Ecuador: le carceri al collasso

A seguito dell’ultima mattanza, avvenuta nella prigione El Litoral di Guayaquil il 13 novembre 2021, sono emerse, ancora una volta, le gravi responsabilità di uno Stato che considera la repressione come l’unico strumento valido.

di David Lifodi

Le carceri dell’Ecuador sono divenute uno dei luoghi più insicuri del mondo… una saga di orrore e morte che lascia in sospeso il diritto alla vita”: così ha scritto sul quotidiano argentino Página/12 Jorge Vicente Paladines, docente dell’Universidad Central del Ecuador, a seguito dell’ennesima mattanza carceraria avvenuta il 13 novembre scorso.

Il presidente del paese, Guillermo Lasso, rivelatosi del tutto inadeguato anche nel gestire l’emergenza carceri, ha liquidato i disordini avvenuti nella prigione El Litoral di Guayaquil come un attacco del narcotraffico e delle mafie allo Stato per prendere possesso del sistema penitenziario del paese. Di certo lo scontro tra due bande rivali, conclusosi con 68 morti e l’ingresso in carcere di 1.500 uomini di polizia e forze armate, denota la volontà dei cartelli di impadronirsi della prigione a scapito dell’altra fazione, ma ciò che il presidente ignora, o finge di ignorare, è il degrado dell’istituzione carceraria in quanto tale e la sua crisi.

Il massacro del 13 novembre 2021, avvenuto solo pochi mesi dopo un altro episodio simile, risalente al mese di settembre e terminato anch’esso con un’altra mattanza, ben 118 morti tra i detenuti, fa capire che non serve a niente imporre lo stato d’assedio all’interno dei penitenziari. Inoltre, limitarsi ad evocare ogni volta la pur vera disputa tra i cartelli del narcotraffico per il controllo e lo smercio della droga proveniente da Perù e Colombia, serve solo a nascondere ciò che governo e opinione pubblica danno purtroppo per assunto: si tratta di una guerra tra delinquenti che di certo non meritano giustizia.

In realtà, da tempo, le strutture carcerarie del paese sono al collasso, tanto da indurre l’Assemblea nazionale a sottolineare come l’emergenza carceraria debba essere considerata un problema che lo Stato deve impegnarsi a risolvere. Del resto, le mancanze dello Stato stesso su questo versante sono molteplici, a partire dalla sua attitudine esclusivamente repressiva e volta a militarizzare le carceri. Per questa operazione le risorse economiche non mancano, mentre i fondi destinati al miglioramento delle condizioni di vita dei reclusi, del cibo e per risolvere i problemi dovuti al sovraffollamento sono esigue poiché, anche in questo caso, vale il principio che “sono delinquenti e si meritano questo”.

Di fronte ai familiari delle vittime, radunatisi nei pressi del penitenziario El Litoral per chiedere un rapido intervento statale che mettesse fine alla mattanza, la polizia ha fatto il suo ingresso nei padiglioni solo molte ore dopo l’inizio dei disordini, sentendosi rispondere che la responsabilità era soltanto dei signori del narcotraffico. Ad esempio, invece di proclamare lo stato d’assedio nelle carceri, sarebbe stato utile conoscere i legami dei narcos con qualche esponente dello stato che, dall’interno, ha permesso una simile carneficina facendo intervenire gli agenti con colpevole ritardo, quando ormai si contavano decine e decine di morti.

L’Assemblea nazionale ha invitato ad approfondire i processi di riabilitazione sociale in carcere e sollecitato il rispetto dei diritti umani, oltre a sposare la proposta della Comisión de Soberanía, Integración y Seguridad Integral, volta a creare un censimento in grado di distinguere i detenuti per livello di pericolosità, situazione socioeconomica e numero di anni di detenzione.

All’inizio di dicembre una delegazione della Commissione interamericana per i diritti umani ha visitato il carcere di El Litoral ed ha incontrato i familiari dei detenuti rimasti uccisi nel corso della mattanza prima di effettuare un controllo anche nelle altre strutture carcerarie del paese.

Aldilà dei massacri più eclatanti avvenuti nelle carceri del paese, ciò che preoccupa è comunque l’alto e permanente livello di violenza presente nei penitenziari, come ha evidenziato anche l’Onu esprimendo grande preoccupazione.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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