Covid, vaccini, Big Pharma e noi

articoli di Ernesto Burgio, Nicoletta Dentico e Roberto Rosso. A seguire qualche altro consiglio di lettura

 

Dopo un anno di pandemia siamo ostaggi di Big Pharma?

di Ernesto Burgio (*)

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha annunciato che i decessi da Covid hanno superato oggi (15/01/2021) i 2 milioni su oltre 94 milioni di casi accertati, con un indice di letalità superiore al 2% (in Italia sfiora il 3,5%: un indice molto alto, simile a quello ipotizzato per la Spagnola1 e circa 30 volte superiore a quello dell’influenza stagionale2). Eppure, è evidente che a fronte di Paesi che hanno registrato un numero di casi e tassi di letalità e mortalità altissimi (Belgio, Italia, Perù, Messico, Gran Bretagna, Brasile…) ce ne sono altri che hanno saputo affrontare adeguatamente la situazione, fermando immediatamente la pandemia (Vietnam, Cambogia, Australia, Nuova Zelanda, Cuba, Islanda). Dovrebbe essere chiaro, quindi, che soltanto il rafforzamento della medicina territoriale e la tempestiva messa in campo di sistemi efficaci di isolamento dei casi e di tracciamento e monitoraggio dei contatti potrebbe ridurre la circolazione del virus e di conseguenza il temuto incremento delle sue mutazioni adattative alla nuova specie e che sarebbe necessaria ed urgente, una riorganizzazione complessiva dei sistemi sanitari occidentali, con potenziamento della medicina territoriale e dei dipartimenti di medicina preventiva. E questo anche in prospettiva futura, dato che la pandemia non è un evento accidentale e imprevisto, ma un dramma lungamente annunciato e che potrebbe ripetersi, essendo il prodotto di una crisi ecosistemica e soprattutto microbio-ecosistemica monitorata da decenni e causata dalla nostra guerra irresponsabile contro la Natura: deforestazioni, agricoltura e allevamenti intensivi, inquinamento dell’intera ecosfera (atmosfera, idrosfera, biosfera e catene alimentari), urbanizzazione e crescita senza freni di immense megalopoli eco-insostenibili. È importante domandarsi, a questo punto, perché la gran parte dei Paesi occidentali non intenda o forse non possa affrontare la pandemia come hanno fatto, con immediato e definitivo successo, i Paesi sopra elencati.

Nell’autunno 2019 un nuovo Coronavirus potenzialmente pandemico ha fatto la sua comparsa nella provincia di Hubei, in Cina. Da lì l’epidemia cominciò ad espandersi in tutto il Sud-Est asiatico e quindi nel resto del mondo. Già alla fine di gennaio casi di polmonite dovute al nuovo Coronavirus, in un primo tempo denominato con la sigla 2019nCoV, furono segnalati in tutto il mondo: in Giappone e in Australia e poi in Germania, Francia, Stati Uniti, Brasile. La temuta trasmissione da uomo a uomo fu immediatamente confermata in tutti i Paesi e in Europa anche da soggetti asintomatici. Difficile capire come mai questi dati furono lungamente sottovalutati, almeno in Occidente. Tanto più che si trattava di una pandemia lungamente e inutilmente annunciata3. Visto che già negli anni 1997/2002 si erano susseguiti i primi allarmi pandemici, dopo che alcuni virus influenzali erano passati direttamente dal serbatoio naturale aviario all’uomo, causando numerosi outbreak epidemici in Cina, Vietnam e Indonesia, caratterizzati da indici di letalità (TL) altissimi (in particolare il virus H5N1 con TL: 50%, superiore al virus del vaiolo). Ma soprattutto dopo che nel 2002/2003 un Coronavirus era passato dal pipistrello all’uomo, causando quasi 1000 decessi tra medici e operatori sanitari in Cina e in Canada (SARS). E che nel 2012 un altro Coronavirus aveva causato un piccolo ma significativo outbreak nei Paesi arabi (MERS). Questi allarmi erano stati giudicati eccessivi da molti, anche a causa di un discusso allarme pandemico lanciato dall’OMS nel 2010, per un virus influenzale (H1N1/2009) che pur se molto contagioso, non aveva acquisito mutazioni particolarmente pericolose, né mostrato, di conseguenza, particolare virulenza. Ma dal 2015 a questa parte cacciatori di virus, virologi e scienziati di tutto il mondo avevano ampiamente documentato che nelle grotte dello Yunnan (Cina) decine di Coronavirus di pipistrello, abbastanza simili a quello della prima SARS, avevano mostrato le temute mutazioni adattative candidandosi come i più probabili agenti patogeni della “prima grande pandemia del III millennio”.

Da allora, le istituzioni sanitarie internazionali avevano recepito l’allarme ed invitato i Paesi occidentali a adattare i loro obsoleti piani pandemici. Ma mentre i Paesi asiatici, per così dire “vaccinati” dalla prima SARS e dagli outbreak di influenza aviaria, avevano programmato le necessarie misure di potenziamento della medicina territoriale e preventiva, i Paesi occidentali hanno continuato a sottovalutare il pericolo. E questo persino all’inizio di questo fatidico 2020, nonostante le notizie allarmanti e le drammatiche immagini inerenti alla prima ondata epidemica provenienti dalla Cina. In Italia il 31 gennaio 2020 venne dichiarato formalmente lo stato di emergenza pre-pandemica, ma per tutto il mese di febbraio poco si fece per prepararsi e per indagare circa la possibile presenza del virus sul territorio nazionale. Purtroppo, alla fine di febbraio alcuni cluster individuati in Lombardia (Codogno) e in Veneto (Vo’) dimostrarono che il virus aveva già raggiunto il nostro Paese e i primi accertamenti epidemiologici confermarono che nei primi epicentri epidemici una parte consistente della popolazione era ormai infetta.

L’11 marzo, dopo una serie di solo in parte comprensibili titubanze4, la WHO decretò l’allarme pandemico5.

Tra il 7 e il 22 marzo il Governo italiano decise misure di contenimento sempre più restrittive, inevitabilmente criticate da molti, ma assolutamente necessarie e casomai tardive in relazione a quanto detto fin qui. Le misure di lockdown riuscirono nel giro di alcune settimane a ridurre il numero dei contagi e poi dei ricoveri in terapia intensiva e infine dei decessi, che comunque dopo un mese di lockdown erano circa 20.000, oltre metà dei quali in Lombardia, che aveva tardato ad adottare misure di contenimento. Il grande e innegabile risultato del lockdown fu di evitare la diffusione del virus alle regioni del Centro Sud6. Nei primi due mesi oltre 200 furono i decessi tra i medici e gli altri operatori sanitari impegnati ad affrontare la prima ondata. Eppure, nonostante tutto, non si fermarono le voci critiche che negavano la drammaticità della situazione e la necessità delle contromisure. Neanche di fronte all’evidenza dell’infuriare in tutto il mondo della pandemia, in particolare negli Stati Uniti, in Brasile e in altri Paesi sudamericani, in India, in Iran. Neanche di fronte al fatto che ai primi di settembre erano stati ormai accertati in tutto il mondo quasi 30 milioni di casi e 900.000 decessi. Inoltre, queste voci critiche furono amplificate dai media e soprattutto sul web sia dai circuiti negazionisti, sia da coloro che, legittimamente ma per insufficiente consapevolezza dei rischi, temevano maggiormente le conseguenze economiche della crisi, che non quelle sanitarie. Tutto questo, supportato anche da chi si diceva convinto che il virus si fosse misteriosamente indebolito spinse non solo i cittadini comuni, ma anche i decisori politici ad abbassare la guardia durante l’estate e all’inizio di autunno, nonostante le curve epidemiologiche in rapida crescita in vari Paesi europei avrebbero dovuto consigliare diversamente7. Fu così che, in ottobre, la seconda ondata colpì, anche l’Italia: in modo solo apparentemente meno drammatico rispetto alla prima, posto che le valutazioni erano falsate dalla mancanza di dati concernenti i mesi di gennaio e febbraio e dai bias di campionamento dovuti alla iniziale scarsità di tamponi e al numero irrisorio di casi testati e diagnosticati.

Oggi, 15 gennaio 2021, a circa 10 mesi dall’inizio della pandemia o almeno della sua fase conclamata i dati sono impressionanti e hanno già largamente superato quelli dell’ultima grande epidemia da virus respiratori del XX secolo, l’Asiatica del 1957: i casi accertati nel mondo sono infatti 94,3 milioni; i decessi 2 milioni. Ed è importante sottolineare che oltre il 75% dei casi e 80% dei decessi sono avvenuti in Paesi occidentali: Americhe (45% dei casi; 47,5% decessi) ed Europa (30%/33%). L’Italia si colloca tra le nazioni al momento più duramente colpite e non solo presenta un indice di letalità tra i più alti del mondo, ma dall’inizio di dicembre registra un numero-record, rispetto a quasi tutti gli altri Paesi, di decessi giornalieri. Inoltre, la situazione sta precipitando anche in Gran Bretagna e persino in quella Germania che aveva saputo tenere a bada la prima ondata. Oltre che negli States di fatto ancora governati dal tycoon.

Le vere ragioni di questi dati drammatici dovrebbero essere ormai evidenti a tutti: mentre nei Paesi occidentali la pandemia è quasi fuori controllo, praticamente fin dall’inizio tutti i Paesi asiatici, ma poi anche Cuba, Nuova Zelanda, Australia e Islanda l’hanno fermata organizzando sistemi di tracciamento e monitoraggio efficaci dei soggetti positivi e dei loro contatti, e ove necessario creando percorsi alternativi e aree di pronto soccorso e quarantena per isolare e curare tempestivamente i casi non gravi ed evitare l’ingresso del virus in ambulatori, ospedali e strutture parasanitarie e riservando l’accesso agli ospedali ai pochi casi gravi. Inutilmente anche in Italia abbiamo chiesto a più riprese che le stesse contromisure fossero prese in considerazione: a marzo per un più rapido controllo della prima drammatica ondata8, ad agosto nel vano tentativo di scongiurare una seconda ondata9 e con il supporto di SIPPS (Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale) e SIP (Società Italiana di Pediatria) anche di recente. Ma questi appelli non hanno sortito alcun effetto e ancora oggi, dopo oltre un anno dai primi allarmi lanciati da Wuhan, mentre Cina, Giappone, Vietnam, Cambogia e tutti gli altri Paesi che hanno saputo rapidamente adattare e rafforzare la medicina territoriale sono tornati a vita normale, noi continuiamo a tremare e siamo costretti a sperare che siano i vaccini a fare il miracolo.

Come possiamo spiegare tutto questo e cosa dobbiamo attenderci?

Una prima interpretazione forse semplicistica, ma non del tutto priva di fondamento, è che i Paesi occidentali non sono adatti a fermare una pandemia, perché non hanno strutture, né strategie adatte a fermare le catene dei contagi. E questo perché i nostri sistemi sanitari sono ospedale-centrici e farmaco-centrici, cioè essenzialmente finalizzati a diagnosticare e a curare le malattie croniche (endocrino-metaboliche, infiammatorie, degenerative e tumorali) che stanno dilagando in tutto il Nord del pianeta e non a mettere in atto strategie di prevenzione e promozione della salute. Un approccio che si basa su un modello/progetto (dominante da alcuni decenni) di una medicina sempre più high-bio-tech, riduzionista e molecolare. Ecco perché, fin dall’inizio della pandemia, gli scienziati occidentali e, ovviamente, quell’entità sempre meno occulta e sempre più potente semplicisticamente denominata Big Pharma, hanno deciso di puntare, per contrastare il nuovo virus, essenzialmente sull’immunoprofilassi di massa. Cioè su un grande esperimento senza precedenti: quello di progettare, costruire, sperimentare e mettere in campo uno o più vaccini hyper-tech, nella speranza che questi possano indurre, nel più breve tempo possibile, quell’agognata immunità di gregge che dovrebbe fermare la pandemia.

Ovviamente a questo punto è importante porsi alcune domande. Quella di puntare tutto sul vaccino è stata una scelta corretta? Ci sono fin qui prove sufficienti che i vaccini proposti, inevitabilmente sperimentali, siano al contempo sicuri ed efficaci sia nel breve, sia nel medio-lungo termine? E cosa significano questi termini? Efficaci significa che ridurranno di frequenza i casi gravi o addirittura che impediranno le infezioni e la trasmissione del virus? Che serviranno a proteggere i soggetti più fragili, ad esempio gli anziani, che rappresentano fin qui la gran parte delle vittime e che spesso non si immunizzano a causa della del loro stesso sistema immunocompetente? E cosa significa sicuri, soprattutto nel medio-lungo termine: una domanda cruciale, visto che andranno somministrati a centinaia di milioni di donne e uomini in tutto il mondo? E, per converso, è lecito ipotizzare che la decisione di puntare tutto sul vaccino abbia fin qui impedito di prendere in considerazione le strategie adottate dai Paesi che hanno affrontato vittoriosamente la pandemia?

La prima cosa che dobbiamo sottolineare è che numerosi autorevoli ricercatori e scienziati certamente convinti, come noi, dell’enorme importanza dei vaccini e del ruolo da questi svolto, nell’ultimo secolo, nel debellare agenti infettivi pericolosi, si sono posti queste domande, mettendo in rilievo importanti criticità. Ci limiteremo qui a ricordarne alcune, limitandoci a citare pochi articoli comparsi sui più importanti giornali scientifici.

In uno degli articoli comparsi su The Lancet gli autori sottolineano, ad esempio, che le troppe pressioni politiche ed economiche registrate in questi mesi di prevedibile e forse inevitabile “corsa alle armi” 10 potrebbero determinare la scelta di un vaccino destinato a rivelarsi solo debolmente efficace, che potrebbe finire con l’aggravare la pandemia se le autorità o gli scienziati o anche semplicemente gli stessi vaccinati convinti di aver ottenuto una sostanziale diminuzione del rischio riducessero le usuali contromisure di protezione e distanziamento. E questo in una situazione in cui non possono ancora esserci verifiche oggettive circa l’efficacia e sicurezza dei vaccini nel medio-lungo termine11.

Un articolo ancora più critico è comparso sul British Medical Journal a firma di Peter Doshi, uno dei massimi esperti al mondo sulle politiche di valutazione di efficacia e sicurezza dei farmaci. Doshi ha messo in rilievo come gli stessi scienziati impegnati nella ricerca sui vaccini prescelti abbiano dovuto ammettere che le prove sperimentali (in particolare quelle di fase III) non erano impostate per dimostrare la reale efficacia del vaccino: cioè per documentare una diminuzione di forme gravi con ricoveri ospedalieri o in terapia intensive e decessi. E questo per il semplice fatto che questi sono attualmente eventi relativamente poco frequenti. I casi gravi rappresentano infatti al massimo il 5% dei casi sintomatici (che sono già di per sé una minoranza) e i decessi ancora meno: per rivelare differenze statisticamente significative sarebbero stati necessari studi numericamente molto più consistenti, lunghi e costosi, praticamente improponibili in corso di pandemia. Ma gli studi non erano neppure disegnati per dirci se i vaccini siano in grado di interrompere la trasmissione del virus, perché per fare questo si sarebbe dovuto “tamponare” migliaia di probandi due volte a settimana per periodi lunghi e questo sarebbe stato operativamente insostenibile. Per quanto concerne infine la sicurezza, gli studi sperimentali possono fornire qualche certezza circa i possibili eventi gravi immediati e frequenti; assai poco circa eventi gravi immediati rari; ovviamente nulla circa gli effetti gravi di medio-lungo termine. 12

In sintesi, bisogna quindi ammettere che pur confidando nell’efficacia dei vaccini approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense e dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA), le principali agenzie regolatorie internazionali deputate a valutare sicurezza ed efficacia dei farmaci, non è ancora certo, se questi vaccini impediscano la trasmissione del virus o si limitino a proteggere da forme gravi i vaccinati. Un risultato, quest’ultimo, certamente importante, che però non consente il raggiungimento “dell’immunità di gregge”. Ma, a ben vedere, i problemi irrisolti sono anche altri. Non sappiamo ancora quanto duri l’immunità conferita dal virus: quello che sappiamo deriva dalle nostre conoscenze su SARS-CoV-1/2002 e MERS-CoV/2012 e da studi che dimostrano la presenza di anticorpi neutralizzanti nei guariti. E se già l’immunità indotta dal “virus selvaggio” non è particolarmente robusta, né duratura, non è detto che un vaccino composto da frammenti del genoma o di proteine antigeniche virali possa far meglio. E questo senza contare i casi di reinfezione, che sono stati già segnalati in tutto il mondo, che sembrerebbero attestare limiti nell’immunità adattativa, in specie negli anziani, che come detto sono tra i soggetti più a rischio. Il fatto che le stesse case farmaceutiche assicurino 3-6 mesi di immunità non è rassicurante, perché ci costringerebbe a richiami vaccinali frequenti e rischierebbe di trasformare i nostri sistemi sanitari in servizi-vaccinazioni e condizionerebbe pesantemente la nostra vita ancora per molto tempo. Certamente più confortante è il fatto che molti soggetti che hanno avuto il Covid anche in forma leggera (e persino asintomatica) presentano a lungo linfociti T di memoria in quantità significativa, anche in assenza di risposta umorale rilevabile13.

Molti esperti sottolineano anche che il virus è, per così dire, “nuovo”, avendo fatto da poco lo spillover, cioè il “salto” nella nostra specie. Questo significa che la pandemia è con ogni probabilità in fase iniziale e che il virus continuerà a mutare, per meglio adattarsi alla nostra specie e per difendersi dal nostro sistema immunocompetente. È dunque possibile che un vaccino efficace oggi, lo sia molto meno tra sei mesi o un anno. Ci sarebbero, ad esempio, già alcune prove che la cosiddetta variante sudafricana, da poco emersa, sarebbe resistente al vaccino. E non bisogna neppure sottovalutare il fatto che i vaccini stessi possono accelerare i tassi di mutazione virale. Alcuni studi mostrano, in particolare, che proprio i vaccini che non prevengono la trasmissione di un virus possono promuovere l’emergere di ceppi patogeni più virulenti nei soggetti non vaccinati14. Anche per questi motivi gli sviluppi di medio-lungo termine della pandemia sono imprevedibili. Non sappiamo se SARS-CoV-2 tenderà a diventare endemico, se avremo epidemie stagionali o ri-emergenze di sue varianti ed è impossibile prevedere quale vaccino garantisca i risultati migliori nelle diverse situazioni.

Nessuno sembra essersi fin qui preoccupato più di tanto dei costi dell’operazione “vaccinazione planetaria anti-Covid” che già a partire dalle cifre iniziali è facile prevedere enormi. Basti considerare che nell’ambito dell’Operazione Warp Speed, il governo USA avrebbe inizialmente stanziato 9 miliardi di dollari per finanziare lo sviluppo e la produzione dei vaccini. Moderna avrebbe ricevuto quasi 1 miliardo di dollari per lo sviluppo del suo vaccino e dovrebbe ricevere ulteriori 1,5 miliardi di dollari per 100 milioni di dosi. Pfizer e il suo partner tedesco BioNTech non hanno ricevuto alcun finanziamento federale per lo sviluppo del vaccino, ma riceveranno 1,95 miliardi di dollari per 100 milioni di dosi. Johnson & Johnson ha ricevuto 456 milioni di dollari per la ricerca e lo sviluppo di vaccini e riceverà 1 miliardo di dollari per 100 milioni di dosi. Novavax 1,6 miliardi di dollari di finanziamenti federali per ricerca, sviluppo e 100 milioni di dosi. AstraZeneca 1,2 miliardi che copriranno 300 milioni di dosi insieme ai costi relativi agli studi clinici e alla produzione di fase 3. E ovviamente siamo soltanto all’inizio.

Ci sono poi i problemi di disponibilità dei vaccini a livello planetario e di accesso equo e le enormi sfide logistiche di produzione e distribuzione. Movimenti internazionali come Gavi, legata a un personaggio discusso come Bill Gates, propongono strategie per una più corretta distribuzione, ma è un dato di fatto che a tutt’oggi sono stati i Paesi ad alto reddito ad accaparrarsi centinaia di milioni di dosi. Eppure è chiaro che soltanto una copertura vaccinale estesa, in tempi abbastanza rapidi, a gran parte della popolazione planetaria potrebbe rivelarsi efficace. Ed è evidente che se il vaccino prescelto non si rivelasse efficace, le conseguenze sarebbero drammatiche: non solo perché, come già sottolineato dagli autori dell’articolo comparso su The Lancet, i vaccinati, credendosi protetti, abbasserebbero la guardia. Ma anche perché la fiducia di molti nelle vaccinazioni potrebbe ridursi e si rafforzerebbe il pericoloso circuito NoVax.

Dobbiamo infine almeno accennare all’argomento più complesso e dibattuto: quello dei possibili effetti collaterali. A questo proposito è giusto ammettere che la sperimentazione è stata insufficiente: non è possibile sottovalutare il fatto che, in genere, la durata delle fasi di sperimentazione di un vaccino è di circa 10 anni. Ma la situazione di emergenza e la “corsa al vaccino”, pronosticata da molti15, non lo ha permesso. D’altra parte bisogna ribadire con forza che non è vero, come sostengono alcuni, che ci troviamo di fronte ad una sorta di esperimento alla cieca. In particolare, la tecnologia utilizzata per i cosiddetti vaccini a RNA, che sono stati i primi a essere messi a punto, autorizzati e distribuiti a tempo di record nei Paesi occidentali è in realtà nota da decenni16 anche se il loro utilizzo è stato a lungo limitato dall’instabilità e dall’inefficiente rilascio in vivo dell’mRNA. Inoltre, come vedremo, gli sviluppi tecnologici degli ultimi anni sono stati stupefacenti e hanno permesso di accorciare enormemente i tempi di progettazione e realizzazione17.

Non possiamo affrontare in questa sede il problema veramente complesso dei possibili effetti collaterali. Ci limiteremo a sottolineare, come ammesso dagli stessi produttori dei vaccini, che al momento non abbiamo ancora dati certi: sia perché i numeri concernenti la fase sperimentale sono esigui, sia perché gli eventuali effetti più temuti emergerebbero, nel medio-lungo termine. Per quanto concerne i rischi immediati – essenzialmente reazioni allergiche e immuno-infiammatorie sistemiche, verosimilmente indotte più dai vettori utilizzati (nanoparticelle lipidiche nel caso dei vaccini a RNA attualmente in uso) o da sostanze adiuvanti (come il PEG), che non dall’RNA stesso – questi sembrerebbero essere lievemente più frequenti rispetto alla media, ma non tanto da indurre a riconsiderazioni critiche. Sarà molto importante monitorare e quantificare con attenzione gli effetti conseguenti alla seconda inoculazione, che rappresenta il momento più critico. Bisogna comunque tenere sempre a mente il concetto-base che il paragone va fatto tra gli effetti collaterali indotti dal vaccino e quelli, in questo caso potenzialmente gravissimi, provocati dal virus selvaggio.

Per quanto concerne gli effetti collaterali di medio-lungo termine, il problema si pone in realtà per tutti i nuovi vaccini e farmaci: è in genere a posteriori (e non sempre) che questi vengono alla luce. Certamente, in questo caso, il problema non può essere sottovalutato, visto il numero enorme dei soggetti che dovranno essere vaccinati: trattandosi di centinaia di milioni/miliardi di esseri umani è evidente che i possibili effetti collaterali gravi potrebbero assumere dimensioni drammatiche. E alcuni timori, espressi anche da esperti, non possono essere sottovalutati: come quelli concernenti il possibile inserimento dell’RNA vaccinico nel genoma umano o in cellule che non abbiano nulla a che vedere con il sistema immunocompetente, come le cellule del sistema nervoso (in particolare gli astrociti, che sono in realtà macrofagi, cioè cellule adibite a questo scopo) e i gameti in via di formazione. Molto, inoltre, si è parlato e scritto delle possibili reazioni autoimmuni di breve e soprattutto medio-lungo termine: ipotesi basata sul fatto che in alcuni casi di Covid sono stati trovati autoanticorpi, in particolare contro il recettore ACE-2 (che è un autoantigene) e contro il complesso ACE2-proteina spike18.

Come dicevamo, non è possibile approfondire in questa sede una simile problematica. Ci limiteremo qui a sottolineare come la progettazione (a computer!)19 e costruzione del cosiddetto codice-sorgente dei vaccini a RNA messi a punto da Pfizer e Moderna, quelli più innovativi e di conseguenza più discussi, attualmente in uso nei Paesi occidentali, rappresenti un piccolo capolavoro di bio-ingegneria sintetica e dovrebbe consentire il miglior utilizzo dell’RNA pseudo-virale da parte del nostro “macchinario” cellulare (ribosomi, reticolo endoplasmatico ecc.) e del nostro sistema immunocompetente. In primis perché quello introdotto non è l’RNA del virus, ma per così dire un suo facsimile geneticamente modificato, in particolare grazie alla sostituzione dell’uracile con una base (1-metil-3′-pseudouridina) normalmente non presente nei genomi virali. Tale modifica, insieme ad altre minori, dovrebbe rendere questo RNA meno reattogeno e consentirgli di sfuggire al nostro sistema immunocompetente e di essere utilizzato correttamente dai nostri ribosomi (cioè dal macchinario molecolare, contenuto nelle nostre cellule, in grado di tradurre la sua informazione per ricostruire la proteina spike che è l’antigene virale in grado di attivare la nostra risposta immune).

Lo scenario più probabile a partire dall’inoculazione dovrebbe essere il seguente. Le nanoparticelle contenenti l’RNA virale introdotte in un muscolo dovrebbero indurvi un processo immuno-infiammatorio locale e la pseudo-proteina spike prodotta nelle nostre cellule raggiungerebbe i linfonodi regionali dove avverrebbero i normali processi di presentazione dell’antigene e di espansione clonale dei linfociti B e T con acquisizione della memoria immunologica specifica. Ovviamente non è detto che i processi molecolari previsti avvengano in modo così semplice e lineare. In particolare non sappiamo esattamente se tutte le nanoparticelle rimarranno nella sede di inoculo, se verranno catturate solo dai macrofagi e dalle altre APCs (cioè dalle cellule deputate da milioni di anni a questo compito). Qualcuno ipotizza, come detto, che alcune nanoparticelle con il loro contenuto possano essere veicolate in circolo e inglobate da altre cellule e in particolare da astrociti e gameti in via di formazione. Indubbiamente si tratta di scenari possibili, che avrebbero dovuto essere studiati più a fondo, magari mediante esperimenti su animali. Discorso analogo può esser fatto anche per ciò che concerne il destino dell’RNA simil-virale all’interno delle nostre cellule: è vero infatti che questo dovrebbe essere captato dai ribosomi e tradotto per produrre gli epitopi antigenici selezionati della proteina Spike di SARS-CoV-2. Ed è probabile che la gran parte dello pseudo-RNA virale, una volta svestito dell’involucro lipidico, venga in buona parte processato nei ribosomi e disintegrato, ma è possibile che avvenga anche altro. L’inevitabile stress molecolare potrebbe ad esempio attivare le sequenze mobili e in particolare le trascrittasi inverse presenti nel nostro genoma: processi, secondo alcuni genetisti e biologi molecolari, tutt’altro che rari (secondo il modello sistemico della Natural Genetic Engineering)20 e filogeneticamente fondamentali per l’inserimento di parti di genomi esogeni (virali in particolare) nel nostro DNA. Su queste basi l’inserimento dell’RNA esogeno nel nostro DNA, del resto già descritto anche per SARS-CoV-221, appare plausibile, ma probabilmente meno pericoloso di quanto temuto da alcuni proprio in quanto si tratterebbe di un processo molecolare fisiologico e frequente22.

Anche le interferenze della pseudo-spike protein con il sistema immunocompetente umano sono prevedibili fino a un certo punto: in pratica si ipotizza che l’RNA virale, pur conservando la sua immunogenicità, sia stato reso assai meno reattogeno e non possa innescare le reazioni di tipo immunoinfiammatorio sistemiche tipiche dei casi gravi (una reazione infiammatoria locale invece è necessaria, perché l’antigene venga correttamente processato e presentato e si formi correttamente la memoria immunologica B e T). Il principale rischio paventato da alcuni è che, essendo stata dimostrata in vari studi in corso di Covid autoanticorpi contro citochine, ACE2 e soprattutto complessi ACE2-Spike, questo possa succedere anche con i vaccini. Da questo punto di vista non dovrebbero essere sottovalutati i casi di paralisi di Bell recentemente segnalati in concomitanza con le prime somministrazioni del vaccino Pfizer, perché si tratta di una neurite demielinizzante infiammatoria acuta, che potrebbe avere un meccanismo patogenetico simile alla sindrome di Guillain-Barré (e come questa essere associata sia a virosi, sia a reazioni ai vaccini)23. Ma anche in questo caso è importante sottolineare che le paralisi di Bell sembrano manifestarsi poco dopo la somministrazione del vaccino e questo farebbe pensare che si tratti di una semplice reazione alle nanoparticelle e non all’RNA virale. Ed è evidente che anche in questo senso il virus selvaggio è certamente molto più pericoloso del vaccino.

In estrema sintesi possiamo insomma concludere che certamente avremmo dovuto essere più cauti. D’altro canto è vero che se la vaccinazione funzionerà al meglio, questo sarà un risultato molto importante anche sul piano scientifico. A questo punto non possiamo che augurarcelo: non solo perché avremo un’arma efficace nei confronti del “nuovo virus” e dei prossimi virus potenzialmente pandemici, ma anche per scongiurare ulteriori farneticazioni di NoVax e cospirazionisti vari, che negli ultimi mesi hanno ingenerato confusione, dubbi, sfiducia nella scienza e nelle istituzioni e ed una pericolosa sottovalutazione dei rischi legati alla pandemia.

D’altro canto, una cosa è certa: non si dovrebbe puntare tutto, come tendono a fare i Paesi occidentali, sul vaccino come unica arma risolutiva. E questo soprattutto perché la pandemia non è un “incidente biologico”, che senza preavviso ha colpito l’umanità e che può essere affrontato solo con farmaci e vaccini, ma un dramma epocale lungamente e inutilmente annunciato: la manifestazione estrema (a livello umano) di una malattia cronica e progressiva, che riguarda l’intera biosfera e che tenderà a prolungarsi o a ripetersi se non cambieranno le condizioni ambientali e sociali che l’hanno determinata. Se in passato le pandemie erano il prodotto di guerre, migrazioni forzate di popoli, carestie, utilizzo innaturale e incauto di altre specie animali24, oggi sono tra le più drammatiche conseguenze di una vera e propria “guerra globale” alla Natura: all’intera ecosfera e in particolare alla biosfera.

Condizionati da Big Pharma?

Ma una pandemia è anche un dramma che può mettere in crisi l’intero sistema socio-politico mondiale, travolgere milioni di vite, i sistemi sanitari di molti Paesi, intere economie. Anche per questo motivo è importante interrogarsi sulle cause che hanno determinato modalità di gestione così differenti e diversamente efficaci. Prima di tutto si può ipotizzare che nei Paesi asiatici, nei Paesi socialisti come Cuba, ma anche in Paesi diciamo più decentrati e meno condizionati dal sistema finanziario internazionale, come Australia, Nuova Zelanda e Islanda la gestione della pandemia è stata più efficace perché le emergenze vengono coordinate e gestite da “tecnici”: cioè da persone che hanno competenze specifiche, non gestiscono potere e non rivestono ruoli politici (o più semplicemente non fanno parte delle classi dominanti), ma svolgono il loro ruolo, magari da decenni, con discrezione e umiltà. Nelle società occidentali, invece, la gestione delle situazioni critiche è coordinata dai politici e da super-tecnici nominati da questi, non sempre prescelti sulla base di vera competenza ed esperienza in materia. Un problema che, per quanto concerne specificamente questa pandemia, si è rivelato in tutta la sua drammaticità, in Italia, negli ultimi 15 anni nei quali avremmo dovuto aggiornare i piani pandemici, come sollecitato a più riprese dalla WHO, e non lo abbiamo fatto. Ma il problema è più generale: non solo perché negli ultimi decenni il nostro sistema sanitario pubblico (e in particolare la medicina territoriale) è stato depotenziato, ma anche perché in tutto l’Occidente la medicina si è andata via trasformando in senso ospedale-centrico e farmaco-centrico, ed è sempre più legata a enormi interessi privati. La scelta di privilegiare questo approccio ha spinto sia la ricerca, sia la clinica a investire in diagnosi e cure delle patologie croniche, degenerative e neoplastiche, anziché in strategie di prevenzione delle stesse e di promozione della salute. E questo ha fatto sì che nessun argine fosse posto al continuo incremento di queste patologie e che la spesa sanitaria andasse alle stelle a beneficio esclusivo, semplificando il discorso, di Big Pharma. La pandemia dovrebbe quindi indurci ad una revisione critica radicale non solo del modo in cui i nostri sistemi sanitari sono organizzati e gestiti, ma dell’intero modello biomedico occidentale. E questo per vari motivi. Prima di tutto perché le stesse agenzie internazionali avvertono che sono migliaia i virus monitorati e ancora di più quelli sconosciuti che potrebbero fare il “salto di specie” a causa dello stravolgimento degli ecosistemi planetari e che gli impatti economici di un evento pandemico sono 100 volte più alti del costo stimato per la sua prevenzione25. Ed è chiaro che se per scongiurare un’”epoca pandemica”26 sono necessari progetti internazionali di tutela e bonifica degli ecosistemi planetari, è altrettanto evidente che i nostri sistemi sanitari devono essere riorganizzati in funzione di questi allarmi. E se, come abbiamo sottolineato a più riprese, una pandemia si ferma con precise strategie di medicina preventiva – costruendo percorsi alternativi e aree di quarantena per evitare che il virus penetri negli ospedali e negli ambulatori medici e mettendo in campo un sistema di tracciamento dei casi e dei contatti da parte di decine di migliaia di volontari, che devono intercettare i primi casi, isolarli e impedire al virus di espandersi – la domanda diventa: questo in Occidente non è stato fatto per carenza di strutture e professionalità o perché richiederebbe una trasformazione radicale del sistema e persino una “conversione” dell’approccio biomedico dominante che non è consentita?

A questo proposito bisogna ricordare che, da alcuni decenni a questa parte, chi opera nel sistema sanitario occidentale si è abituato a pensare che la finalità principale del sistema e della stessa ricerca biomedica sia trovare strumenti tecnologici sempre più sofisticati per diagnosticare le malattie e presidi farmacologici sempre più potenti e personalizzati. E questo nell’ambito di protocolli sempre più standardizzati, legittimati e tendenzialmente imposti ex auctoritate sulla base di una ricerca e di una letteratura scientifica finanziate direttamente o indirettamente da Big Pharma. Sono sufficienti, a questo proposito, due citazioni molto autorevoli concernenti gli effetti delle pressioni esercitate dalle maggiori aziende farmaceutiche, in grado di condizionare pesantemente e manipolare la ricerca e la letteratura concernente in particolare la sperimentazione sui farmaci. La prima è di Marcia Angell, ex-caporedattore del New England Journal of Medicine: “Semplicemente non è più possibile credere a gran parte della ricerca clinica pubblicata, o fare affidamento… su linee guida mediche autorevoli.”27 L’altra di Richard Horton, Director in Chief di The Lancet: “La gran parte della letteratura scientifica, forse la metà, potrebbe semplicemente non essere vera. Afflitta da studi con campioni di piccole dimensioni, minimi effetti, analisi esplorative non valide e flagranti conflitti di interesse, insieme a un’ossessione per perseguire tendenze alla moda di dubbia importanza, la scienza ha virato verso l’oscurità”.28

Le conseguenze di tutto questo sono sotto gli occhi di tutti: le malattie cronico-degenerative, infiammatorie e tumorali infatti continuano ad aumentare ad un ritmo impressionante e si manifestano in età sempre più precoce. E questo essenzialmente a causa di fattori ambientali (in particolare l’inquinamento dell’atmosfera delle nostre città e delle catene alimentari), che interferiscono pesantemente sulla programmazione “epigenetica” e quindi sullo sviluppo dei nostri organismi e dei quali la medicina dominante, interessata soltanto a diagnosi e terapia, non si cura minimamente29.

Al contempo, negli ultimi anni anche le malattie acute, infettive e parassitarie, che il notevole miglioramento delle condizioni igieniche e socio-economiche e i grandi risultati ottenuti dalla vaccino-profilassi e dall’antibioticoterapia di massa avevano tenuto lungamente a bada (almeno nel Nord ricco del pianeta) sono tornate a farsi minacciose. Soprattutto a causa dell’abuso e del cattivo uso degli antibiotici, di enormi trasformazioni sociali ed urbanistiche, dello stravolgimento degli ecosistemi naturali e delle catene alimentari. Da decenni sappiamo che le zoonosi (cioè le malattie dovute al passaggio di germi e e soprattutto di virus da altri animali all’uomo) rappresentano circa il 60% delle malattie infettive acute e il 75% delle malattie emergenti e sono un enorme, costante minaccia30. E almeno a partire dal 1997 per l’emergere dei primi casi umani di influenza aviaria da virus H5N131, seguiti da alcuni grandi outbreaks in ambito aviario e da ripetuti e diffusi cluster in ambito umano prevalentemente in Cina e nel Sud-Est asiatico32 e soprattutto dal 2002-2003 (prima SARS)33 sappiamo che una pandemia è imminente e che sarebbe necessario ed urgente prepararsi, rafforzando i sistemi di controllo internazionali e i sistemi di medicina territoriale e preventiva nei diversi Paesi34.

Ma, mentre i Paesi asiatici – Cina, Corea, Cambogia, Vietnam, Giappone, Taiwan, Singapore, Hong Kong – che agli inizi del millennio avevano sperimentato e affrontato gli allarmi pre-pandemici dovuti all’aviaria e alla SARS erano preparati e fin dall’inizio del 2020 avevano messo rapidamente in campo le corrette ed efficaci strategie di contenimento, bloccando sul nascere la pandemia, in Occidente non solo ci si è lasciati cogliere del tutto impreparati, ma ancora adesso, a distanza di un anno dalle prime notizie concernenti l’approssimarsi del dramma, a 10 mesi dall’inizio della prima e ad oltre 3 mesi dall’inizio della seconda ondata in Europa, non sembra esserci alcuna volontà di mettere in atto le corrette (e necessarie) strategie di contenimento, tracciamento e monitoraggio.

In quasi tutto l’Occidente, infatti, ci si limita a studiare i virus e i possibili antidoti: farmaci antivirali e vaccini, nella convinzione che questi possano bastare. Non solo la trasformazione del sistema sanitario non è nemmeno presa in considerazione, ma si cerca in tutti i modi di difendere e promuovere una medicina sempre più (bio)tecnologica, nonostante la sua insufficienza, già palese “in tempi di pace”, lo é ancora di più “in tempi di crisi/guerra”. E nonostante sia evidente che farmaci e vaccini non possono interferire con la deriva pandemica causata dalla rapida distruzione dell’ecosfera, della climatosfera e in particolare della biosfera, che per il 70% è costituita da microrganismi e soprattutto da virus e il cui equilibrio co-evolutivo è sempre più profondamente disturbato dalle attività umane e, in particolare, biomediche.

In un simile contesto possiamo anche comprendere come mai i farmaci antivirali, gli anticorpi monoclonali e soprattutto i vaccini sperimentali siano diventati il simbolo di una grande scommessa. Questo ci aiuta a capire perché venga attaccato e delegittimato chiunque metta in dubbio la strategia adottata e come mai non venga ascoltato chi propone di adottare le soluzioni che si sono rivelate vincenti nei Paesi non occidentali. E questo nonostante sia evidente che, senza la ri-organizzazione dei nostri sistemi sanitari, dovremo soffrire ancora a lungo (sia sul piano sanitario, sia su quello socio-economico e finanziario), se è vero che le principali agenzie sanitarie internazionali e nazionali hanno pronosticato che perché si formi una sufficiente immunità di gregge ci vorrà molto tempo (almeno 6 mesi/1 anno). E visto, soprattutto, che il problema fondamentale rimarrà irrisolto: quello di una crisi biologica (e sanitaria) altrettanto drammatica, pur se assai meno nota, delle crisi climatica, energetica e demografico-urbanistica, di cui sia le estinzioni biologiche di massa, sia le emergenze pandemiche, sia il dilagare di germi multiresistenti (che ogni anno determinano un numero di morti di poco inferiore a quello dell’attuale pandemia: almeno 700.000, 230.000 dei quali per tubercolosi)35 sono il prodotto.

Come uscirne

Lo ripetiamo inutilmente da quasi un anno36: non si ferma una pandemia in corsa solo con farmaci e vaccini. La pandemia si ferma sul territorio e soltanto se vengono messi in campo tre strumenti fondamentali.

Prima di tutto i percorsi alternativi: nessun caso confermato o supposto di Covid dovrebbe entrare nelle aree sanitarie ordinarie: il virus non deve circolare in ospedali, ambulatori e RSA.

Bisogna poi organizzare le aree di triage e di quarantena per i casi in via di accertamento e i loro contatti e le aree di ospedalizzazione per i casi non critici (che devono essere isolati dalle loro famiglie e trattati evitando qualsiasi contatto con i malati non Covid e con operatori sanitari non adeguatamente protetti) 37. L’ideale sarebbe adattare a questo scopo gli ospedali militari, che non sono attualmente utilizzati e che andrebbero ristrutturati anche in vista del possibile verificarsi di altri episodi pandemici nei prossimi anni38.

Infine, e soprattutto bisognerà mettere in campo le squadre di monitoraggio: in un Paese come l’Italia bisognerebbe reclutare almeno 30-40.000 volontari, che si occupino del tracciamento dei casi e dei contatti (un lavoro impegnativo che non può essere svolto dagli stessi operatori sanitari, che sono già oberati di lavoro in tempo di pandemia). È inoltre utile ricordare che, al momento in cui iniziano ad aumentare i contagi, bisognerebbe avere già predisposto milioni di tamponi quantitativi (in grado di discriminare i falsi positivi) 39.

Così hanno fatto tutti i Paesi che hanno fermato la pandemia. Ma a questo scopo bisognerà non solo trasformare radicalmente i nostri sistemi socio-sanitari, ma rimettere in discussione l’intero paradigma bio-medico dominante, riconoscendovi gli stessi difetti di fondo che rendono insostenibile il sistema economico-commerciale e tecnologico-produttivo globale che sta avendo un impatto crescente sulla biodiversità degli ecosistemi, riducendone sia la resilienza ambientale sia la biocapacità40.

NOTE

1 J Taubenberger, Morens D, 1918 Influenza: the mother of all pandemics, in Emerg Infect Dis, vol. 12, n. 1, 2006, pp. 15–22.
2 Knobler S, Mack A, Mahmoud A, Lemon S (a cura di), 1: The Story of Influenza, in The Threat of Pandemic Influenza: Are We Ready? Workshop Summary (2005), Washington, D.C., National Academies Press, pp. 60–61.
3 Burgio E. A pandemic foretold (in vain). A last report, Wall Street International Magazine 2020 Aug. 04.
4 22/01/2020: WHO Director-General’s statement on IHR Emergency Committee on Novel Coronavirus; 04/02/2020: WHO Director-General’s opening remarks at the technical briefing on 2019 novel coronavirus: 15/02/2020: Munich Security Conference.
5 11/03/20: WHO Director-General’s opening remarks at the media briefing on COVID-19 – 11 March 2020.
6 Burgio E., 2020, Covid-19: the Italian Drama – Four avoidable risk factors, Wall Street International, 21 aprile.
7 Burgio E. Pandemic yes, pandemic no? This is the question, Wall Street International Magazine (2020) Sept. 28.
8 Miani A., Burgio E., Colao A. Coronavirus: le proposte SIMA e Cattedra Unesco per una rapida strategia sanitaria.
9 SIPPS – Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale Documento Ministero della Salute – Istituto Superiore di Sanità, Elementi di preparazione e risposta a Covid-19 nella stagione autunno-invernale 11.08.2020.
10 Gaebler C, Nussenzweig MC. All eyes on a hurdle race for a SARS-CoV-2 vaccine, Nature. 2020 Oct;586(7830):501-502.
11 Krause P, Fleming TR, Longini I, Henao-Restrepo AM, Peto R; World Health Organization Solidarity Vaccines Trial Expert Group. Covid-19 vaccine trials should seek worthwhile efficacy, Lancet. 2020 Sep 12;396(10253):741-743.
12 Doshi P. Will Covid-19 vaccines save lives? Current trials aren’t designed to tell us, BMJ. 2020 Oct 21;371:m4037.
13 Sekine T, Perez-Potti A, et al. Robust T Cell Immunity in Convalescent Individuals with Asymptomatic or Mild Covid-19, Cell. 2020 Oct 1;183(1):158-168.e14.
14 Read AF, Baigent SJ, Powers C, Kgosana LB, Blackwell L, Smith LP, et al. Imperfect Vaccination Can Enhance the Transmission of Highly Virulent Pathogens, PLoS Biol (2015) 13(7): e1002198.
15 Callaway E. The race for coronavirus vaccines: a graphical guide, Nature. 2020 Apr; 580(7805):576-577.
16 Wolff, J. A. et al. Direct gene transfer into mouse muscle in vivo. Science (1990). 247, 1465–1468.
17 Pardi, N., Hogan, M., Porter, F. et al. mRNA vaccines — a new era in vaccinology. Nat Rev Drug Discov 17, 261–279 (2018).
18 Halpert G, Shoenfeld Y. SARS-CoV-2, the autoimmune virus, Autoimmun Rev. 2020 Dec;19(12):102695.
19 Ingenierizzazione inversa del Codice Sorgente del Vaccino BioNTech/Pfizer.
20 Shapiro, J.A. Revisiting the Central Dogma in the 21st Century, Annals of the New York Academy of Sciences, (2009), 1178: 6-28.
21 Zhang L., Richards A. et al SARS-CoV-2 RNA reverse-transcribed and integrated into the human genome, bioRxiv 2020.12.12.422516.
22 Shapiro J.A. What Natural Genetic Engineering Does and Does Not Mean.
23 Zandian A, Osiro S, Hudson R, et al. The neurologist’s dilemma: a comprehensive clinical review of Bell’s palsy, with emphasis on current management trends, Med Sci Monit. 2014;20:83-90. Published 2014 Jan 20.
24 Wolfe ND, Dunavan CP, Diamond J. Origins of major human infectious diseases,Nature. 2007 May 17;447(7142):279-83.
25 Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) Escaping the ‘Era of Pandemics’: Experts Warn Worse Crises to Come. Options Offered to Reduce Risk.
26 The United Nations Environment Programme (UNEP) Escaping the ‘Era of Pandemics’: Experts warn worse crises to come options offered to reduce risk.
27 Angell M. Drug Companies & Doctors: A Story of Corruption. The New York Review of Books magazine.
28 Horton R. Offline: What is medicine’s 5 sigma?
29 Burgio E Environment and fetal programming: the origins of some current “pandemics”, Journal of Pediatric and Neonatal Individualized Medicine 2015;4(2):e040237.
30 Morse SS, Mazet JA, Woolhouse M, Parrish CR, Carroll D, Karesh WB, Zambrana-Torrelio C, Lipkin WI, Daszak P. Prediction and prevention of the next pandemic zoonosis, Lancet. 2012 Dec 1;380(9857):1956-65.
31 Yuen KY, Chan PKS, Peiris M, et al. Clinical features and rapid viral diagnosis of human disease associated with avian influenza A H5N1 virus. Lancet, 351 (1998), pp. 467-471.
32 Peiris JS, Yu WC, Leung CW, Cheung CY, Ng WF, Nicholls JM, Ng TK, Chan KH, Lai ST, Lim WL, Yuen KY, Guan Y Re-emergence of fatal human influenza A subtype H5N1 disease, Lancet. 2004 Feb 21; 363(9409):617-9.
33 Drosten C, Gunther S, Preiser W, et al. Identification of a novel coronavirus in patients with severe acute respiratory syndrome. N Engl J Med 2003; 348:1967-76.
34 Van Damme W, van de Put W, Devadasan N, Ricarte JA, Muyembe JJ. Is the world ready for the next pandemic threat?, BMJ. (2018) 9; 362:k3296.
35 New report calls for urgent action to avert antimicrobial resistance crisis.
36 Burgio E., Covid-19: the Italian Drama – Four avoidable risk factors, Wall Street International Magazine 2020 April 21.
37 Anelli F, Leoni G, Monaco R, Nume C, Rossi RC, Marinoni G, Spata G, De Giorgi D, Peccarisi L, Miani A, Burgio E, Gentile I, Colao A, Triassi M, Piscitelli P. Italian doctors call for protecting healthcare workers and boosting community surveillance during covid-19 outbreak, BMJ. 2020 Mar 26; 368:m1254.
38 Miani A, Burgio E, Piscitelli P, Lauro R, Colao A. The Italian war-like measures to fight Coronavirus spreading: Re-open closed hospitals now, E Clinical Medicine. 2020 Apr; 21:100320.
39 Bullard J, Dust K, et al. Predicting infectious SARS-CoV-2 from diagnostic samples, Clin Infect Dis. 2020 May 22:ciaa638.
40 Millennium Ecosystem Assessment Ecosystems and human well-being : synthesis, Washington, DC: Island Press. (2005).

(*) ripreso da wsimag.com

A un anno dal Covid 19 in ostaggio delle multinazionali farmaceutiche

Sanità. La Commissione Ue avvii la deroga ai diritti di proprietà intellettuale come da Wto, lo chiedono India e Sudafrica: liberare la conoscenza scientifica prodotta con fondi pubblici

di Nicoletta Dentico (**)

L’euforia intorno ai vaccini e la campagna di comunicazione attivata dai governi alla fine del 2020, con l’annuncio che il loro avvento avrebbe segnato l’inizio della fine della pandemia, hanno destato nella comunità scientifica qualche perplessità, per le aspettative indotte. Certo, il fatto che due vaccini – Pfizer/Biontech e Moderna – siano stati scoperti e messi in produzione con una tempistica senza precedenti, 10 mesi invece dei consueti 10-12 anni, e con un’efficacia iniziale mozzafiato, oltre il 90%, è un vero miracolo della medicina. Ed è una gran bella notizia il fatto che altri vaccini siano in fase avanzata di studio clinico, in più parti del mondo. Una mobilitazione scientifica così focalizzata contro lo stesso virus non si era mai vista. Ma lo scenario resta denso di insidie, e non solo per le incognite sulla evoluzione del virus.

TANTO PER COMINCIARE, l’arrivo dei vaccini inaugura la fine dell’inizio della pandemia nel migliore dei casi. L’altalena di notizie sui ritardi nelle consegne dei vaccini proiettano il chiaroscuro di un brusco risveglio, il primo bagno di realtà dopo lo stordimento della propaganda natalizia. Sia chiaro: mettere in campo in pochi mesi una produzione su larga scala per contrastare a regime di emergenza una pandemia non è uno scherzo. Non è mai accaduto prima. Non deve sorprendere quindi se un terzo dei 27 Paesi europei hanno registrato forniture insufficienti dei prodotti e 6 governi (Svezia, Danimarca, Finlandia, Lituania, Latvia, Estonia) hanno scritto a Pzifer/Biontech per chiedere «stabilità e trasparenza nella tempestiva consegna dei vaccini». Tener testa alla domanda è una sfida che non contempla ambiguità da parte dell’industria, né tanto meno false promesse. I ritardi sulle tabelle di marcia concordate non solo impattano sulle pianificazioni vaccinali per la somministrazione della seconda dose, ma rischiano di minare l’efficacia complessiva del piano vaccinale. Il tiro alla fune tra governi e imprese rammenta brandelli di storia già vissuti venti anni fa con la pandemia dell’HIV/Aids. Non possiamo ripetere quella sceneggiatura sui vaccini pandemici.

ANCHE PERCHÉ, questa volta, il finanziamento pubblico ha agito da leva di una rotta scientifica senza precedenti. Insieme alle nuove tecnologie, i fondi dei governi hanno rivoluzionato la ricerca clinica, favorendone l’estrema accelerazione. Il recente rapporto della fondazione kENUP rivela che in 11 mesi di attività su SARS-CoV-2 il pubblico ha investito 93 miliardi di dollari, il 95% dei quali destinati ai vaccini – 86,5 miliardi – e il 5% ai farmaci e diagnostici. L’iniezione proviene dai paesi industrializzati: il 32% dagli Stati uniti (Operazione WARP Speed), il 24% dalla Commissione Europea, il 13% dal Giappone e dalla Corea del Sud. La fetta finanziaria più consistente è andata alle piccole e medie imprese e il 18% ai grandi produttori farmaceutici. Le biotech hanno avuto un ruolo determinante contro Covid19. Aziende sconosciute come l’americana Moderna o le tedesche CureVac e BionNThec, specializzate nella tecnologia dell’Rna messaggero, sono le protagoniste assolute di questa storia di innovazione, con esiti stratosferici sul mercato finanziario: a metà agosto, CureVac ha visto svettare i titoli del 249,4% in 24 ore, del 400% in due giorni. Per la felicità della Fondazione Bill & Melinda Gates, uno dei principali investitori.

NELLA FRENESIA della gara all’accaparramento, i governi occidentali hanno operato nel solco di un incomprensibile laissez faire nei confronti delle industrie, a cui pure erogavano montagne di denaro. Non hanno negoziato le limitazioni commerciali e le flessibilità di tempo e prezzo del regime pandemico. Non hanno posto clausole di trasparenza – gli accordi sono segreti – né hanno fissato ex ante le condizioni di accesso al vaccino secondo criteri di salute pubblica, con uno sguardo rivolto oltre i paesi occidentali. Il vaccino non esiste in isolamento: serve una adeguata strategia di vaccinazione, condizioni di adattamento ai diversi contesti. Chi e quando immunizzare, e in quale ordine di priorità (se la disponibilità del vaccino è limitata), sono decisioni da prendere sulla scorta di informazioni epidemiologiche e sulle proprietà del vaccino suscettibili di modifiche a seconda della evoluzione della malattia e della eventuale presenza di altri vaccini, in una dinamica e mai scontata analisi dei rischi e benefici. Eppure, con Covid19, questi obiettivi di salute pubblica rischiano di perdersi nella scomposta pratica degli accordi bilaterali – 44, secondo l’Oms, di cui 12 stipulati solo nel 2021 – con le aziende per avere dosi aggiuntive ad hoc.

COVID19 IMPONE un profondo ripensamento, una nuova cultura sanitaria in chiave europea. Ora che siamo in tempo di pandemia, occorre subito che la Commissione sostenga la deroga ai diritti di proprietà intellettuale, come previsto dal trattato costitutivo dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, e come richiesto da India e Sudafrica: liberare la conoscenza scientifica prodotta con fondi pubblici e favorire il protagonismo di nuovi soggetti nella lotta a Covid19 è un’esigenza reale, per sconfiggere il virus. All’Europa inoltre serve predisporre quanto prima una ricerca e produzione pubblica di prodotti farmaceutici e medicali essenziali, per emanciparla dalla logica individualistica dei singoli stati membri nella gestione delle prossime pandemie, già all’orizzonte. Un’altra ricerca farmaceutica è possibile. Dopo Covid19, indispensabile.

(**) ieri sul quotidiano «il manifesto»

Virus, vaccini: incubi e profitti

di Roberto Rosso (***)

All’inizio dell’avverarsi di questa distopia in cui siamo precipitati abbiamo conosciuto e subito le carenze del sistema sanitario nell’affrontare l’espandersi della pandemia Covid-19 del virus Sars-Cov-2, l’esplosione pandemica è stata innescata dal potere politico, in  primo luogo quello regionale della Lombardia, che si rifiutò di chiudere il pronto soccorso dell’ospedale di Alzano Lombardo e di dichiarare zona rossa il comprensorio della Val Seriana, sotto pressione della Confindustria. In queste settimane siamo precipitati dalle promesse salvifiche nelle delusioni cocenti della soluzione offerta dai vaccini e non si tratta della loro efficacia nel garantire l’immunità dal virus, ma della loro disponibilità garantita o meno dall’industria farmaceutica o meglio dal gruppo di testa delle 10 società – conosciute collettivamente come Big Pharma – che controllano il mercato mondiale dei farmaci.

I  due corni del problema hanno una comune origine nel rapporto tra pubblico e privato, nella riduzione progressiva dell’intervento pubblico nella sanità e nel monopolio di Big Pharma nella produzione dei farmaci, sostenuta peraltro da consistenti finanziamenti pubblici.

La produzione dei vaccini contro il Sars-Cov-2 costituisce indubbiamente un evento straordinario per i tempi con cui sono stati realizzati, sia pure con importanti differenze nei loro percorsi tra quelli già pronti e testati e quelli ancora in fase di test, gravati da problemi di efficacia. Le risorse utilizzate in termini finanziari, tecnologici e produttivi costituiscono probabilmente un caso unico nella storia dell’industria farmaceutica, laddove le risorse finanziarie sono state abbondamene anticipate dagli stati1 e costituiscono un lauto anticipo sui giganteschi profitti che le stesse società stanno realizzando e realizzeranno  nei prossimi mesi; dalle cronache emerge una sorta di messa all’asta sul mercato mondiale.

Se il monopolio privato della produzione di farmaci alimenta con le sue pratiche le diseguagliazne sociali a livello globale e nei singoli paesi, la distribuzione ineguale dei vaccini per il Covd-19, per l’impatto sanitario e sociale di questa pandemia, sta producendo un inedito salto di qualità. Nel mese di novembre 2020 Medici senza frontiere invita tutti i paesi a sostenere la richiesta di India e Sud Africa2.

Nell’articolo si legge “La sospensione della proprietà intellettuale consentirebbe a tutti i paesi di non concedere o depositare brevetti e altre misure di proprietà intellettuale su farmaci, test diagnostici e vaccini utili per la risposta al Covid-19 per tutta la durata della pandemia, fino al raggiungimento dell’immunità di gregge a livello globale. Un’iniziativa simile alle posizioni assunte dai Governi del Sud del mondo oltre 20 anni fa che hanno determinato l’introduzione e l’utilizzo dei farmaci generici per l’HIV/AIDS a prezzi accessibili, salvando così milioni di vite. (…)Inoltre, diversi farmaci nuovi e riutilizzati e anticorpi monoclonali in fase di promettente sperimentazione per il trattamento del Covid-19, sono già brevettati in molti paesi come Brasile, Sud Africa, India, Indonesia, Cina e Malesia. (…)  In totale, 99 paesi hanno accolto e mostrato supporto, tuttavia la proposta di sospensione dei brevetti non è stata accolta favorevolmente da molti paesi ricchi, tra cui USA, Regno Unito, Giappone, Canada, Brasile, Australia, Norvegia, Svizzera e UE

Gli schieramenti sulla proposta dicono molto sul potere di Big Pharma e sugli scheramenti e gli interessi che si confrontano e si intrecciano nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC-acronimo inglese WTO)3, ma a che punto siamo con questa richiesta?

Constatando di non poter raggiungere l’unanimità sulla proposta entro la fine dell’anno, il 10 dicembre 2020 il Consiglio TRIPS ha deciso di continuare le discussioni nel 2021, presentando una relazione orale sullo stato dell’arte durante la riunione del 16-17 dicembre 2020. La decisione di proseguire le discussioni è stata quindi ratificata in data 18 dicembre 2020, ed una nuova riunione formale del Consiglio TRIPS è stata fissata per il 10-11 marzo 2021.”4. Il succo della proposta può essere riassunto in quanto segue “Per affrontare questi problemi, proponiamo un complemento all’attuale regime: l’Health Impact Fund (“il Fondo”) come percorso alternativo attraverso il quale gli innovatori farmaceutici possono scegliere di essere ricompensati. Ogni nuovo farmaco registrato presso il Fondo dovrebbe essere venduto al costo di produzione o di distribuzione, e l’impresa che ha registrato tale farmaco riceverebbe per un periodo di dieci anni un premio annuale in denaro calcolato sulla base dell’impatto che il farmaco stesso ha sulla salute dei pazienti.

(…)Inoltre, Il Fondo si differenzia dall’attuale regime dei brevetti perché il suo sistema di ricompensa non si basa sulla vendita di un farmaco ma sui reali miglioramenti in salute che questo apporta. Sicuramente l’efficacia di un farmaco è un fattore che ne incentiva la vendita, tuttavia è possibile che vengano venduti farmaci relativamente inefficaci o inadatti alle esigenze del paziente. Ciò accade spesso: avendo ricarichi esorbitanti, le aziende cercano di influenzare gli ospedali, gli assicuratori, i medici e i pazienti ad usare il proprio farmaco brevettato e a favorirlo rispetto ad altri.”  Il tema sollevato dalle ultime righe della citazione è quello della trasparenza di tutto il sistema sanitario dalla produzione dei farmaci ai sistemi sanitari, di erogazione delle cure. L’insieme dei sistemi di cura a livello mondiale nelle sue differenziazioni nazionali è plasmato attorno agli interessi di Big Pharma o dei suoi equivalenti, con Cuba come unica eccezione certa.

Rimanendo ancora sulla questione vaccini per Covid-19, il primo a essere proposto è stato lo Sputnik russo, che ha sollevato più di qualche perplessità per i tempi ed i modi della sua approvazione5 ; “Finora lo Sputnik V – chiamato così in onore del primo satellite sovietico inviato nello spazio, con la V aggiunta in segno di vittoria – è stato usato solo da una manciata di paesi emergenti, attirati dal prezzo conveniente – meno di dieci dollari per dose, e ne servono due per risultare protetti dal virus, come per i vaccini occidentali – o spinti dai legami con la Russia.”

Infine abbiamo il vaccino cinese, anzi i  4 vaccini6 il primo prodotto dalla Cansino biologics l’ultimo sviluppato da Sinopharm (azienda farmaceutica controllata dallo Stato) in collaborazione con il Beijing Institute of Biological Products. Rispetto ai vaccini statunitensi di Pfizer e Moderna, basati sulla nuova tecnologia dell’RNA messaggero, che hanno un’efficacia di circa il 95%, e rispetto al russo Sputnik V, a vettore virale, con efficacia superiore al 90%, il vaccino di Sinopharm, basato sulla rodata tecnologia del virus inattivato, sembrerebbe avere un’efficacia leggermente minore, di poco inferiore all’80%. I suoi vantaggi risiedono però nel costo ridotto e nella facile trasportabilità. Come si evince dall’articolo le politiche di test, certificazione e somministrazione dei vaccini sono sui generis (come sono state le misure draconiane imposte per bloccare lo sviluppo della pandemia) ben diverse rispetto a quelle a d esempi di Stati Uniti ed Unione Europea, benché nel caso della Gran Bretagna le procedure di approvazione del vaccino di AstraZeneca siano state molto rapide. La vicenda dei vaccini -nel contesto delle trasformazioni globali e locali indotte dalla pandemia- costituisce un terreno di scontro sul piano economico e strategico: “Sullo scacchiere globale dunque se da un lato i vaccini più costosi, innovativi e (per ora) più efficaci sono stati ad oggi autorizzati e acquistati dai Paesi più ricchi che possono permetterseli, dall’altro si sta delineando un mercato parallelo, più vasto e non necessariamente meno redditizio, per i Paesi meno ricchi. La Cina è interessata a entrare con decisione in questo mercato, offrendo il vaccino certamente come cura, ma anche come strumento di scambio diplomatico. Ma non è la sola: l’India, che oltre ad aver autorizzato quello di AstraZeneca, ha approvato, il 3 gennaio, l’uso emergenziale del vaccino sviluppato dall’indiana Bharat Biotech, anch’esso a virus inattivato e potenzialmente accessibile ai Paesi in via di sviluppo.” Lo aveva estesamente documentato il già citato articolo dell’ISPI7.

Alcuni dati sullo scenario globale del settore farmaceutico. Nel 2019 i ricavi globali del settore farmaceutico hanno superato i 1.200 mi­liardi di dollari, con una significativa concentrazione negli Stati Uniti che, da soli, assorbono il 50% circa delle vendite. Seguono i mercati emergenti e, a breve distanza, il mercato europeo con un peso di circa il 19% sulle vendite globali. Il valore aggiunto del settore farmaceutico a livello globale si aggira intorno ai 500 miliardi. Oltre il 60% di tale valore è prodotto quasi equamente in Asia e in Europa. Nonostante nel mercato statunitense si generino la mag­gior parte dei ricavi dalle vendite del settore, il peso degli Stati Uniti sul valore aggiunto si ferma al 25%. Circa un terzo delle vendite globali è riconducibile a dieci grandi mul­tinazionali a capitale statunitense ed europeo. La statunitense Pfizer, con un fatturato di 51,8 miliardi di dollari nel 2019, è la più grande azienda far­maceutica al mondo. Altri importanti attori globali a capitale USA sono John­son&Johnson, Merck & Co. e AbbVie. I cinque principali player europei sono gli svizzeri Hoffman- La Roche e Novartis, i britannici GlaxoSmithKline e AstraZeneca e il francese Sanofi8.

Per quanto concerne il settore dei dispositivi medici in Italia, l’ultima foto­grafia, riferita al 2017, mostra un valore della produzione pari a 16,5 miliardi di euro, dei quali circa 5 miliardi di export. Sono presenti 3.957 aziende, che occupano 76.400 dipendenti. Si tratta di un tessuto industriale molto eteroge­neo, altamente innovativo e specializzato, con piccole aziende che convivono con i grandi gruppi e con oltre 300 start-up9.

E’ evidente il potenziale del settore farmaceutico italiano, sua pure in posizione subordinata, nelle filiere globali, come peraltro accade in altri settori produttivi, caratteristica saliente settore manifatturiero italiano nonostante sia il secondo a livello europeo, dopo quello tedesco. La vicenda dei vaccini costituisce solo ultimo avvertimento rispetto alla necessità di una strategia e di un intervento pubblico efficaci nel settore, in Italia ed in Europa, per quanto ci riguarda più direttamente.

Il potere finanziario e tecnologico, l’impatto sociale   impattano ormai in modo smisurato le condizioni di vita dell’umanità intera. Come le corporations dell’informazione -le famigerate GAFAM-  informano sempre di più lo sviluppo della delle relazioni sociali, le identità individuali e collettive, assieme sussumono la produzione della conoscenza sulle forme di vita biologiche e sociali.

Abbiamo bisogno della nascita o forse della rinascita di un movimento globale per la riappropriazione dei beni comuni. L’attuale congiuntura indotta dalla pandemia, con le straordinarie misure che autorità politiche e finanziarie stanno attivando, costituisce il terreno in cui questo movimento si deve sviluppare. In queste settimane in  Italia, nel bel mezzo di una crisi politica, sanitaria ed economica, la costruzione di un intervento pubblico partecipato è qualcosa di nuovo di cui abbiamo bisogno in ogni settore della vita sociale. La partita è appena cominciata.

 

 

  1. https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/11/18/vaccino-covid-quanto-hanno-gia-incassato-negli-usa-le-societa-in-corsa-per-produrli-stati-uniti-piu-trasparenti-della-ue-qui-dati-segreti/6003498/[]
  2. https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/covid-19-i-governi-devono-sospendere-i-monopoli-sui-brevetti-di-farmaci-test-e-vaccini/[]
  3. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-guerra-dei-vaccini-e-le-regole-del-gioco-27251[]
  4. https://www.lexology.com/library/detail.aspx?g=c3d67043-4017-41c8-86ac-0f6c9595e1b1)) Le conseguenze del monopolio privato sulla produzione dei farmaci, assieme alla mancanza ddi sostanziali controlli sul livello di profitto quindi sui prezzi a cui i farmaci vengono proposti sul mercato -giustificati dall’alto costo della loro produzione- ha portato alla proposta del cosiddetto Health Impact Fund((https://www.limesonline.com/coronavirus-vaccino-riforma-industria-farmaceutica/118470[]
  5. https://www.internazionale.it/notizie/isabelle-mandraud/2021/01/25/vaccino-russo[]
  6. https://ilbolive.unipd.it/index.php/it/news/lautorizzazione-sinopharm-diplomazia-vaccinale[]
  7. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-guerra-dei-vaccini-e-le-regole-del-gioco-27251[]
  8. L’economia italiana, dalla crisi alla ricostruzione Settore Life Sciences e Covid-19

    Scenario, impatti, prospettive. Cdp EY Luis Business School)

    In questo contesto globale quale la situazione dell’industria farmaceutica in Italia? L’Italia occupa una posizione rilevante nel ciclo complessivo con un fatturato di 34 miliardi di euro nel 2019, in crescita rispetto al 2018, solamente grazie all’export (+26%). Stabili investimenti e occupazione, per un totale di 66.500 addetti. In base ai dati del Registro statistico delle imprese attive Asia dell’Istat, nel 2017 in Italia il numero di addetti nel comparto farmaceutico era pari a oltre 61 mila, circa l’1,7 per cento del totale manifatturiero, eppure la sua quota in termini di valore aggiunto raggiungeva circa il 3,7 per cento nello stesso anno, secondo la contabilità nazionale La forte internazionalizzazione dell’industria farmaceutica italiana è confermata dall’elevata presenza di imprese a capitale estero, in media pari a circa il 60 per cento del settore in termini di fatturato, occupazione, investimenti, vendite estere e imposte pagate nel 2018, sulla base di elaborazioni di Farmindustria (2019). Secondo le Foreign Affiliate Trade Statistics dell’Istat, nel 2017 le esportazioni delle multinazionali farmaceutiche a controllo estero in Italia sono state pari al 75 per cento di quelle totali del settore, di cui più di due terzi legate a scambi infra-gruppo.

    Nel settore farmaceutico è ampiamente diffusa, e in espansione sia a livello globale sia a livello nazionale, la produzione conto terzi (c.d. Contract Manufacturing – CM). I servizi offerti dalle imprese terziste non necessariamente si limitano alla sola fabbricazione del prodotto (Contract Manufacturing Organization – CMO), ma possono includere anche la fase di sviluppo del farmaco (Contract and Development Manufacturing Organization – CDMO). Secondo stime elaborate da Pricewaterhouse Coopers (2019), nel 2019 il fatturato CDMO a livello globale sarebbe cresciuto dell’8 per cento rispetto all’anno precedente e sarebbe destinato ad aumentare a tassi annuali analoghi fino al 2025. Un recente studio di Farmindustria e Prometeia (2019) colloca l’Italia al primo posto in Europa per valore della produzione conto terzi nel settore farmaceutico e stima che nel periodo 2010-2017 (ultimo anno disponibile) le esportazioni farmaceutiche del comparto CDMO siano pressoché raddoppiate. (( Banca d’Italia – Questioni di Economia e Finanza – IL RECENTE ANDAMENTO DELLE ESPORTAZIONI DEL SETTORE FARMACEUTICO IN ITALIA E NEL LAZIO Numero 566 – Giugno 2020[]

  9. L’economia italiana, dalla crisi alla ricostruzione Settore Life Sciences e Covid-19 Scenario, impatti, prospettive. Cdp EY Luis Business School[]

(***) ripreso da https://transform-italia.it/

foto di Massimo Golfieri

LA “BOTTEGA” SEGNALA ANCHE:

Giovanni Iozzoli: La campagna militar-vaccinale

 

https://lazuccablog.wordpress.com/2020/12/31/covid-vivere-in-cina-o-morire-nelle-economie-del-benessere/

Diritto al vaccino come diritto universale

di Riccardo Petrella

Vittorio Agnoletto per la campagna Right to cure

Contributo video di Vittorio Agnoletto alla campagna europea “Diritto alla cura – Nessun profitto sulla pandemia” . Firmate la petizione europea: http://www.noprofitonpandemic.eu/it

 

 

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