C’eravamo tanto armati/16

articoli di Alessandro Canella, Andrea M. Jarach, “Metalli Rari” e

 

 

Un dossier su armi e complicità di Leonardo spa con Israele

di Alessandro Canella – Radio Città Fujiko (*)

Dagli F35 modificati con cui Israele ha bombardato quotidianamente Gaza ai cannoni navali prodotti a La Spezia, che la marina israeliana ha utilizzato per colpire dal mare. Dalle forniture di contratti pregressi, che però avrebbero dovuto essere sospese in ossequio alla legge 185/90, all’assistenza tecnica da remoto e al supporto logistico che sono continuati durante tutto il genocidio. Fino alla fusione con Rada, società che ha tre sedi in Israele.
A dispetto delle parole del ceo di Leonardo spa, l’ex ministro Roberto Cingolani, la complicità della società italiana a controllo pubblico, primo produttore di armi nel nostro Paese e trentesimo al mondo, e il governo israeliano anche durante il genocidio a Gaza sono tante e clamorose.
Le mette nero su bianco un dossier pubblicato da Bds Italia e intitolato “Piovono euro sull’industria “necessaria” di Crosetto e Leonardo spa. Le relazioni con Israele”.

Le complicità con Israele di Leonardo spa

A raccontare ai nostri microfoni i principali contenuti del dossier è Loretta Mussi di Bds Italia, che stila un elenco di forniture di armi e armamenti che Leonardo spa ha garantito ad Israele.
Se è vero, come sostenuto da Cingolani, che non sono stati siglati nuovi contratti in questi ultimi tempi, è però altrettanto vero che non c’è stata alcuna sospensione delle forniture, neanche quando la Corte Penale Internazionale ha evidenziato il “rischio genocidio” a Gaza. Eppure la legge italiana impone di sospendere le forniture verso Paesi coinvolti in conflitti bellici e in cui non vengono rispettati i diritti umani.
Non solo. Leonardo spa ha continuato a garantire assistenza tecnica da remoto e supporto logistico a Israele durante tutti questi mesi.
Qui l’intervista a Loretta Mussi.

Il dossier:
Piovono euro sull’industria “necessaria” di Crosetto e Leonardo spa. Le relazioni con Israele
Rossana De Simone – BDS
Ottobre 2025, pp. 64.
Scaricalo in pdf.

(*) Tratto da da Radio Città Fujiko.
La Germania si prepara alla guerra: 80mila soldati e 120mila riservisti in più, acquisti massicci di armi e riorganizzazione. “Entro il 2029 saremo l’esercito più forte d’Europa”

In un video messaggio il Cancelliere Merz ha sottolineato “non abbiamo tempo da perdere”, annunciando che “non sono le navi, né i carri armati, né gli aerei a rendere il nostro Paese capace di difendersi. Soprattutto, ha bisogno di militari”.
Il ministro della Difesa Boris Pistorius (SPD) ha detto chiaramente al termine di una conferenza dell’esercito a Berlino, riferendosi ad attacchi informatici e campagne di disinformazione, che “sono segnali premonitori. Non si tratta più di scenari astratti. La Russia si sta preparando per un’altra guerra” e “non è allarmismo quando dico che il nostro stile di vita è in pericolo”.
In un video messaggio il Cancelliere Merz ha sottolineato “non abbiamo tempo da perdere” annunciando “vogliamo fare delle Bundeswehr l’esercito convenzionale più forte dell’Unione Europea, come si addice a un Paese delle nostre dimensioni e delle nostre responsabilità”, ma al contempo che “non sono le navi, né i carri armati, né gli aerei a rendere il nostro Paese capace di difendersi. Soprattutto, ha bisogno di soldati”. Il governo tedesco vuole ristrutturare radicalmente le forze armate.
In un’intervista alla ZdF anche il CEO di Rheinmetall Armin Papperger ha attestato che i programmi intrapresi dal Governo, per numero di veicoli e quantità di munizioni acquistate, condurranno la Germania ad avere l’esercito convenzionale più forte d’Europa entro il 2029.(*) Tratto da Il Fatto Quotidiano.In Germania è isteria di guerra nelle scuole


Ventiquattr’ore su ventiquattro, politici, funzionari, militari e giornalisti aziendali bombardano la popolazione tedesca con notizie dell’orrore e scenari dell’orrore per giustificare i miliardi di euro che vengono investiti in armi e preparativi generali per la guerra.
Sabato [25 ottobre] ad esempio, l’ex ispettore generale della Bundeswehr, Eberhard Zorn, ha lanciato da solo il “piano d’attacco russo” regolarmente evocato dai propagandisti della NATO e dagli ufficiali dell’intelligence per il 2029: “Potrebbe essere il 2026. Potrebbe essere stasera“, ha dichiarato a Springer’s World. E il giornale non si chiede se il generale in pensione faccia sul serio, ma se sia davvero sufficiente iniziare a registrare i giovani nell’esercito fino al 2027.
Ma la propaganda non vuole davvero prendere piede. L’entusiasmo del popolo di questo paese per la guerra è ancora limitato, così come la volontà dei giovani di alzare la testa nella Bundeswehr per la “difesa” di uno Stato che non ha più nulla da offrire loro.
Secondo vari sondaggi degli ultimi giorni, ad esempio dell’Università di Bielefeld o di Greenpeace, fino a due terzi dei giovani rifiutano ancora la reintroduzione del servizio militare obbligatorio, nonostante il costante fuoco propagandistico dei media.
È qui che entra in gioco Alexander Dobrindt. Il ministro dell’Interno della Repubblica Federale Tedesca vuole rivolgersi direttamente ai giovani, lì dove non possono fuggire: a scuola. In un’intervista all’Handelsblatt (edizione domenicale), l’uomo della CSU ha annunciato di voler lavorare alla prossima conferenza dei ministri dell’Interno per “integrare il tema della prevenzione delle crisi nella vita scolastica di tutti i giorni“.
Il suo suggerimento è “che in un anno scolastico, in una doppia lezione, gli studenti più grandi discutano quali scenari di minaccia possono esserci e come prepararsi ad affrontarli“. Dopotutto, i bambini sono “importanti portatori di conoscenza” nelle famiglie.
A quanto pare, il ministro federale dell’Interno spera che gli scolari – spaventati da alcuni “scenari di minaccia” – portino con sé la paura della Russia per infettare i loro genitori e fratelli.

(*) Tratto da Junge Welt. Traduzione italiana da Contropiano.L’esercito USA punta a 1 milione di droni, in una corsa alla superiorità militare

da Metalli Rari

L’esercito degli Stati Uniti ha annunciato un piano senza precedenti riguardo all’acquisto di almeno un milione di droni nei prossimi due o tre anni, con l’obiettivo di poter produrne tra mezzo milione e diversi milioni all’anno in futuro. L’ambiziosa iniziativa, illustrata dal Segretario dell’Esercito Daniel Driscoll in un’intervista a Reuters, segna una svolta nella visione strategica del Pentagono, che intende trasformare i droni da strumenti di élite a vere e proprie munizioni consumabili.
La decisione americana arriva dopo un’attenta analisi del conflitto tra Russia e Ucraina, dove i droni si sono rivelati armi decisive. Aerei tradizionali e mezzi corazzati sono stati spesso sostituiti da piccoli velivoli economici, capaci di compiere missioni di ricognizione o di attacco con un’efficacia e una frequenza mai viste prima.
Driscoll ha sottolineato come Russia e Ucraina producano già circa quattro milioni di droni all’anno, mentre la Cina sarebbe in grado di superare ampiamente tali volumi. Per gli Stati Uniti, il vero obiettivo è quindi colmare un divario industriale e strategico che rischia di lasciare Washington indietro in un settore cruciale della guerra moderna.
Il piano del Pentagono non si limita all’acquisto di velivoli ma mira anche a stimolare la produzione domestica di componenti chiave (motori brushless, sensori, batterie e circuiti). oggi quasi interamente in mano alla Cina. Un disegno di legge in discussione al Congresso americano prevede la costruzione di un impianto in Texas capace di produrre fino a un milione di droni all’anno, anche se Driscoll preferisce decentralizzare la produzione, distribuendo i fondi su più aziende, anche civili.
Il Pentagono sta cercando di lasciarsi alle spalle anni di risultati incerti nel campo dei droni. Dopo l’annuncio, nel 2023, dell’iniziativa Replicator”, un programma per schierare migliaia di droni autonomi entro il 2025, mancano ancora aggiornamenti concreti. Il segretario alla difesa ha recentemente eliminato alcune restrizioni normative che avevano rallentato la produzione, mentre l’unità DOGE del Dipartimento della Difesa è ora impegnata nell’acquisizione di decine di migliaia di droni a basso costo.
La corsa americana ai droni rappresenta molto più di un aggiornamento tecnologico. Si tratta di una ridefinizione della dottrina militare. Droni economici, prodotti in massa e facilmente sostituibili, promettono di cambiare la logica del campo di battaglia.

I droni sono il futuro della guerra,” ha dichiarato Driscoll, “e dobbiamo investire tanto nelle capacità offensive quanto in quelle difensive.” Una frase che sintetizza la nuova era della potenza militare, non più dominata da pochi mezzi sofisticati, ma da sciami di macchine economiche e intelligenti, destinate a riscrivere le regole del conflitto moderno.

(*) Tratto da https://www.metallirari.com/

 

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IL NUCLEARE DI “PACE” E LA MILITARIZZAZIONE IN CORSO

Un’alleanza tra Milano e territori, tra scienza e democrazia, tra lavoro e giustizia ambientale e sociale, tra etica ed economia di pace è il percorso che cerca di tracciare il convegno di sabato 22 novembre 2025 “NUCLEARE IN ITALIA: QUALE FUTURO CI ASPETTA?”.

Il Convegno si tiene in sala Buozzi presso la Camera del Lavoro in Corso di Porta Vittoria 43 a Milano, si svolge in due sessioni: mattina dalle ore 10 alle 13, pomeriggio dalle 15 alle 17:30, ed è promosso da molte associazioni che intendono sostenere la prospettiva delle energie rinnovabili come valida alternativa sia alle fonti fossili che al rischio del ritorno del nucleare civile in Italia.

Rischio da non sottovalutare visto che l’attuale Governo sta portando al voto del Parlamento un Disegno di Legge Delega che ripropone la costruzione di nuove centrali nucleari sul territorio nazionale, centrali sempre a fissione come quelle bocciate dal Referendum del 2011 e senza aver prima risolto il problema di dove collocare le scorie radioattive prodotte dalle vecchie centrali.

La lotta ai cambiamenti climatici è una cosa seria ed urgente. La decarbonizzazione complessiva dell’intero sistema produttivo e dei consumi richiede l’alleanza di ampie forze sociali e la conversione all’ecologia integrale di cultura, strategia e programmi da parte delle forze politiche e delle nostre Istituzioni elettive.

Per questo una parte del Convegno è dedicata al confronto con le forze politiche che intendono impegnarsi in questa direzione. Al termine della mattinata interverranno l’on. Enrico Cappelletti del M5S, l’on. Eleonora Evi del Partito Democratico, il consigliere regionale Onorio Rosati di Alleanza Verdi Sinistra, il segretario regionale di Rifondazione Matteo Prencipe.

Da segnalare tra i relatori Daniela Padoan, presidente di Libertà e Giustizia; Mario Agostinelli, presidente dell’associazione Laudato Sì, Alleanza per il clima, la cura della Terra, la giustizia sociale; Sara Asti, docente di scienze; Angelo Tartaglia, professore emerito di fisica al Politecnico di Torino; Gian Piero Godio, esperto di sistemi energetici già tecnico Enea; avv. Veronica Dini, consulente in Diritto ambientale; Vittorio Bardi del Comitato nazionale Sì Rinnovabili No Nucleare; Elio Pagani di “Abbasso la guerra ODV”; don Lorenzo Maggioni, teologo e docente universitario; Graziano Fortunato Arci Milano e Arci Lombardia; Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia; Umberto Lorini presidente di Pro Natura Piemonte; Michele Arisi, Stati generali Clima, Ambiente, Salute; Marco Pezzoni coordinatore di Rete Ambiente Lombardia.

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Fermatevi, prima che sia troppo tardi

di Mario Sommella (*)

Il Consiglio di Difesa trascina l’Italia nella guerra permanente

C’è un momento in cui le parole istituzionali smettono di essere “sobrie valutazioni” e diventano un atto politico di rottura. Il comunicato del Consiglio Supremo di Difesa convocato al Quirinale il 17 novembre è uno di quei momenti. In tre righe chiave si decide che l’Italia conferma il “pieno sostegno all’Ucraina nella difesa della sua libertà”, che questo si traduce nel dodicesimo decreto interministeriale di aiuti militari, e che il nostro Paese resta pienamente allineato all’Unione Europea e alla NATO nel progetto di riarmo e di guerra a tempo indeterminato. 

Dietro il lessico ovattato dei comunicati ufficiali, però, c’è una scelta brutale: accettare che l’Italia non sia più un soggetto di pace ma un ingranaggio della macchina bellica occidentale. E farlo invocando la difesa della “libertà” mentre si sorvola sui vincoli costituzionali e si girano gli occhi davanti al genocidio in corso a Gaza.

La Costituzione stracciata con il sorriso

L’articolo 11 della Costituzione dice che l’Italia “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Non è una frase poetica: è il cardine dell’ordinamento repubblicano, nato sulle macerie del fascismo e della guerra totale.

Quando un organo di rilevanza costituzionale, presieduto dal Capo dello Stato, non si limita a “prendere atto” di una situazione di conflitto, ma “conferma il pieno sostegno” a una delle parti e inquadra questo sostegno in un decreto di aiuti militari, si compie un salto di qualità. Si passa dalla retorica dell’“aiuto difensivo” alla co-gestione strategica di una guerra che dura da anni, di fatto accettando la logica della co-belligeranza, anche se il termine viene accuratamente evitato. 

Si poteva dire: l’Italia sostiene ogni iniziativa di pace, anche dura, anche scomoda per entrambi i contendenti. Si poteva dire: il nostro Paese non invierà più armi ma si farà promotore di una conferenza internazionale, di un cessate il fuoco, di un negoziato su sicurezza, neutralità, garanzie reciproche. Si è scelto invece di ribadire che il conflitto “non mostra segnali di distensione” e che, di conseguenza, è necessario rafforzare gli aiuti militari e “adeguare le capacità” europee alla guerra dei droni, alle minacce ibride, alla “dimensione cognitiva”. 

Tradotto: non è un’emergenza, è una dottrina. Non è una parentesi, è il nuovo paradigma.

Il piano di Trump e l’Europa come carne da cannone

Questo allineamento non avviene nel vuoto. Con la nuova amministrazione Trump, il messaggio arrivato da Washington è stato chiaro: i confini pre-2014 sono ormai considerati “un obiettivo irrealistico”, l’ingresso dell’Ucraina nella NATO non è più una priorità degli Stati Uniti, e l’onere economico e militare del conflitto deve essere sempre più scaricato sull’Europa. 

Il Gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina, che riunisce decine di Paesi donatori, ha visto negli ultimi mesi un progressivo disimpegno statunitense e una pressione crescente perché siano i bilanci europei a garantire flussi costanti di armi, munizioni, sistemi d’arma avanzati. 

In questo quadro, il Consiglio Supremo di Difesa italiano sceglie di collocarsi nella posizione più subalterna possibile: non solo conferma il dodicesimo decreto interministeriale di aiuti, ma lo riveste di una legittimazione “costituzionale” e “morale”, trasformando una scelta di campo geopolitica in un dovere quasi etico. 

Il risultato è paradossale: l’Italia si allinea a un piano che di fatto accetta la divisione dell’Ucraina, rinuncia a un negoziato serio sulla sicurezza europea e trasforma il nostro continente in un teatro di guerra permanente, mentre gli Stati Uniti orientano la propria strategia sulla competizione con la Cina, chiedendo agli europei di fare da cuscinetto e, se necessario, da sacrificabili. 

Gaza, il genocidio reso invisibile

Sul fronte mediorientale, il comunicato del Quirinale “valuta positivamente il raggiungimento del cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi”, esprime generica “preoccupazione” per le vittime civili e si affretta a ribadire che le emozioni suscitate dai massacri non devono convergere in “quel sentimento ignobile che è l’antisemitismo”. 

Ma non una parola su chi, da due anni, devasta la Striscia. Non una parola su Israele, sul governo Netanyahu, sulle decine di migliaia di morti, sull’uso deliberato della fame, della distruzione sistematica di ospedali, scuole, infrastrutture idriche ed elettriche. Secondo dati ONU, ministero della Sanità di Gaza e principali inchieste internazionali, il numero dei palestinesi uccisi supera ormai le 60–70 mila persone, in gran parte civili, con percentuali di donne e bambini che, in alcune fasi del conflitto, hanno raggiunto il 70% delle vittime verificate. 

Inchieste giornalistiche basate su database interni dell’intelligence militare israeliana indicano che oltre l’80 per cento dei palestinesi uccisi a Gaza sono civili, e che decine di migliaia di famiglie sono state letteralmente cancellate, con un tasso di “danni collaterali” senza paragoni nelle guerre recenti. 

Nel frattempo, la Corte internazionale di giustizia ha riconosciuto l’esistenza di un serio rischio di genocidio, imponendo a Israele misure provvisorie per prevenire la distruzione del popolo palestinese a Gaza e garantire l’accesso agli aiuti umanitari, misure che gli stessi organismi internazionali denunciano come largamente disattese. 

Davanti a tutto questo, il Quirinale trova spazio soprattutto per ricordare che chi denuncia il genocidio deve stare attento a non “sconfinare” nell’antisemitismo. Come se la vera emergenza non fosse la distruzione programmata di un popolo sotto occupazione, ma il rischio che qualcuno usi parole sbagliate in una manifestazione. È un rovesciamento morale che non si può più accettare in silenzio.

La “guerra ibrida” come grimaldello per la censura

Un altro passaggio del comunicato è rivelatore: il Consiglio sottolinea la necessità di difendersi non solo dagli attacchi cyber alle infrastrutture critiche, ma anche dalle minacce nella “dimensione cognitiva”, cioè nello spazio dell’informazione, dell’opinione pubblica, del dibattito democratico. 

Qui la categoria della “guerra ibrida” diventa un contenitore elastico in cui far rientrare tutto: dagli hacker alle campagne di disinformazione, fino al dissenso politico interno. Se ogni narrazione alternativa alla linea NATO viene sospettata di essere “pilotata da Mosca”, se ogni critica radicale a Israele viene omologata a antisemitismo, allora la linea di confine tra sicurezza nazionale e censura di guerra si fa sottilissima.

Non è un timore astratto. In tutta Europa, da mesi, si moltiplicano arresti, denunce e limitazioni delle manifestazioni pro-Palestina, ordinanze che vietano bandiere e slogan, campagne mediatiche che marchiano come “putinisti”, “filoterroristi”, “nemici dell’Occidente” chiunque osi chiedere un cessate il fuoco vero o mettere in discussione la logica del riarmo infinito. 

Quando il massimo organo di difesa del Paese inserisce la “dimensione cognitiva” tra i teatri di conflitto, di fatto autorizza l’idea che le coscienze siano un campo di battaglia da controllare. È l’anticamera dell’ipnocrazia: il potere che non si limita più a governare i corpi e i confini, ma pretende di normare anche ciò che è dicibile, pensabile, emotivamente accettabile.

Il riarmo come progetto industriale

Il comunicato richiama esplicitamente il “Libro bianco per la difesa 2030” e la necessità per l’Europa di adeguare le proprie capacità militari ai “nuovi scenari”. 

Al netto dei tecnicismi, significa questo: pianificare un aumento strutturale della spesa militare, potenziare l’industria degli armamenti, orientare ricerca, innovazione, politiche industriali e occupazione verso il complesso militare-industriale.

Dentro questa cornice, ogni euro speso per scuole, sanità, welfare, transizione ecologica apparirà presto come “costo” sacrificabile rispetto alle “necessarie esigenze di sicurezza”. E qualunque voce che osi chiedere una diversa gerarchia delle priorità sarà dipinta come irresponsabile, anti-occidentale, pericolosa. 

È un modello che abbiamo già conosciuto: la guerra come motore dell’economia, le crisi come strumento per disciplinare le società. La differenza è che oggi questa logica viene certificata ai massimi livelli istituzionali, dal Quirinale in giù, senza quasi opposizione parlamentare, con un consenso trasversale che va da Fratelli d’Italia al Partito Democratico, passando per ampie parti del Movimento 5 Stelle e dell’universo centrista. 

Se non li fermiamo, il prossimo passo sarà la normalizzazione della leva militare “europea”, l’idea di un esercito comune al servizio non di un progetto di pace ma degli interessi strategici e industriali dei Paesi più forti dell’Unione.

Dire NO è un dovere democratico

Per questo quel NO ripetuto, urlato, scritto in maiuscolo sotto un post su Facebook che critica il comunicato del Consiglio Supremo di Difesa non è uno sfogo emotivo: è un atto politico necessario.

Dire NO al dodicesimo decreto interministeriale di aiuti militari non significa “stare con Putin”, così come denunciare il genocidio a Gaza non significa essere antisemiti. Significa, al contrario, rifiutare la logica binaria del “chi non è con noi è contro di noi”, che è la cifra di ogni guerra ingiusta.

Dire NO alla propaganda di guerra della NATO, al riarmo europeo, alla trasformazione dell’Italia in una piattaforma avanzata di conflitti che non controlla, è l’unico modo per restare fedeli allo spirito della Costituzione.

Questo NO deve diventare un movimento reale: nelle piazze, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle amministrazioni locali, nelle aule parlamentari. Deve parlare il linguaggio della legalità costituzionale, della difesa dei diritti sociali, della lotta contro il complesso militare-industriale che drena risorse e futuro.

Non basta più sussurrare dubbi, non basta più limitarsi a “non essere d’accordo”. Davanti a un Consiglio Supremo di Difesa che benedice la guerra infinita in Ucraina, minimizza il genocidio a Gaza e apre alla censura in nome della “guerra ibrida”, il compito di chi crede ancora nella democrazia è uno solo: alzare la voce, mettere in discussione l’intero impianto, costruire un fronte sociale e politico capace di riportare l’Italia dalla parte della pace.

Fermatevi. Fermatevi adesso. Perché se non li fermiamo noi, nessuno lo farà al posto nostro. E il prezzo, come sempre, lo pagheranno i popoli, non i capi di Stato seduti attorno al tavolo del Quirinale.

FONTI PRINCIPALI UTILIZZATE

Comunicato ufficiale della Presidenza della Repubblica sul Consiglio Supremo di Difesa del 17 novembre 2025 (testo integrale, composizione del Consiglio, riferimento al “dodicesimo decreto di aiuti militari” e alla “dimensione cognitiva”).  Il Fatto Quotidiano, “Il Consiglio supremo di difesa conferma: ‘Pieno sostegno dell’Italia a Kiev e via al dodicesimo decreto di aiuti militari’” e pezzi collegati sugli aiuti italiani a Kiev.  Agenzie e quotidiani nazionali: ANSA, La Stampa, Corriere della Sera, Open, Unione Sarda, Il Giornale, che riportano il passaggio del comunicato sul “dodicesimo decreto di aiuti militari” e il via libera a un nuovo pacchetto di armi.  Copertura sulle relazioni tra dodicesimo decreto italiano di aiuti militari e 19º pacchetto di sanzioni UE contro la Russia (Bloomberg/Lastampa, Euractiv, Consiglio UE, dichiarazioni di Zelensky e von der Leyen).  Dati sulle vittime a Gaza: Gaza Health Ministry, ONU, UNRWA, studio Cost of War (Brown University), Washington Post, Al Jazeera, Reuters, raccolti e sintetizzati in studi e fact-check internazionali.  Inchieste sul tasso di civili uccisi a Gaza basate su database di intelligence israeliana: Guardian, +972 Magazine, Local Call, AOAV (Action on Armed Violence).  Documentazione giuridica sul rischio di genocidio e sulle misure provvisorie ordinate dalla Corte internazionale di giustizia nel caso “South Africa v. Israel”, commenti di ICJ, ONU, organizzazioni di giuristi e think tank.  Rapporti e articoli su restrizioni, criminalizzazione e censura dei movimenti pro-Palestina e delle critiche a Israele in Europa e in Occidente (International Federation for Human Rights, Amnesty International, The Guardian, The National, Financial Times, studi accademici e report su civic space). 

In base a tutte queste fonti, il riferimento corretto per l’Italia è al dodicesimo decreto interministeriale di aiuti militari a Kiev; il “diciannovesimo” riguarda invece il pacchetto di sanzioni dell’Unione Europea contro la Russia, non i decreti italiani di invio di armi.

(*) ripreso da «Un blog di Rivoluzionari Ottimisti. Quando l’ingiustizia si fa legge, ribellarsi diventa un dovere»: mariosommella.wordpress.com

La vignetta qui sopra è di Benigno Moi.

alexik

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