Cupole, sterilità, matematica e cospirazioni

recensione a «La guerra della pace» (noto anche come «Quando scoppiò la pace») di Vernor Vinge che torna in edicola

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Occhio al «non». Una frase come «il ricordo più concreto di quello che la razza umana non era riuscita a ottenere» vi incuriosisce? Andate avanti allora e la ritroverete alle ultime righe: «La guerra della pace» di Vernor Vinge è in edicola come Urania per tutto il mese di marzo. Vale la spesa.

E’ il classico caso in cui non dovrei dire una parola sulla trama. Al massimo posso accennare che c’è una cospirazione: però se il «nucleo» della congiura sono un vecchio, «un ragazzino pelle e ossa» più un traditore non sembra granché…

Girellando fra le pagine segnalo il matematico Srinivasa Aiyangar Ramanujan – in tamil dovreste scriverlo così: ஸ்ரீனிவாஸ ஐயங்கார் ராமானுஜன் – quasi a inizio libro, una storia che se non la conoscete merita una ricerca. Subito dopo gli scacchi con «l’unico giocatore completamente umano ancora imbattuto». Occhio anche a «il bastone dello smascheramento e la carota della ricchezza». Memorabile questa suggestione: «era come aggiungere altre stanze alla sua immaginazione». E nel bel finale non fatevi scappare: «la matematica è il cuore di tutto ma va applicata a qualcosa», quasi una sentenza.

Qualche dubbio vi assillerà da inizio a fine: le guerre scoppiano da sole? È sempre così chiara la differenza fra una guerra e una “cattiva” pace? e se chi scatena le guerre lo facesse per affermare «la sua pace»? Ma state pensando a Orwell o a Clinton-D’Alema nei Balcani? Infine: una tirannia meno feroce delle altre… è un prezzo accettabile?

Quando io ero metà di Erremme Dibbì (*) e dunque a volta giocavamo a fare “il poliziotto buono e quello cattivo” leggendo il romanzo di Vernor Vinge – che Urania aveva pubblicato appunto come «Quando scoppiò la pace», traduzione del grande Vittorio Curtoni – io e Riccardo ci dividemmo così: «scrittura non banale, invenzioni stimolanti, un buon romanzo» (non dirò chi dei due) e «non male nel genere più classico, però senza granché di nuovo da dire». Oggi a rileggerlo… avevamo ragione tutti e due.

Trovo un appunto di Ivan Della Mea (toh) su «L’unità» (a beneficio dei pignoli aggiungo la data: 6 febbraio 1986): «Matematico di professione, Vinge riversa la sua scienza nella fatica letteraria […] In “Quando scoppiò la pace” la struttura del tessuto narrativo è solida, le sorprese mai scontate, i personaggi ben caratterizzati, i risvolti politico-sociologici attendibili […] E’ annunciato un seguito: di quale entità e con quali sviluppi non è dato sapere». Ivan, oltre a tutto il resto anche appassionato di fantascienza. Concordo con lui: «una lettura attenta» di questo romanzo «dà sostanza al piacere del leggere», è tipico della migliore science fiction.

Quanto a Vinge preciso che non delude mai … però raramente entusiasma.

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Sulla vecchia edizione – uscita, lo ripeto, come «Quando scoppiò la pace» nel dicembre 1985 con una copertina argento (lo dico per i “bancarellari”) – c’era uno stupendo racconto di James White: «Qualcosa che vale». Fossi il “preside” di una facoltà universitaria lo proporrei come test d’ammissione, magari con questa formula: il racconto viene dato senza l’ultimo paragrafo e gli studenti/le studentesse devono cercare di “immaginare” il finale… Vi state chiedendo “ma quale facoltà esattamente?”. La mia risposta è: tutte.

(*) questa di Erremme Dibbì è una storia che in “bottega” ho raccontato più volte: riassumendo al massimo, così ci firmavamo Riccardo Mancini (erremme) e io (dibbì) scrivendo su «il manifesto» e altrove.

 

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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