore negli strati d’aria più vicini alle chiome degli alberi. Si tratta di un dato molto preoccupante perché indica come in alcune fasce la foresta amazzonica emetta più carbonio di quanto ne assorbe e immagazzina: l’emissione netta si attesta ormai a circa 300 milioni di tonnellate di carbonio ogni anno che equivale alle emissioni annuali di un Paese industrializzato come la Francia. Quanto sta accadendo è legato sicuramente alla deforestazione, ma anche agli incendi e alla siccità, fenomeno un tempo del tutto sconosciuto in Amazzonia. Ciò potrebbe scatenare degli effetti a catena sul clima globale in quanto, se tutto il carbonio attualmente immagazzinato nella foresta amazzonica fosse rilasciato, la temperatura media del Pianeta aumenterebbe di 0,3°C, eventualità che renderebbe impossibile contenere l’innalzamento delle temperature entro gli obiettivi posti dall’Accordo di Parigi.

ANCORA UNA VOLTA IL MONDO PIÙ industrializzato ha pesanti responsabilità in quello che sta accadendo. I Paesi dell’Unione Europea sono tra i maggiori importatori di una serie consistente di prodotti che causano la deforestazione, come il caffè, la carne, l’olio di palma e i latticini. L’Unione è responsabile del 16% della deforestazione globale associata al commercio internazionale di materie prime, ponendosi come il secondo maggiore importatore al mondo di deforestazione dopo la Cina. E noi italiani facciamo ampiamente la nostra parte: i consumi nazionali, da soli, determinano la distruzione di una superficie pari al doppio di quella della città di Milano (36.000 ettari). «Si tratta della cosiddetta deforestazione incorporata: deriva dalla produzione di beni consumati in altri Paesi e contribuisce a quasi l’80% della deforestazione mondiale», ricorda Edoardo Nevola, responsabile Foreste del Wwf Italia. «Parte di questa riguarda anche i mercati alimentari dell’industria italiana ed è per questo che il ruolo di noi consumatori è centrale. Prestando maggiore attenzione a ciò che compriamo, possiamo veramente dare un contributo sostanziale alla salute delle foreste e alla nostra: ad esempio, leggendo le etichette sulle confezioni dei prodotti che acquistiamo possiamo scegliere quelli con certificazioni che attestino la provenienza da foreste gestite in maniera sostenibile».

UN AIUTO PER RIDURRE significativamente l’impronta ecologica del commercio internazionale potrà venire, se correttamente applicato, dal nuovo Regolamento europeo contro la deforestazione (Eudr) che regolamenta sette materie prime (soia, olio di palma, carne bovina, caffè, prodotti legnosi, prodotti stampati e gomma) e i loro derivati: dal 30 dicembre 2024 potranno entrare nel mercato europeo solamente se le aziende saranno in grado di dimostrare, attraverso controlli e tracciamenti, che non sono causa di deforestazione. Ciò indirizzerà il mercato verso quelle merci prodotte e importate senza contribuire alla distruzione del Pianeta.

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