Canada: le Chiese e l’orrore normalizzato

due articoli di Marco Cinque (*) e due testi ripresi da “Riforma.it”

Le chiesette in Canada

Nativi. Sottratti alle famiglie, uccisi e nascosti: le storie di centinaia di bambini tornano alla luce attraverso i loro resti ritrovati

di Marco Cinque

Le recenti scoperte di 182 tombe anonime nei pressi della St Eugene’s Mission e delle 750 tombe senza nome occultate nell’ex collegio cattolico di Marieval, unite ai ritrovamenti di una fossa comune nella Kamloops Indian Residential School, con i resti di 215 bambini indigeni, stanno facendo emergere le reali dimensioni del genocidio che si è consumato, tra il 1863 e il 1998, all’interno dei 118 istituti religiosi sparsi per il Canada: veri e propri lager istituzionali dove furono internati 150mila bambini indigeni, dopo essere stati sottratti con la forza alle loro famiglie. Tuttavia, oltre ai recenti ritrovamenti, ci sono ancora altri 28 siti di sepoltura già individuati che potrebbero portare alla luce molte altre vergogne come quelle già emerse, senza contare i luoghi di occultamento che ancora non sono stati indagati in tutte le altre scuole residenziali canadesi.
La pratica criminale dell’assimilazione forzata delle giovani generazioni indigene è stata adottata in lungo e in largo su scala planetaria, sia in Canada che negli Stati uniti, sia in Australia che in Nuova Zelanda. I governi che si sono succeduti in questi paesi sono tutti responsabili dei genocidi, delle politiche di spossessamento, nonché delle leggi razziali, alcune delle quali ancora sopravvivono: negli Usa la legge federale Major Crime Act permette di condannare a morte i nativi americani anche in Stati dove non c’è la pena capitale, mentre in Canada la Sterilization Law, usata massicciamente in passato per sterilizzare interi gruppi di adolescenti, è ancora prevista nella British Columbia, dove le donne indigene che entrano in ospedale per partorire spesso escono con le tube legate a loro insaputa.

 

Memorial e proteste a Kamioops. Foto Ap

 

Il genocidio canadese è stato pianificato dai governi che hanno legiferato degli abomini razziali, poi messi in atto dai vertici ecclesiastici negli istituti religiosi, il cui motto era già ben chiaro dal 1875, quando il vescovo Vital Grandin affermò senza il minimo pudore: «Instilliamo in loro un pronunciato disgusto per la vita nativa in modo che vengano umiliati quando viene ricordata la loro origine. Quando si diplomano nelle nostre istituzioni, i bambini hanno perso tutto dei Nativi, tranne il loro sangue».
Sono passati già 13 anni dalle scuse pubbliche dell’ex primo ministro Stephen Harper, durante i quali è stato fatto poco o nulla al di là di qualche magro risarcimento ed ora siamo alle ennesime e retoriche scuse ufficiali dell’attuale premier Justin Trudeau. Dopo la scoperta della fossa comune di Kamloops, Trudeau ha comunque usato toni duri verso la Santa Sede, minacciando provvedimenti legali se non collaborerà, fornendo tutti i documenti e le prove richieste dalle famiglie delle vittime. In una conferenza stampa ha persino ricordato un suo viaggio in Vaticano, nel 2017, durante il quale chiese a Papa Francesco le scuse formali per gli abusi sugli studenti, lamentandosi però di non aver ricevuto alcuna risposta, ma solo reticenze e silenzi.
Bisogna tuttavia ricordare che appena all’inizio dello scorso anno, a seguito delle proteste pacifiche della Nazione «Wet’suwet’en» che bloccarono il Paese contro la costruzione del Coastal GasLink nei loro territori, lo stesso Trudeau, che ora si straccia le vesti, affermò: «Il fatto rimane che le barricate devono ora essere abbassate. Le ingiunzioni devono essere rispettate e la legge deve essere confermata». Ma se le leggi del suo governo umiliano, deprivano, rapinano e inquinano le terre dei Nativi e le loro esistenze, come si può pretendere che vengano rispettate? Come ci si può fidare di chi da una parte compiange i morti, ma dall’altra non si cura dei vivi, a vantaggio dei profitti e delle multinazionali petrolifere?

Anche se la storia degli abusi e degli omicidi nelle scuole residenziali canadesi era nota già dall’inizio del secolo scorso, le notizie dei ritrovamenti dei resti di ormai più di 1000 bambini indigeni nei tre siti di occultamento della British Columbia, sembrano aver risvegliato i media, la politica, la magistratura e le organizzazioni umanitarie. In un comunicato stampa del 4 giugno scorso, ripreso poi dal The Canadian Press, i relatori speciali delle Nazioni Unite avevano affermato che la magistratura canadese dovrebbe condurre indagini penali su tutte le morti sospette e le accuse di tortura e violenza sessuale contro i bambini tenuti nelle scuole residenziali, onde perseguire e sanzionare i colpevoli e i dissimulatori che potrebbero essere ancora vivi.

A proposito di archivi, tra il 1936 e il 1944 il governo canadese fece distruggere 200mila fascicoli e 15 tonnellate di documenti cartacei relativi alle scuole residenziali, si presume che ciò sia servito a far diventare i bambini nativi dei fantasmi della storia. A Kamloops, la Truth and Reconciliation Commission of Canada (Trc), aveva provato a fare dei conteggi, registrando in tutto 51 bambini deceduti nella scuola residenziale, poi la scoperta della fossa comune coi 215 corpi ha rivelato, se ancora ce ne fosse bisogno, che le stime sono e saranno sempre diverse da quelle ufficiali. Per questo, anche se Vaticano, governo canadese, vertici militari e tutte le istituzioni che hanno avuto a che fare con gli abusi, aprissero i loro scrigni della vergogna, il numero reale dei morti sarebbe sempre infinitamente maggiore di quello che verrà ufficialmente dichiarato.
Adesso che l’indignazione si è fatta palpabile, che la tensione e le proteste montano, che le statue dell’invasore vengono imbrattate e abbattute e che persino alcune chiese vengono date alle fiamme, tutti chiedono a gran voce lo smantellamento del muro di gomma che ha precipitato nell’oblio l’abominio di un genocidio troppo a lungo nascosto; ma forse sarebbe necessario non accontentarsi di qualche scheletro nell’armadio messo in bella mostra, quanto invece lavorare affinché non si riempiano nuovi armadi con altri scheletri. Se si vuole arrivare a una verità credibile e, quindi, a una vera riconciliazione, questa non può realizzarsi solo attraverso la conta delle piccole vittime innocenti; non solo sulle pubbliche scuse dal sapore confessionale e auto assolutorio; non solo sulle tristi celebrazioni e i memorial per ricordare le vite negate e spezzate di troppi bambini ma, soprattutto, su un vero riconoscimento politico, culturale e legale delle Nazioni native, sul rispetto delle loro terre e del loro diritto all’autodeterminazione.
Ultime notizie: Il 30 giugno sono state scoperte altre 182 tombe anonime nei pressi della St Eugene’s Mission, vicino alla città di Cranbrook, nella Columbia Britannica. La maggior parte dei corpi rinvenuti apparterrebbero a minori tra i 7 e i 15 anni. 

SCHEDA

Studi e ricerche

  • Peter Bryce: The story a National crime
    – John S. Milloy:
    A National Crime
    – Murray Sinclair:
    Canada’s Residential Schools: The Metis Experience
    – J.R. Miller:
    Residential school and reconciliation
    – Bevan Fox:
    Genocidal Love
    – Edmund Matatawabin:
    Up Ghost River
    – David. A. Robertson:
    Sugar Falls – A Residential School Story
    – Phil Fontaine:
    A knock on the door
    – Melaine Florence:
    Righting Canada’s Wrongs
    – Raymond Mason:
    Spirit of the grassroos people
    – Paulette Regan:
    Unsettling the settler within
    – Ward Churchill:
    Kill the indian, save the man
    – Canada’s Residential Schools:
    The Final Report of the Truth and Reconciliation Commission of Canada
  • Film doc, Youtube
  • Clouds of Autumn’s film di Trevor Mack & Matthew Taylor Blais
    Indian Horse film di Stephen S. Campanelli
    Remembering the Forgotten Children film di Graham Constant
    – Indian Residential School Student Documentary di Arnell Tailfeathers
    Unrepentant, documentario di Kevin Annett
    Wawahte: Stories of Residential School Survivors, documentario di Robert Wells
    Stolen Children, Residential School survivors speak out – Documentario Cbc;
  • Canada’s Dark Secret, documentario di Al-Jazeera
    – What are the horrors of Canada’s church-run residential schools? We Were Children – DocuBay
    Holy Angels: The horrors of Canada’s residential schools for aboriginal children – DocuBay

L’orrore senza fine delle testimonianze

Crimini. Il tragico elenco dei bambini nativi nascosti e uccisi ha avuto come scenario, fin dagli anni Trenta, le scuole residenziali religiose canadesi

di Marco Cinque

La prima testimone oculare ad aver reso pubblico uno degli omicidi avvenuti all’interno delle scuole residenziali religiose canadesi è stata Harriett Nahanee, morta nel febbraio del 2007, dopo le ruvide attenzioni riservatele in un carcere di Vancouver. Poi è toccato a Nora Bernard, la prima nativa in Canada a denunciare pubblicamente la Chiesa cattolica. La Bernard venne assassinata nel dicembre del 2007, proprio alla vigilia del riconoscimento ufficiale del genocidio nelle scuole residenziali.
Quindi è stata la volta di William Combes, testimone oculare del rapimento di dieci bambini dalla scuola residenziale indiana di Kamloops, avvenuto il 10 ottobre 1964, durante la visita reale della Regina Elisabetta e del principe Filippo. Combes morì misteriosamente dopo aver subito un’iniezione nell’ospedale cattolico St. Paul’s di Vancouver, il 26 febbraio 2011.
Johnny Bingo Dawson, un altro testimone degli orrori nelle scuole residenziali anglicane, nonché leader delle proteste contro i crimini avvenuti, dopo essere stato prima minacciato e poi aggredito dalla polizia, è morto a Vancouver per le ferite causate dal brutale pestaggio, il 9 dicembre 2009. La causa ufficiale della morte è stata per avvelenamento da alcool, nonostante l’assenza di alcool nel suo sangue. In seguito, anche Ricky Lavallie, il testimone oculare del pestaggio di Bingo da parte di tre poliziotti, morì il 3 gennaio 2012 per un colpo al petto.

Nell’elenco dei crimini che segue, si citano molti nomi, sia delle vittime che dei carnefici, oltre a date e luoghi dove questi sono avvenuti. Ma tali crimini andrebbero moltiplicati per le decine di migliaia di bambini nativi scomparsi o che mancano all’appello, tra i 150mila che sono stati brutalmente sottratti alle famiglie e internati nei lager istituzionali gestiti dal personale religioso; bambini che spesso venivano venduti come cavie da laboratorio a istituti per la ricerca medica e a strutture militari che necessitavano di corpi da martoriare con gli esperimenti più crudeli, tutti protetti dalla certezza dell’impunità.
Il 5 gennaio 1938 l’undicenne Albert Gray, per aver preso senza permesso una prugna da un barattolo, venne pestato a morte dal reverendo Alfred Caldwell, preside della United Church of Canada. Il corpo del bambino fu sepolto in segreto dietro la scuola indiana Ahousat, ma Alfred Caldwell non è mai stato indagato. Il 24 dicembre 1946, sempre lo stesso Caldwell, prese violentemente a calci, fino a causarne la morte, la quattordicenne Maisie Shaw, nella scuola residenziale Alberni della United Church, come testimoniato da Harriett Nahanee, ma il Rcmp (Royal Canadian Mounted Police) insabbiò l’omicidio.

Diciotto ragazzini Mohawk, tutti sotto i sedici anni, vennero uccisi dai soldati canadesi fuori Brantford, Ontario, nell’estate del 1943, come testimoniato da Rufus McNaughton. I loro corpi furono sepolti in segreto in una fossa comune.
Un neonato cree venne bruciato vivo da un sacerdote della scuola cattolica indiana Muscowegan, vicino Regina, nel maggio del 1944, come testimoniato da Irene Favel. Quel prete naturalmente non è mai stato accusato.
Albert Baptiste, di 9 anni, morì nel Natale del 1951 per le scosse elettriche causate da un pungolo per il bestiame maneggiato da un sacerdote cattolico, nella scuola residenziale Mission.
Vicky Stewart, un bambino di 9 anni della nazione Tsimshian, venne ucciso nella scuola residenziale della Chiesa Unita a Edmonton, il 9 aprile 1958, dalla direttrice della scuola Ann Knizky, che lo colpì con violenza sulla testa. Il RCMP si rifiutò di sporgere denuncia contro la Knizky, minacciando di incriminare e arrestare i famigliari di Vicky se avessero insistito con la denuncia.
David Sepass aveva 8 anni quando fu buttato giù dalle scale e lasciato morire da un prete della scuola cattolica di Kuper Island, all’inizio del 1958.
Susan Ball, di soli 5 anni, morì di fame chiusa in un armadio, nella scuola residenziale United Church di Edmonton, durante l’inverno del 1959. Quella punizione atroce le fu riservata da un’educatrice, perché Susan si era permessa di parlare la propria lingua nativa.

Il 3 aprile 1964 Richard Thomas venne sodomizzato e poi strangolato a morte dal prete cattolico Terence McNamara, nella scuola indiana di Kuper Island. Richard fu sepolto in segreto in un frutteto a sud della scuola, mentre Terence McNamara, che è ancora vivo, non è mai stato accusato.
Elaine Dick, una bimba di 6 anni, venne presa a calci fino alla morte da una suora, nell’aprile del 1964, nella scuola indiana Squamish di Vancouver. Come al solito il Rcmp si rifiutò di sporgere denuncia su richiesta della famiglia.
Il quattordicenne Nancy Joe morì a causa di un test sperimentale effettuato da medici militari all’ospedale indiano di Nanaimo, nella primavera del 1967.
Il 5 dicembre 1969 Margaret Sepass fu violentata e poi picchiata a morte da un prete anglicano di nome John Warner, nella scuola indiana di St. Michael ad Alert Bay, Columbia Britannica. Margaret aveva 9 anni. Il suo luogo di sepoltura è sconosciuto e John Warner non è mai stato accusato.
Nel febbraio del 1971, Daniel Kangetok, un bambino di 4 anni, venne infettato con un virus, come parte di un programma sperimentale del Defense Research Board, finanziato dall’esercito canadese. Il bambino fu lasciato morire nella scuola residenziale anglicana Carcross, nello Yukon.

L’adolescente Lorraine White fu vittima di uno stupro di gruppo da parte del personale della scuola residenziale della Chiesa Unita e lasciata morire, a Port Alberni, nell’ estate del 1971.
Pauline Frank, di 8 anni, morì a causa delle sperimentazioni mediche eseguite dai ricercatori dell’esercito canadese, sempre all’Ospedale Indiano di Nanaimo, nel marzo del 1972. Il suo corpo fu sepolto in segreto nei terreni dell’ospedale, che è ancora proprietà militare riservata.
Molti testimoni oculari, soprattutto quelli più impegnati a denunciare i crimini commessi negli istituti religiosi, sono deceduti in circostanze strane e improvvise. Solo tra il 2010 e il 2012 sono venuti a mancare il capo Louis Daniels, l’anziano Phillip Ryan, Johnny Bingo Dawson, William Combes, Harry Wilson e Ricky Lavallie. Prima delle loro ci sono state morti altrettanto strane e improvvise di altri testimoni come Archie Frank, Willie Sport, Joe Sylvester, Virginia Baptiste, Nora Bernard e Harriet Nahanee. Questi testimoni indigeni sono stati determinanti nel denunciare chiese e governo canadese per i loro crimini contro l’umanità, ma tutti loro hanno pagato il prezzo più alto per averlo fatto.

(*) testi ripresi da «Alias-il manifesto» del 10 luglio 2021

 

Due articoli ripresi da “Riforma.it” (Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia).

Una pagina tragica della storia del Canada

di Massimo Rubboli

Le scuole residenziali per i nativi rappresentano una grave ferita. Le ammissioni delle Chiese

A fine settembre del 1989, vidi al Vancouver International Film Festival un bel film, diretto da Bruce Pittman e intitolato Where the Spirit Lives, che racconta la storia di una ragazza indiana che, alla fine degli anni Trenta, viene rapita insieme ad altri da un villaggio della tribù Kainai nel sud dell’Alberta per essere educata in una «scuola residenziale» anglicano per bambini indiani1. Questa scuola faceva parte di una rete di centri di rieducazione creati dal ministero federale per gli Affari Indiani allo scopo di integrare le comunità indigene nella società bianca anglosassone. La gestione dei centri era affidata alle principali chiese canadesi: la Chiesa cattolica, la Chiesa anglicana, oltre ai Metodisti e ai Presbiteriani che, nel 1925, formarono con altri la Chiesa unita del Canada. Un anno prima del film di Pittman, erano stati pubblicati due testi su questo argomento: Indian School Days di Basil Johnton, che era l’autobiografia di un ex-allievo, e Resistance and Renewal: Surviving the Indian Residential School di Celia Haig-Brown, il primo tentativo di ricognizione storica.

Da allora, l’esperienza delle scuole residenziali per nativi ha attratto sempre più l’attenzione di ricercatori, politici e istituzioni religiose e politiche, ed è diventata sempre più una pagina nera della storia del Canada, che è arrivata nelle ultime settimane anche sui nostri mezzi d’informazione, dopo il ritrovamento di centinaia di cadaveri in tombe anonime sui siti di scuole residenziali cattoliche nell’Ovest canadese e gli incendi dolosi di alcune chiese cattoliche.

Una certa stampa sensazionalista ha presentato questa tragica vicenda come “genocidio”, cioè distruzione deliberata e violenta di una razza, paragonandolo addirittura all’Olocausto2. Si trattò invece di una forma di “genocidio culturale” o, più precisamente, di un programma di ingegneria sociale per l’assimilazione culturale dei popoli nativi, che mirava anche a privarli dei diritti ancestrali sulle loro terre.

In realtà, il sistema delle scuole residenziali era stato già messo sotto accusa molto tempo fa. Il dott. Peter Bryce, che nel 1904 era stato nominato “ispettore medico” nei Dipartimenti dell’Interno e degli Affari Indiani, nel 1907 visitò 35 di queste scuole e ne denunciò le pessime condizioni sanitarie e l’alto tasso di mortalità, dovuto alla tubercolosi. Nel 1922, Bryce pubblicò Un crimine nazionale (The Story of a National Crime: Being an Appeal for Justice to the Indians of Canada, the Wards of the Nation, Our Allies in the Revolutionary War, Our Brothers-in-Arms in the Great War), ma la sua denuncia non servì a modificare la situazione.

La struttura iniziò a essere smantellata soltanto negli ultimi decenni del secolo scorso e nel 1996 fu nominata una Royal Commission [l’equivalente della nostra commissione parlamentare] sui popoli aborigeni, con il compito di indagare sulla violenza e gli abusi nelle scuole residenziali. Il governo federale, sulla base del rapporto della commissione, oltre a chiedere scusa a quanti avevano subito violenze fisiche o psicologiche nelle scuole residenziali, istituì una Fondazione per la cura degli aborigeni con una dotazione di 350 milioni di dollari. Infine, nel 2008, il primo ministro canadese Stephen Harper presentò scuse formali per le suole residenziali e venne istituita la Indian Residential Schools Truth and Reconciliation Commission.

La posizione delle chiese. Anche le Chiese che avevano gestito questo programma federale hanno preso posizione, anche se con grave ritardo, con dichiarazioni riguardanti il tentativo di imporre valori culturali europei ai popoli aborigeni.

Soltanto nel 1986, il pastore Robert Smith – moderatore della Chiesa unita – chiese scusa a nome della sua chiesa con queste parole: «Molto prima che il mio popolo arrivasse in questa terra, il vostro popolo era qui […]. Nel nostro zelo di annunciarvi la buona notizia di Gesù Cristo, siamo stati insensibili a valore della vostra spiritualità. Abbiamo confuso la cultura occidentale con la profondità e l’ampiezza del vangelo di Cristo. Abbiamo imposto la nostra civiltà come condizione per l’accettazione del vangelo […]. Noi vi preghiamo di perdonarci». Dieci anni dopo, la Chiesa unita ha rinnovato la richiesta di scuse «per il dolore e la sofferenza causato dal coinvolgimento della nostra chiesa nel sistema delle scuole residenziali indiane. Samo coscienti di una parte del danno che questo sistema di assimilazione, crudele e mal concepito, ha provocato per le Prime Nazioni del Canada».

Per la Chiesa cattolica, che non fu coinvolta in quanto tale ma attraverso alcuni suoi ordini regolari, nel 1991 il rappresentante delle Oblate di Maria Immacolata ha chiesto perdono «per essere stati coinvolti nell’imperialismo culturale, etnico, linguistico e religioso che faceva parte della mentalità con la quale i popoli europei affrontarono i popoli aborigeni» (ma papa Benedetto XVI, durante l’udienza privata con la delegazione dell’Assembly of First Nations del Canada svoltasi in Vaticano nell’aprile 2009, espresse soltanto “dispiacere” per il trattamento dei minori indiani nelle scuole cattoliche).

Nel 1993, la Chiesa anglicana ha chiesto scusa ai nativi per aver cercato di «modellarvi a nostra immagine, privandovi del vostro linguaggio e dei segni della vostra identità». Un anno dopo, anche la Chiesa presbiteriana ha riconosciuto che «le radici del male che abbiamo fatto si trovano nelle posizioni e nei valori del colonialismo europeo occidentale e nel presupposto che ciò che non era fatto a nostra immagine doveva essere scoperto e sfruttato».

NOTE

1. Ci sono stati poi altri film o documentari, come We Were the Children del 2012.

2. Vedi gli articoli di Luca Codignola, «I bambini indiani morti in Canada per un tentativo di assimilazione fallito», Panorama.it (6 luglio 2021), <https://www.panorama.it/news/dal-mondo/bambini-indiani-morti-in-canada>, e Jacques Rouillard, «Le “génocide” des Autochtones», Le Devoir (6 juillet 2021), <https://www.ledevoir.com/opinion/idees/615969/le-genocide-des-autochtones>.

Nativi americani: siamo di fronte a un nuovo genocidio?

della Redazione di Riforma.it

Tony Kireopoulos, segretario generale associato del Consiglio nazionale delle chiese cristiane negli Stati Uniti ,si interroga su come uomini di fede possano aver compiuto simili atrocità a danno del loro prossimo

Tony Kireopoulos, segretario generale associato del National Council of Churches Usa, il Consiglio nazionale delle chiese cristiane negli Stati Uniti, è autore di una accorata lettera di denuncia a seguito dei drammatici ritrovamenti di centinaia di corpi di nativi americani in cimiteri connessi a scuole cattoliche in Canada, per lo più giovani studenti. Kireopoulos, alla luce anche delle prossime ricerche che rischiano di svelare un quadro ancor più drammatico, si interroga con drammaticità sul perché uomini di fede possano arrivare a perpetrare quello che appare un nuovo genocidio.

Qui di seguito il testo della lettera:

«Le recenti notizie sulle fosse comuni e non contrassegnate nelle scuole residenziali canadesi sono sconvolgenti. In effetti, senza voler ignorare il Sentiero delle Lacrime (il percorso attraverso cui i nativi americani venivano deportati nelle terre loro attribuite dal governo, ndr) e altri abusi a danno dei popoli indigeni nel nostro Paese, gli Stait Uniti, il destino dei bambini indigeni nelle scuole residenziali canadesi, gestite dalle chiese per conto del governo, è di particolare tristezza e orrore.

Le scoperte, diverse settimane fa a Kamloops, nella Columbia Britannica, e pochi giorni fa a Marieval, nel Saskatchewan, hanno focalizzato le autorità canadesi sulla storia secolare delle scuole residenziali e sull’eredità in corso; scuole che avevano lo scopo di assimilare le popolazioni autoctone. I leader del governo e degli indigeni hanno definito tale pratica una forma differente di genocidio ed è in corso un’indagine a livello di sistema su altre scuole e cimiteri. Di conseguenza, un’indagine simile si svolgerà nei siti delle scuole dei nativi americani negli Stati Uniti, dove l’esperienza dei popoli indigeni è parallela a quella di quelli in Canada. Questa tragedia in corso pone la domanda: siamo, infatti, di fronte a un altro genocidio?

Sollevo questa domanda da un particolare punto di vista. Nel 2004 ho avuto l’onore di recarmi in Ruanda e di partecipare a una consultazione del Consiglio ecumenico delle chiese sulla dignità umana per commemorare il decimo anniversario del genocidio ruandese. Nello stesso anno, ho ospitato una presentazione di Samantha Power, che aveva recentemente pubblicato il suo libro vincitore del Premio Pulitzer, A Problem from Hell: America and the Age of Genocide (New York: Basic Books, 2002), e la cui carriera come avvocata per i diritti avrebbe continuato a portarla ai più alti livelli del governo degli Stati Uniti. Ho continuato a servire nella direzione del consiglio di amministrazione della Save Darfur Coalition e della sua organizzazione seguente, United to End Genocide (come presidente), e ho anche partecipato a riunioni della comunità delle Nazioni Unite sulla responsabilità di proteggere, spingendo una risoluzione del Consiglio nazionale delle chiese che approva tale principio. Inoltre, ho convocato una consultazione del Ncc sulla complicità delle chiese nel genocidio e in seguito ho contribuito al lavoro di un gruppo di studio “Violenza in un’era di genocidio”, che è stato pubblicato collettivamente come “Violenza razziale e responsabilità delle chiese”  in una sezione dedicata di un numero speciale del Journal of Ecumenical Studies (2020: 55, 1). È con questa esperienza che rivolgo il mio sguardo verso le terribili scoperte delle fosse comuni e senza nome nelle scuole residenziali in Canada.

Naturalmente, le scoperte hanno sconvolto molti in Canada, negli Stati Uniti e in tutto il mondo. Infatti, anche se la notizia della scoperta di Kamloops stava già circolando, è stato solo attraverso una conferenza del Consiglio ecumenico delle Chiese a giugno che ho appreso l’entità della tragedia e del trauma tra i popoli indigeni in Canada. È stato anche in questa conferenza che ho appreso della resa dei conti iniziata in tutto il Canada, e in particolare nelle chiese. Il fatto che le nozioni quasi teologiche, o peggio ancora eretiche, della dottrina della scoperta e del destino manifesto fornissero una giustificazione per questo trattamento delle comunità indigene nel Nord America è una ragione per cui le persone di fede devono considerare questa esperienza con allarme. È lo stesso allarme con cui guardiamo oggi alla nozione altrettanto eretica del nazionalismo cristiano.

Suppongo che il genocidio sia stato con noi dall’inizio dei tempi. E di sicuro non è stato perpetrato solo dai cristiani. Ma quando è stato eseguito in nome di Cristo, o da coloro che rivendicano Cristo come loro salvatore – come è stato in Germania, Bosnia, Ruanda e apparentemente in Nord America – è motivo per i cristiani e le loro chiese di riflettere su se stessi, confessare il peccato e fare ammenda.

Mentre contempliamo questa tragica storia, dobbiamo chiederci: come si fa a disprezzare un altro fino al punto di sterminare un’intera popolazione? E come fanno le persone apparentemente radicate nella fede a commettere un tale male? I protestanti tedeschi lo hanno fatto agli ebrei. I serbi ortodossi lo hanno fatto ai musulmani bosniaci. Gli hutu cattolici lo hanno fatto ai tutsi cattolici. E i cristiani di molti credi lo hanno fatto alle popolazioni indigene del Nord America. Una cosa sembrano avere tutti in comune: un totale disprezzo per gli altri che pensano non siano completamente umani. Non hanno bisogno di considerare le loro vittime parassiti o scarafaggi, come è avvenuto rispettivamente in Germania e in Ruanda. Hanno semplicemente bisogno di vederli come umani per metà o tre quarti, come è stato fatto negli Stati Uniti durante e subito dopo la schiavitù. In quale altro modo spiegare, tra migliaia di morti per malattie, abusi e abbandono, l’omicidio di bambini nati da ragazze indigene che apparentemente erano state violentate da preti e monaci, nelle scuole residenziali canadesi?

Quindi quello che è successo in Canada, e forse negli Stati Uniti, è da considerarsi un genocidio? Un mio stimato collega, Kenneth Q. James della African Methodist Episcopal Zion Church, ha redatto un documento non molto tempo prima della sua morte (nel 2020) in cui ha sostenuto in modo convincente che il trattamento degli afroamericani nella storia degli Stati Uniti è stato pari a un «lento genocidio». Dalle prove dissotterrate nei cimiteri delle scuole residenziali canadesi, sembra che il trattamento riservato ai popoli indigeni del Nord America fosse lo stesso. Se commesso in un periodo relativamente breve, o oltre un secolo, è pur sempre un genocidio, se l’intento è quello di sradicare il futuro di un intero popolo.

Mentre contempliamo l’orrore che senza dubbio continuerà a manifestarsi man mano che verranno esplorati più cimiteri alla ricerca di fosse comuni e non contrassegnate, chiamiamoci a rendere conto di ciò che è accaduto. Sì, questi abusi sono avvenuti nei decenni e nei secoli passati, ma poiché continuiamo a partecipare a qualsiasi tipo di pratica discriminatoria o a beneficiare di persecuzioni sistematiche che possono essere radicate in un tempo e in un luogo diversi, rimaniamo moralmente complici del peccato oggi. E quindi ciò richiede una risposta morale, politica, legale e spirituale. Pertanto, mentre ora andiamo avanti ripetendo ciò che è stato detto dopo l’Olocausto, «Mai più!», si devono trovare modi efficaci di riconciliazione sociale, come nei tribunali Gacaca in Ruanda con l’affidamento parziale del giudizio riservato alle vittime; e, come in Bosnia, pregare perché il ricordo delle vittime sia eterno: cosa faremo ancora adesso, come individui e comunità di fede, in risposta alle scuole residenziali nordamericane? Dio ci aiuti».

Foto: un totem indiano guarda la città canadese di Vancouver

IN “BOTTEGA” di Canada e genocidi culturali anni fa aveva scritto (qui e qui) Marco Cinque; con la replica (qui) di RR. Qui Canada: i bambini ammazzati non smettono di piangere trovate le ultime denunce e i video

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Giorgio Stern

    È difficile commentare un simile abominio. Tanto conosciuto e noto quanto nascosto o mistificato. Quanti storici e cattedratici ne sapevano? Trattandosi di addetti ai lavori non porevano ignorarlo.
    E poi…. bastava chiederlo agli americani. In Canada come altrove nel continente “selvaggi” degni solo di estinzione, sostituiti dal colonialismo d’insediamento degli Stati europei. Ieri come oggi. Tant’è che non li chiamiamo americani o canadesi ecc. perchè li abbiamo sostituiti anche nel nome, contro ogni logica. Voglio concludere pescando nel presente: “…Neanche la grande democrazia americana sarebbe potuta nascere senza lo sterminio degli indiani. Ci sono casi in cui il buon fine giustifica atti duri e crudeli che vengono commessi nel corso della storia. È impossibile evitarlo. Senza la rimozione dei Palestinesi, qui non sarebbe potuto nascere uno Stato ebraico” Benny Morris, storico israeliano, intervista la quotidiano Haaretz, 8 gennaio 2004. Grazie per lo spazio concessomi // Giorgio Stern

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