Cercare lo sfrido e trovarlo

Recensione a «La luna tra le dita» di Fabio Troncarelli

LaLunatraledita

Avevano ragione Furio, Andreas e Maria Paola che – in tempi e modi diversi, vedi la dedica iniziale – hanno spinto Fabio Troncarelli a scrivere le storie (alcune pubblicate in antologie e riviste ma 4 inedite) ora raccolte in «La luna tra le dita»: sottotitolo «Brevi storie per una lunga notte», uscito in questi giorni nella “Biblioteca del vascello” di Robin edizioni (340 pagine per 18 euri).

In teoria i racconti sono 13 – uno è scritto a 4 mani, con Maria Paola Saci – e così compaiono nell’indice ma in pratica «Un cielo di vetro» ne contiene 5 che ruotano intorno a Olga, dunque saremmo a 18. A me sono piaciuti tutti con una fortissima preferenza per quattro: «Rose del sud» (con un colpo di scena basato su un calendario molto particolare, una goduria); «L’erba cattiva» con i suoi cerchi che si allargano a risucchiare tutto; «Futuro anteriore» che nell’idea base ricorda un vecchio racconto di Leo Szilard ma qui il mistero “post catastrofe” è giocato in chiave super-ironica; «Lo sfrido».

Vi state chiedendo cosa sia «lo sfrido»?

Ecco l’inizio del racconto.

«Sfrido? Ma che vor dì?».

«Porvere d’oro. La porvere che avanza a l’orefice quanno strigne ‘n’anello, aggiusta ‘n bracciale, lima ‘na catenina. Pare cenere. Nun ce fa caso nisuno. Ma si metti ‘nzieme porvere e porvere ce fai un sacco».

«Ah, ho capito. Ma che importa a te?».

«Io dico che nisuno ce fa caso a lo sfrido. Ai cocci. Ai poveracci. Barboni, ‘mbriaconi, negri, morti de fame… Che so? So’ cenere? No. So’ oro».

Di questo oro che si trova fra i cocci Fabio Troncarelli è un cercatore instancabile: in tutte le sue storie (talvolta scritte in romanesco) lo sfrido finisce per saltar fuori dove meno te lo aspetti. La vicenda d’«er dottor Boromeo» è forse la più sorprendente: leggete il racconto, stupitevi di fronte a «er morbo de Kappa» e quando avete finito di sorridere e commuovervi… sì, andate a cercare (su Wikipedia, se avete fretta) Giovanni Borromeo: tale e quale praticamente. Uno sfrido.

Spigolando qua e là.

C’è persino una ricetta alla fine del racconto «Medioevo messicano».

Quanto al «Decameron» è ovvio, ci rivela Fabio Troncarelli, che è di un autore sud-americano: il nome deriva da «Dejame ron», lasciami il rum.

Non dimenticherò tanto presto un bel po’ di personaggi e di frasi: la citazione (fasulla) attribuita a Giordano Bruno; le traduzioni di Paul Verlaine e Victor Hugo in romanesco; «la convertibilità della carta (cioè dei soldi) in denti»; «i vivi so’ morti che fanno finta de esse vivi»; le signore ingioiellate al mare «con-la-lingua-abbronzata-per-l’ininterrotto-vanoloquio»; la violenza del sesso senza amore e la crudeltà “ingenua” dei ragazzini; «la religione è er liftinghe de li popoli»; i meritatissimi insulti a Gabriele Rapagnetta detto D’annunzio; «il Vangelo secondo San Lupo»; «…Del resto il fascismo era finito da poco e, a dirla tutta, quando era cominciato era veramente “cominciato” e quando era finito era veramente finito?»; la «callalessa» in senso letterale (è la castagna bollita) e figurato; «Casarola, luogo minuscolo dell’Appennino parmense». E ancora: «lo sai che dicheno l’Indiani dell’Arizona? “quello che vedi ricordatelo. Sennò sparisce ner vento”». Così mi rammenterò di Giuditta Tavani Arquati, di Trilussa e di altri poeti, della strage al «Ponte de Fero»… ma erano storie che già conoscevo. Molte altre ne ignoravo invece e le ho scoperte grazie a questo libro. Una per tutte? La vicenda del «sor Ercole», uno dei migliaia sfrattati a forza per far posto al delirio dei «Fori imperiali» di Mussolini: il sor Ercole non passava per le scale con la sedia a rotelle così lo caricano sulla gru e «dopo due o tre giorni si è ammazzato». Della vecchia-nuova Roma che domina molte pagine forse la storia più straziante (tuttora censurata) è proprio la deportazione di chi abitava nelle strade che «er mascellone» volle spianare per trasformarle nella via dell’impero che per fortuna crollò subito in Etiopia.

Se chi legge si sente, verso la fine, in una condizione tra l’euforia e la sbronza.. «non è un male. Lo sapete che Socrate diceva: avite a esse ‘mbriachi? Dovete essere disorientati. E’ questa l’aporia, la condizione del filosofo. Aporia vuol dire smarrimento». Proprio quei filosofi «che capiscono troppo gli uomini senza capire che sono solo esseri umani».

A beneficio dei non romani spiegherò che in un passaggio, molto drammatico, proprio de «Lo sfrido» l’espressione «arberi pizzuti» indica il cimitero; definizione che ha ispirato (o forse è il contrario? Non so) una ninna nanna, notissima a Roma ma del tutto ignota nel resto d’Italia.

Vera anche la storia del «numero 8 uscito a Roma una sola volta in 72 anni»; purtroppo talmente vera che mio padre – giocatore d’azzardo (parola araba ma lui non lo sapeva) – ci perse moltini dei suoi pochini soldini.

     Infine. Qui in “bottega” trovate numerosi post («scor-date» e non solo) di Fabio Troncarelli: fra gli altri una satira – secondo me geniale – in romanesco a proposito di una interrogazione presentata l’’8 gennaio 2014 al Senato con pesanti accuse nei suoi confronti e nei confronti della Commissione giudicatrice per l’idoneità a professore universitario. Non aggiungo altro – è qui N’interogazzione se volete – ma ora è anche in «La luna tra le dita» con il titolo «Er giorno der giudizzio». Ed è un bel godere; anche sapendo che finì… in fumo.

Ultimissima annotazione/informazione. Ho conosciuto Fabio da adolescente (siamo coetanei) ma poi ci siamo persi e ritrovati almeno tre volte, a distanza di anni. E ritrovati – evviva, evviva – dalla stessa parte della barricata (sì, esiste una barricata persino per le persone meno violente). Ma allora questa lunghissima amicizia mi fa velo nel giudicare in modo così lusinghiero ciò che Fabio ha scritto? «Ponzi che ti ponzi» come si dice a Roma… mi pare di no, non sono stato “di parte”. Però accanto alle lodi già fatte aggiungo un dubbio o forse una critica: in alcuni passaggi (dal registro ironico al drammatico ma anche nei “cambi di scena”) la scrittura di Fabio ogni tanto è disordinata o almeno così mi sembra; in un paio di racconti al contrario c’è lentezza, ripetizioni, rallentamenti. Se ho ragione… bisogna che nella prossima antologia o nel nuovo romanzo Fabio ne tenga conto. O anche no (eh-eh) che io mica mi offendo. Che insomma, avevano proprio ragione Furio, Andreas e Maria Paola.

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

Un commento

  • Daniele Barbieri

    Mi fa sapere Severo De Pignolis (*) che la faccenda dello «sfrido» è leggermente più complicata; io scrivendo – mi biasima Sdp – ho dato l’impressione che ci si riferisse solo alla polvere dell’oro mentre i vocabolari spiegano che ci si riferisce al «calo quantitativo che una merce subisce durante la lavorazione o il trasporto» e/o «all’insieme dei residui di lavorazione». Per la verità io non conoscevo il termine ma mi è piaciuta tantissimo la metafora della frase citata nel racconto di Fabio Troncarelli. A mia volta guardando il vocabolario vedo che «sfrido» verrebbe dal germanico «fridu», il prezzo da pagare per il mantenimento della pace: interessante, no?
    (*) Severo De Pignolis è un vecchio professore, noiosetto – come fanno capire il nome e il cognome che ha in sorte – al quale, dopo che aveva ricevuto lo sfratto, ho dato in comodato gratuito la mia ascella destra (nella sinistra abita un ornitorinco): lui ogni tanto si risveglia per pignoleggiare o severereggiare. Sono cose che capitano anche nelle migliori tribù.

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