Brasile: la doppia morale sullo spionaggio

 

di David Lifodi

La recente azione di spionaggio Usa ai danni del Brasile ha aperto forse la peggiore crisi diplomatica nella storia delle relazioni internazionali tra i due paesi, ma è servita anche per mettere in evidenza le contraddizioni del Planalto, che si indigna a ragione per le mail della presidenta Dilma Rousseff spiate dall’Agenzia di Sicurezza Nazionale Usa, ma non si muove con altrettanta sollecitudine quando nel proprio paese un impero economico come la multinazionale Vale, leader nell’estrazione mineraria, pratica ripetutamente attività di spionaggio nei confronti di attivisti e militanti dei movimenti sociali.

È stato Edward Snowden a rivelare che gli Stati Uniti avevano messo sotto controllo la posta elettronica di Dilma Rousseff e della compagnia petrolifera statale Petrobras. Non solo: Rede Globo, capofila del latifondo mediatico brasiliano e tv generalista nota per fare informazione spazzatura e manipolare le notizie, stavolta aveva centrato la notizia rivelando che proprio la Petrobras era indicata come bersaglio in una simulazione in cui veniva spiegato come penetrare tra le maglie delle reti private dei computer. La risposta brasiliana alla violazione della privacy ad opera degli Stati Uniti è avvenuta su più livelli. Dal punto di vista della sicurezza informatica, il governo brasiliano ha già promosso per il 2014 una conferenza mondiale che avrà come tema principale l’identificazione di nuove pratiche antispionaggio. Dilma fa sul serio e ha incassato l’appoggio di Icann, la struttura che cura l’assegnazione dei nomi e dei numeri su internet. Dal punto di vista politico, la prima ritorsione di Brasilia nei confronti della Casa Bianca sarebbe arrivata con la disdetta dell’acquisto di 36 caccia militari, oltre alla cancellazione della visita di stato della presidenta a Obama, prevista per il 23 ottobre. Il Planalto ha parlato di sovranità violata e non a torto: sotto il controllo dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale Usa non c’erano solo le mail di Dilma Rousseff, ma anche i suoi telefoni cellulari. Si tratta di un fatto grave, nonostante Obama abbia finto di cadere dalle nuvole per minimizzare l’accaduto e abbia farfugliato qualche frase di circostanza sostenendo che gli Stati Uniti sono impegnati a tutelare la sicurezza dei cittadini di tutto il mondo. Dilma Rousseff non ha mancato di mostrare il suo disappunto anche in occasione dell’Assemblea Generale Onu, sottolineando come la sorveglianza elettronica illegale a cui è stato sottoposto il Brasile esiga una dura condanna della comunità internazionale. E ancora, la presidenta ha fatto rilevare che sono state intercettate informazioni industriali riservatissime, sollecitando le Nazioni Unite a mettere a punto un protocollo che regoli la condotta degli stati membri per quanto riguarda internet e le tecnologie informatiche. Voci di corridoio e notizie provenienti dalle reti sociali dicono che il Brasile potrebbe avviare una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu in cui venga condannata la sorveglianza degli stati membri da parte di agenzie straniere dei servizi di informazione: “uno stato sovrano”, ha spiegato Dilma Rousseff, “non può affermarsi a scapito di un’altra nazione sovrana”, condannando il cyber-spionaggio dell’Agenzia di Sicurezza Nazionale Usa. Nulla da dire: l’irritazione brasiliana è condivisibile sotto tutti gli aspetti. Immaginatevi cosa sarebbe successo se tutto ciò fosse avvenuto a parti invertite: probabilmente la notizia avrebbe occupato le prime pagine dei quotidiani e gli schermi tv di tutto il mondo. Difficilmente però il raffreddamento dei rapporti tra i due giganti del nord e del sud America avrà come epilogo la sospensione delle relazioni tra i due paesi, e ancor meno ipotizzabile è una situazione di forte antagonismo come quella tra Venezuela e Stati Uniti, per rimanere al continente latinoamericano. L’economia è più forte di qualsiasi attività di spionaggio ed è facile dimostrarlo con l’attività spionistica messa in atto proprio in Brasile dall’impresa mineraria Vale ai danni degli attivisti delle organizzazioni sociali. La peggiore multinazionale del pianeta (questo è il poco ambito riconoscimento conferitole nel 2012 dal Public Eye Award) utilizzava un’impresa privata, specializzata in intelligence, a cui era delegata l’attività di sorveglianza e controllo di coloro che protestavano contro le sue nefandezze, ma in questo caso non c’è stata alcuna levata di scudi da parte del Planalto (almeno finora), ed è facile capire il perché. La Vale ha tra i principali azionisti il Banco Bradesco (la seconda banca del paese), una delle banche che svolgono un ruolo chiave nell’economia brasiliana. Pare che la stessa presidenta Dilma fosse stata spiata durante gli anni in cui aveva ricoperto l’incarico di ministro dell’Energia e delle Miniere,  ma il caso dello spionaggio condotto a scapito dei militanti in lotta contro la Vale è stato sollevato con decisione solo da Brasil de Fato, il quotidiano della sinistra sociale brasiliana. La Vale aveva l’abitudine di infiltrare i suoi informatori tra le organizzazioni popolari: a farne le spese giornalisti sgraditi, avvocati che sostenevano le cause delle comunità in lotta e anche padre Dario Bossi, comboniano italiano e animatore della rete Justiça dos Trilhos, nata per protestare contro il trasporto del ferro lungo la ferrovia del Carajás, in piena foresta amazzonica. Le responsabilità della Vale sul disastro ambientale e sulle drammatiche condizioni di vita delle comunità che abitano negli stati del Pará e del Maranhão sono enormi, poiché ha di fatto espulso gli abitanti dal loro territorio per costruire nuove miniere e ne ha provocato numerosi morti: la ferrovia, che taglia a metà i territori indigeni e le riserve ambientali, causa non di rado incidenti mortali dovuti al passaggio dei treni tra le 9 e le 12 volte al giorno. La rete di spionaggio attivata dalla Vale funzionava a meraviglia: i contractors che lavoravano per l’impresa mineraria avevano messo a punto un vero e proprio archivio dei “sovversivi”: ciascuno aveva un proprio dossier personale, a partire dai leader del Movimento Sem Terra e del Movimento do Atingidos por Barragens. A rivelare la tentacolare rete spionistica della Vale, addirittura molto più articolata di quella Usa che tanto ha scandalizzato Dilma Rousseff, André Luis Costa de Almeida, impiegato per sei anni presso il Dipartimento di Sicurezza dell’impresa fino al licenziamento del marzo 2012. Il direttore dello stesso del dipartimento, Gilberto Ramalho, aveva già sperimentato operazioni di questo tipo ai tempi di quella dittatura militare che pure la stessa Dilma dovrebbe conoscere bene, visto che l’aveva combattuta militando nelle organizzazioni della sinistra rivoluzionaria. Inoltre, sono almeno altri due i fatti inquietanti rivelati da André Luis Costa de Almeida: il coinvolgimento di Ramalho nel massacro dei Sem Terra di Eldorado dos Carajás, nel 1996, e le mail scambiatesi tra i vertici della Vale. In una di queste Roger Antonio Souza Matta, docente di intelligence alla Fundação Escola Superior do Ministério Público dello stato di Minas Gerais, e il capitano della Marina Mauro Paranhos,  il 16 agosto 2010 scrivevano all’allora direttore della Segurança Empresarial della Vale, Ricardo Gruba, di tenere sotto controllo le “attività di agitazione e propaganda per la Riforma Agraria e contro l’agronegozio”, che i Sem Terra avrebbero effettivamente realizzato in occasione del Grido degli esclusi in programma dal 17 al 19 agosto di tre anni fa. In altre mail emergono i pagamenti della Vale ai suoi contractors, come se fossero dei normali dipendenti: vitto, alloggio e assistenza sanitaria. L’impresa mineraria teneva sotto controllo anche i sindacalisti: in occasione delle proteste della Sindiquímica del Paraná tra il 2011 e il 2012 gli informatori della Vale si erano accreditati come fotografi vicini ai movimenti sociali per poter riprendere da vicino i leader.

Tutto questo per dire che la protesta del Brasile in sede internazionale contro gli Stati Uniti è sacrosanta, e lo spionaggio Usa è un fatto gravissimo, ma il Planalto e la presidenta Dilma Rousseff dovrebbero occuparsi anche dello spionaggio interno ai danni dei movimenti sociali: nel paese verdeoro, invece, l’infiltrazione e il monitoraggio delle organizzazioni popolari non sono considerati illegali e finora l’unica voce levatasi per denunciare la Vale è stata quella dei parlamentari del Psol (Partido Socialismo e Libertade), che hanno chiesto la costituzione di una commissione parlamentare sulle attività della Vale

Redazione
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Un commento

  • BRASILE. SPIONAGGIO IMPERIALISTA.
    Il 2 agosto scorso si e’ conclusa a Cochabamba una riunione di vari giorni per, oltre a dare appoggio a Evo Morale, analizzare lo spionaggio internazionale degli Sati Uniti innanzitutto in America Latina. I temi furono:
    sovranità politica
    sovranità economica
    sovranita’ territoriale
    non rispetto di trattati / accordi internazionali
    strategie politiche continentali.
    Importante e’ stato l’ intervento di Maduro che ricordo’ l’ impegno di Chávez nella denuncia e lotta contro lo spionaggio e le provocazioni degli Stati Uniti.
    A mio avviso lo spionaggio di una multinazionale, VALE per esempio, nei confronti dei propri dipendenti o di movimenti di lotta e’ gravissimo e va combattuto. Ma bisogna tenere conto della contraddizione principale tra imperialismo ed anti imperialismo. Benissimo fa Dilma a denunciare a tutti i livelli e a combattere lo spionaggio politico degli Stati Uniti.
    ARGENTINA
    I media stanno dando attenzione al risultato delle elezioni in Argentina. Su Il Manifesto sono apparsi ed appaiono buoni articoli che valutano la situazione. A mio avviso non e’ scontato che le prossime elezioni siano una meccanica proiezione dei risultati ottenuti pochi giorni fa. Naturalmente mi riferisco alla sinistra ed alla lista che fa riferimento a Cristina Fernandez. Un ruolo importante avra’ la Nuova Ley de medios che farà perdere il monopolio al gruppo del El Clarin che finora ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione di un opinione pubblica moderata.

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