Ci manca(va) un venerdì – 64

Gutemberg, Fust (non Faust) e Aldo Manunzio ma anche Steve Jobbs sotto il microscopio di Fabrizio “Astrofilosofo” Melodia

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«La stampa è un esercito di 26 soldati di piombo con il quale conquistare il mondo» affermò con sicurezza l’orafo tipografo e inventore della stampa a caratteri mobili Johannes Gutenberg. La frase parrebbe altisonante e retorica ma cosi non è: la stampa a caratteri mobili ha conquistato davvero il pianeta con il suo esercito di 26 caratteri di piombo fuso e con il suo torchio tipografico che permise, in tre anni, di stampare 180 copie della Bibbia, impresa assolutamente impossibile per i pazienti amanuensi medievali.

Gutenberg aveva fondato una società con l’orafo Johann Fust, il quale lo finanziò personalmente con un cospicuo esborso di 1600 fiorini olandesi, rilasciati in due rate di 800 fiorini. Gutenberg s’impegnò al massimo, poiché era certo che la sua invenzione avrebbe cambiato il mondo, facendo uscire dai monasteri l’egemonia della cultura e portando alla massima espansione il sapere fino ad allora custodito da pochi.

Si può dire che Gutenberg creò una vera e propria industria, una “start up” che si rivelò assolutamente vincente. Forte della sua formazione di coniatore di monete, realizzò i caratteri mobili in metallo tenero e fondibile, usando il singolo punzone non per ogni singolo carattere ma per ottenere la matrice di una serie di caratteri, secondo il principio della fòndita a ripetizione. Dalla matrice originaria si potevano ricavare, con opportune colature, tutti i caratteri desiderati, in quantità, grandezze e qualità desiderate. Creò l’inchiostro adatto per tali caratteri, non più ad acqua ma a olio. E, ultimo ma non per importanza, ideò il torchio di stampa, ispirandosi nettamente al torchio dei maestri del vino.

Purtroppo la fortuna non sorrise a Gutenberg, il quale voleva davvero cambiare il mondo ma così non la pensò il suo socio Fust, che voleva immediatamente rientrare del capitale investito nell’impresa. Fu cosi che, vistosi impossibilitato a restituire la somma, Gutenberg dovette cedergli l’attrezzatura e il “know-how” del processo di stampa. Fust fondò la sua officina tipografica e si diede alla pazza gioia, mentre Gutenberg rimase un fanalino di coda nella nascente industria della stampa.

La stampa si diffuse a macchia d’olio in tutta Europa, favorita dalle emigrazioni degli stampatori in luoghi a loro favorevoli per realizzare la nuova industria: in breve tempo si ebbero stamperie a Colonia a partire dal 1466 mentre in Italia la prima ad aprire fu – grazie all’apporto di Johann Numeister, allievo e concittadino di Gutenberg – a Foligno nel 1463.

Il primo libro stampato fuori dalla Germania, vide la luce nel monastero della Santa Scolastica a Subiaco, chiaro segno di come gli ecclesiastici stessi avessero compreso l’importanza della nuova tecnologia: fu opera di Konrad Sweynheym e Arnold Pannartz. Giunti nella penisola presumibilmente su invito del cardinal Nicola Cusano, nel 1464-65 pubblicarono un «Donato minore» ovvero “Donatus pro puerulis”, una grammatica latina per fanciulli, ora disperso, seguita successivamente da «De oratore» di Cicerone, «De Civitate Dei» di Sant’Agostino e un’antologia di opere di Lattanzio, tutti con una tiratura di 275 copie. A Subiaco furono ideati i tipi oggi conosciuti come “lettere maiuscole”, in tipografia sono detti “Carattere tipografico romano”.

Una pressa come quella di Gutenberg fu costruita a Venezia nel 1469, dando il via alla fama di Venezia e alla sua nota grande libertà di stampa, arrivando ad annoverare nel 1500 qualcosa come 417 stampatori, fra i quali si distinsero Aldo Manuzio, ritenuto l’inventore del libro moderno con le sue edizioni dette “aldine” dal suo nome, Francesco Marcolini da Forlì e molti altri, che, insieme agli stampatori romani, nell’età dell’oro, avrebbero dato alle stampe oltre 2000 titoli.

A Parigi, nel 1470, Jean Heynlin costruì la propria pressa creando così la sua stamperia, mentre a Foligno, il già citato Numeister e il folignate Evangelista Mei avrebbero dato alle stampe il primo libro in volgare italiano, ovvero «La Divina Commedia» di Dante Alighieri (datata 5-6 aprile 1472).

Nello stesso anno, Jacopo di Fivizzano diede alle stampe le opere di Virgilio, mentre l’inglese William Caxton costruì il primo torchio tipografico britannico nel 1476, e, nel 1637, la stampa avrebbe attraversato l’ Oceano Atlantico, con il tipografo Stephen Day, che avrebbe costruito la prima stamperia in Nord America, nella baia del Massachussets.

Le biblioteche si arricchirono di copie da tutti consultabili, favorendo la discussione e lo scambio positivo d’idee e opinioni, come ora, al massimo grado, si assiste alla circolazione di informazioni attraverso Internet e i canali “di socializzazione”.

L’esercito di 26 soldati di piombo ha davvero conquistato il mondo, trovando altre strade sulle quali lottare per proseguire l’evoluzione dell’essere umano: «Questo è un giorno che ho aspettato con ansia per due anni e mezzo. Ogni tanto, viene avanti un prodotto rivoluzionario che cambia tutto. Si è molto fortunati se si ha la possibilità di lavorare anche solo con uno di questi nella tua carriera. Chi ha lavorato con Apple è stato molto fortunato. Apple è stata in grado di introdurne alcuni nel mondo. Nel 1984, abbiamo introdotto il Macintosh. Non ha cambiato solo Apple. Ha cambiato l’intera industria del computer. Nel 2001, abbiamo introdotto il primo iPod. Non ha solo cambiato il nostro modo di ascoltare la musica. Ha cambiato l’intera industria musicale. Bene, oggi, stiamo introducendo tre prodotti rivoluzionari di questo tipo»; così Steve Jobs, fondatore della Apple Computers, alla conferenza stampa in cui annunciava l’introduzione dell’ I-Phone.

In effetti, Gutenberg e Jobs non hanno solo tentato le medesime strade ma in parte hanno avuto le medesime sfortune, arrivando a essere defraudati. Eppure la rivoluzione informatica è sotto gli occhi di tutti e permea ogni ambito della vita quotidiana, esattamente come l’invenzione della stampa a caratteri mobili rivoluzionò il mondo.

C’è un rovescio: «La scoperta della scrittura avrà l’effetto di produrre la dimenticanza nelle anime che l’impareranno, perché, fidandosi della scrittura, queste si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da sé medesime» avrebbe osservato Platone, facendo riflettere come la tecnologia, rivestita da cieca fede, possa alla fine essere dannosa in quanto non permette all’animo umano di metabolizzare il sapere, di renderlo proprio ma al contrario crea libri dove essere può essere fermato e lasciato a prendere la polvere.

A tale proposito si potrebbe rispondere con una frase dello scrittore Ray Bradbury: «Capite ora perché i libri sono odiati e temuti? Perché rivelano i pori sulla faccia della vita. La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, facce senza pori, senza peli, inespressive».

Gli eserciti con 26 soldati di piombo e con gli Ipod continuano la propria marcia ma l’opera fondamentale resta suscitare il pensiero critico, l’arma invincibile a disposizione di ogni essere umano.

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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