Buonaiuti, allo sbaraglio

Recensione (in ritardo) a «La formazione di un prete modernista: Ernesto Buonaiuti e “Il Rinnovamento” (1907-1909)» – 120 pagine per 14 euri – di Fabrizio Chiappetti, pubblicato dalla Fondazione Romolo Murri di Urbino per la casa editrice Quattro Venti (*)

Se l’antifascismo nell’Italia di oggi fosse davvero un valore condiviso e la base della nostra memoria, il nome di Ernesto Bonaiuti sarebbe conosciuto,

quantomeno come quello di uno dei “12 coraggiosi”. Fu privato infatti, nel 1931, con altri 11 docenti della cattedra universitaria per essersi rifiutato di giurare fedeltà al fascio. Ma venne anche sempre osteggiato dal Vaticano, scomunicato e ridotto allo stato laicale. E nella riconquistata libertà del dopo 25 aprile 1945 fu di nuovo vittima… del Concordato. Ma accettò di «andare allo sbaraglio» con animo sereno: un uomo coraggiosamente fuori da ogni potere.
Era nato a Roma il 25 giugno 1881 e solo per un anno (neppure… morì il 20 aprile 1946) visse in un’Italia liberata dai boia fascisti e dagli infami Savoia. Sacerdote dal 1903. Il 25 gennaio 1925 viene scomunicato per aver preso le difese del “Movimento modernista”. Nel ’29, grazie al Concordato fra Stato e Chiesa, perde la cattedra ma conserva alcune piccole collaborazioni con l’università. Poi nel 1931 viene definitivamente estromesso da ogni ateneo perché rifiuta di prestare “giuramento di fedeltà al fascismo”. Sotto-sotto una delle sue colpe – anche in ambito cattolico – era il “sanguemisto” visto che il padre era un mezzo (o forse “un quarto”) giudeo e si sa… secondo i reazionari dell’epoca bastavano 10 gocce di sangue a fare un giudeo.

Quest’uomo allo «sbaraglio» resta sullo sfondo di un libro che esamina solo un segmento (decisivo però) della sua «formazione». Come riassume la prefazione di Daniele Menozzi, il libro di Chiappetti rivisita sistematicamente «gli interventi pubblicati fra il 1907 e il 1909 nella rivista “Il rinnovamento” […] in vista della modernizzazione di uno Stato che proprio nell’opposizione cattolica alla sua costruzione unitaria aveva trovato una ragione di arretratezza e squilibrio». E per ben capire l’epoca va subito detto che perfino in quella rivista critica le idee di Buonaiuti sembrarono troppo sovversive. All’epoca nessuno poteva prevedere che un ventennio dopo il papa avrebbe firmato un Concordato con un dittatore e lo avrebbe pubblicamente chiamato «uomo della provvidenza». Ma, a ben vedere, i segnali c’erano già.
L’analisi di Chiappetti è dettagliata ed entra nel merito di questioni anche teologiche che in teoria potrebbero non interessare i più. Invece non è così e il contesto storico lo rende subito evidente: l’8 settembre 1907 la lettera enciclica «Pascendi dominici gregis» di Pio X rafforza l’attacco – come riassume Chiappetti – «ai “deplorevoli” frutti dell’età contemporanea, “impaziente di freno nell’indagare le somme ragioni delle cose” […] è il Sommo Pontefice a scendere in campo con la promulgazione dell’enciclica di condanna del modernismo, definito come “la sintesi di tutte le eresie”». Bonaiuti resta incredulo di fronte a quella che considera una cecità assoluta e si convince che non potrà obbedire ai richiami papali.
Fra molte polemiche (e qualche contraddizione interna, come registra Chiappetti) emerge un Bonaiuti “pericoloso” per i poteri. E’, a esempio, quello che vede «una profonda affinità fra il cristianesimo delle origini e la moderna democrazia». Vale citare la chiusura di un suo articolo (scritto sotto pseudonimo) nel 1908: «Oggi la nostra psicologia è profondamente affine a quella di Gesù e dei suoi primi seguaci. Anche noi siamo sotto l’insistente stimolo di un’evoluzione sociale che si va compiendo sotto i nostro occhi […] Noi intendiamo vagamente che nei rapporti economici come nei rapporti morali molto di nuovo sta penetrando nel mondo. Le aspettative sociali della democrazia inducono nel nostro spirito una corrente che è esclusivamente escatologica». Commenta Chiasppetti: «La democrazia è considerata portatrice di speranza a un’umanità che non è più disposta a piegarsi sotto il giogo di un’autorità superiore, distante dai problemi concreti dell’esistenza, sia in campo politico che in quello religioso». Non è difficile capire quanto allora quelle idee puzzassero di zolfo (cioè di demonio) per la gerarchia del Vaticano.
Fatico invece a comprendere – è grande la mia ignoranza in campo religioso (non me ne vanto, sia chiaro: è solo un dato di fatto) – la connessione fra queste idee e il ragionare su un Gesù «completamente umano anche se in modo straordinario». Tanto meno intendo l’importanza (e lo scandalo) della riabilitazione storiografica di Nestorio (vescovo vissuto fra il 381 e il 451 circa) che fu condannato per due affermazioni “eretiche”. Però anche in questo Chiappetti è bravo a farsi intendere, a non cadere in un eccesso di specialismo.
«Ripensamenti e separazioni (1909)»: così si intitola il terzo capitolo del libro che affronta soprattutto questioni legate a diverse interpretazioni del pensiero di san Paolo e sulle radici della Scolastica. Qui le strade di Buonaiuti e della rivista si dividono ma entrambe finiranno, in modo diverso, sotto il «crescendo repressivo messo in atto dalla Curia romana».
Il quarto capitolo affronta tra l’altro il tema del «diritto al dissenso, invocato da Ernesto Buonaiuti sulla scia di alcuni grandi esempi della tradizione cattolica» ma anche il rapporto scienza-fede «per il quale Buonaiuti ha in mente un “grande sogno di sintesi”». Lo scontro però è aperto. Il 28 ottobre 1907 infatti è comparso – in risposta all’enciclica «Pascendi dominici gregis» – quel «Orogramma dei modernisti» che diventerà poi un libro. E già il 29 ottobre «a firma del Vicario di Roma, csardinale Pietro Respighi, viene comminata la scomunica agli autori del “Programma”, benché sconosciuti». Quel testo scomunicato sarà tradotto in francese, inglese, tedesco. Diverrà per molti un punto di riferimento importante. Mentre le polemiche continuano «tra le poche voci laiche fuori dal coro […] va segnalata quella di Antonio Gramsci» ed è opportuno citarne un passaggio: «I modernisti erano riformatori religiosi, apparsi non secondo schemi intellettuali prestabiliti, cari all’hegelismo, ma secondo le condizioni reali e storiche della vita religiosa italiana. L’atteggiamento dei Croce e dei Gentile (col chierichetto Prezzolini) isolò i modernisti nel mondo della cultura e rese più facile il loro schiacciamento da parte dei gesuiti, anzi parve una vittoria del papato contro tutta la filosofia moderna». Ci fu, ricorda Chiappetti, un avvicinamento di Bonaiuti «alle posizioni socialiste» ma non è questo il tema del libro.
In sintesi? Un pensiero originale e fecondo, la coerenza di un ideale («pur fra oscillazioni interiori e la tendenza a dissimulare sotto pseudonimi […] i contenuti del proprio pensiero»: così Fabrizio Chiappetti nelle «conclusioni» del volume. E il volume si chiude con una bella, efficace sintesi. «La ricerca buonaiutana è ricerca della “contemporaneità” con Cristo: con il divino che è in noi, da cui scaturisce il sentimento religioso e con quello che si muove nella storia, che riaffiora ciclicamente nei movimenti spiritualistici e millenaristici. Si tratta insomma di qualcosa molto simile alla convinzione che Ignazio Silone mette sulle labbra dell’unico papa dimissionario della storia, Celestino V, quando afferma di non temere le persecuzioni di Bonifacio VIII contro quelli come lui». Ed ecco – in «L’avventura di un povero cristiano» – le efficacissime parole di Celestino, cioè di Silone: «Vi sarà sempre qualche cristiano che prenderà Cristo sul serio, qualche cristiano assurdo, come ama dire Bonifacio. Perché gli stessi che lo tradiscono non possono distruggere il Vangelo, lo possono nascondere, ne possono dare interpretazioni di comodo, ma non distruggerlo. Per cui ogni tanto qualcuno lo riscoprirà e accetterà con animo sereno di andare allo sbaraglio».
Allo sbaraglio – aggiungo io – coraggiosamente Buonaiuti andò negli anni successivi, sfidando il fascismo e il Concordato stretto con il Vaticano. Alla fine di quel triste ventennio Ernesto Buonaiuti visse, per pochi mesi, in una nuova Italia dove però la libertà rimase zoppa. Fu l’unico fra i docenti radiati e finalmente riammessi all’insegnamento a essere escluso – in quanto scomunicato – dall’università (statale) sulla base del Concordato; e ben pochi si indignarono. Subito dopo le sinistre accettarono di non mettere in discussione quell’infame Concordato… ma questa è un’altra storia.

(*) Chiedo venia, doppiamente. Il 18 agosto 2010 ironizzando qui in blog su una quasi omonimia – vedi «Omonimie: Bonaiuti (Ernesto e Paolo)» – scrivevo: «Mentre si aspetta che qualche editore rilanci un’edizione critica dei suoi scritti è sintomatico (purtroppo) che così poco nel dopoguerra ci sia occupati di Ernesto Buonaiuti, persino fra i cattolici progressisti, anche a livello di ricerche storiche. In pratica a scrivere su di lui è stato quasi solo Giordano Bruno Guerri con la biografia (Mondadori ma poi ristampata da Utet) intitolata “Eretico e profeta. Ernesto Buonaiuti, un prete contro la Chiesa”». Dopo di che in blog ho citato Buonaiuti altre volte, ricordando appunto che fu uno dei 12 docenti (solo 12 su 1250) universitari che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo. Però, pur avendo ricevuto tempestivamente questo libro di Fabrizio Chiappetti, ho sempre rimandato la recensione, così da accumulare un anno e mezzo di ritardo e da collocarmi adesso nella rubrica «Chiedo venia». Come ho già spiegato altre volte, mi è capitato, mi capita – e temo ancora mi capiterà – di non parlare in blog di alcuni bei libri pur avendoli letti. Perché accade? A volte nei giorni successivi alle letture sono stato travolto (da qualcosa, qualcuna/o, da misteriosi e-venti, dal destino cinico e baro, dalla stanchezza, dal super-lavoro … o da chi si ricorda più). Altre volte ho concordato recensioni che poi non sono state pubblicate (tanto meno pagate, è ovvio) e le ho lasciate in salamoia anziché metterle in blog. Oppure, come in questo caso, ho chiesto a qualche amico – più esperto di me sul tema – di ragionare su un libro e su un personaggio storico che mi pareva importante esaminare nei dettagli storici come nel quadro “religioso” (non proprio uno dei temi che ho studiato)… Ma anche il mio “incaricato” si è fatto travolgere. In definitiva con Chiappetti sono stato scortese due volte: rimandando di parlare di un bel libro e penalizzando un amico al quale oltretutto avevo chiesto chiesto proprio la «Scor-data: 25 giugno 1881» su Buonaiuti. Dunque chiedo e richiedo venia. (db)

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