G8 2001: Genova si tinse di sangue

di Gianluca Cicinelli (*) . A seguire link a 5 “visioni”

E’ la prima volta che riesco a scrivere del G8 a Genova nel 2001. Scrivere è un esercizio di razionalità, dovresti ordinare e dare un filo ai pensieri ma è difficile trovarne che non siano stati già scritti e pensati su quel massacro di persone e libertà. Ero lì per lavoro, e già questa è un’anomalia che mi ha creato tormento in quei giorni. Facevo corrispondenze per Radio Città Futura di Roma, ma io sono una zecca da sempre (non so se “zecca” sia soltanto romanesco o universale, è il termine con cui – con disprezzo – i fascisti chiamano e chiamavano quelli di sinistra). Era un ruolo anomalo, mi sentivo fuori posto. Arrivammo in treno con due colleghi dell’agenzia radiofonica Area e due dell’Adnkronos verso l’ora di pranzo di giovedì 19 luglio. La militarizzazione della città era evidente, ma dovevo andare di corsa a coprire il corteo per i migranti, e poi, una volta raggiunta la piazza, la prospettiva cambiava e anzichè migliaia di agenti mi trovai davanti decine di migliaia di persone. Persone? Porca miseria, erano tutti i miei compagni e compagne di una vita, moltissimi ragazzi naturalmente, ma a me colpiva ritrovare volti e corpi un po’ più logorati dal tempo che ho visto praticamente in ogni manifestazione da quando ho iniziato a frequentarle, dagli anni ’70.

La prima mezz’ora è stata tutto un abbracciarsi e baciarsi, con compagne e compagni del collettivo vicino a Lotta Continua che frequentavo ai tempi della scuola e con quelli di Democrazia Proletaria con cui ho militato dopo, anche con quelli di sigle con cui tanti anni prima ci guardavamo “in cagnesco” per egemonizzare le piazze. Ho pensato che era bellissimo, in mezzo a una marea di colori, tra bandiere e vestiti così diversi: mi è venuto in mente che fosse una sorta di passaggio di consegne, tra gli anni 70 e quel giorno c’erano state di mezzo le grandi manifestazioni contro i missili degli anni 80, il blocco dei camion militari a Comiso, gli arresti a centinaia, senza reagire, mentre a Montecitorio votavano per installare i missili di Reagan, la scelta della nonviolenza, più di un milione di persone in piazza per la pace negli anni successivi. Adesso toccava a loro, a quei mocciosi sbarbatelli che protestavano contro le multinazionali talvolta con le Nike ai piedi e ridevano quando gli facevamo notare la contraddizione, e ci sfottevano, facendoci notare che con le nostre borse di tolfa artigianali indosso, in un’altra epoca, non avevamo ottenuto poi granchè. Certo, avrei dovuto capire che i cecchini schierati sui tetti lungo tutto il percorso non erano il preludio di una festa, ma i tamburi, i canti, la gioia di ritrovarmi con sorelle e fratelli per i quali era ancora giusto ribellarsi mi aveva un po’ offuscato la mente.

Il giorno dopo l’intenzione dei manifestanti era di violare la zona rossa. Decisi così di mettermi all’interno della zona rossa a piazza Dante, dove un gruppo di compagni mi aveva avvisato che avrebbero provato a entrare. Mi sentivo ridicolo con il passi della stampa al collo e un centinaio di celerini alle spalle in attesa di gonfiare di botte i manifestanti, perchè l’intenzione comunque era chiara, anche se ancora sembrava far parte di una contrapposizione naturale. Verso le 2 del pomeriggio, quando la sirena diede il via all’inizio dell’attacco alla zona rossa, i cancelli metallici che dividevano la città della polizia da quella dell’umanità cominciarono a vibrare sotto i colpi delle persone. Chi con le mani, chi con un bastone, chi con una spranga; un tale si era portato le cesoie, qualcuno in gruppo che si lanciava per prendere a spallate la recinzione. Molti manifestanti avevano palloncini colorati con la scritta “No debt”, li lanciarono anche oltre la cancellata. Ne raccolsi uno e lo tenni sotto il braccio senza guardare dietro, sperando che le guardie venissero a dirmi qualcosa, ma non se ne curarono. Con l’altro mano tenevo il telefono, avvisai lo studio di tenersi pronti al collegamento perchè avevo deciso d’intervistare in diretta chi fosse riuscito a entrare. Fanculo alla zona rossa, i manifestanti furono eroici, messi sotto il tiro degli idranti, che gettavano acqua con una pressione fortissima, non arretrarono di un passo. Dopo circa un’ora un omone che sembrava un lottatore di wrestling diede una spallata talmente forte al punto che, con la catena a impedire l’accesso già logorata da numerosi colpi, la rete all’improvviso si aprì di pochi centimetri e una ragazza riuscì a passare all’interno. Non feci in tempo nè io nessun altro a parlarci, la caricarono su una camionetta e spero per lei che se la sia cavata senza altre conseguenze; non ho mai conosciuto la sua sorte. Ma ormai il varco era aperto e la fila di poliziotti davanti a me dovette arretrare perchè avevano capito che la posizione non era più difendibile. Mentre loro arretravano un signore, spuntato dal nulla, in canottiera, esile, capelli bianchi lunghi e barba, entrò nella zona rossa come si entra in un locale, tranquillo e determinato. Anche soddisfatto, come potete vedere dal video che pubblico qui sotto, in cui sono quello di spalle. Lo aspettavo come si aspetta un liberatore. Gli sono andato incontro per primo mentre un altro manifestante riusciva a entrare. Quello che non si vede nel video sono i colleghi che arrivano di corsa subito dopo e insieme formiamo un cordone per proteggere l’uomo dalla polizia. Mica sono tutti bastardi i giornalisti, quelli che erano lì urlarono alla polizia che era disarmato ed eravamo in diretta radiofonica, mentre i celerini ci circondavano con i manganelli alzati. Con così tanti giornalisti intorno la polizia fu costretta a comportarsi civilmente. Mi colpì che quel signore come primo motivo del suo gesto non si scagliò contro i potenti della terra riuniti a Palazzo Ducale, ma disse una cosa del tipo “Sono un cittadino genovese e nessuno può impedirmi di circolare liberamente nella mia città”.

Mentre ero in piazza Dante cominciarono ad arrivare le telefonate dei compagni che mi avvertivano di quello che stava succedendo nelle altre zone della città. Un bollettino di guerra, ma questo è già noto. Fino alla notizia dell’omicidio del ragazzo Carlo Giuliani. Cercai di raggiungere piazza Alimonda ma era materialmente impossibile, in ogni via dovevi sperare di non essere inseguito da poliziotti e carabinieri e tutta quella roba in divisa, era troppo rischioso. Per fortuna un altro reporter era già lì vicino e si collegò in diretta con la radio. Incontrai vecchi amici mentre tentavo di andare là. Riuscivamo solo a piangere e bestemmiare. Cominciammo a chiederci anche chi doveva curare l’autodifesa dei compagni, di sicuro non aveva funzionato qualcosa anche lì, ma in ogni caso quando ti sparano addosso c’è poco da fare, a meno che non vuoi rispondere al fuoco e scatenare una strage. E a proposito di questo cominciammo a porci il problema dei Black Bloc. Lo dico subito, penso che siano merde, fascisti, un esercito di riserva della reazione e nessuno me lo toglie dalla testa, ma resta il fatto che le violenze sui manifestanti e l’omicidio di Carlo Giuliani sono opera delle forze dell’ordine italiane. La sera in sala stampa, i giornalisti accreditati dormivano in una barca ancorata al porto, ci furono molte liti. Chi era stato presente agli scontri e raccontava di come si erano comportate le divise trovava a dir poco scetticismo in quelli che avevano seguito la giornata dalla scrivania con l’aria condizionata del centro stampa. Essere servo del regime comporta pur sempre qualche benefit.

Con il collega con cui dividevo la stanza, anche lui un compagno, passammo la notte a cercare un filo, un senso a quel che era successo senza trovarlo. Le immagini di Carlo in terra ci ossessionavano e personalmente mi ossessionano ancora, per il senso di impotenza, per non aver fatto niente o potuto far niente se non denunciare il comportamento cileno degli agenti. La tensione era fortissima e quando uscimmo all’indomani, per andare al corteo che avrebbe concluso il contro G8, ci aspettavamo da un momento all’altro di essere picchiati, prelevati, che un camioncino potesse sbucare dal nulla e portarci via, ma non avevamo paura, eravamo troppo incazzati, era quel senso d’impotenza che continuava ad aleggiare su di noi a renderci nevrotici e paranoici. Ci fu qualche ritardo nella partenza del corteo pomeridiano, quello della mattina già era stato funestato da cariche della polizia con lacrimogeni e attacchi dei Black Bloc o comunque di gente in divisa nera anche contro i manifestanti. Devo dire con onestà che essendo contraddittorio come tutti gli esseri umani, nonostante io resti convinto che la strada della nonviolenza sia quella giusta da cui non tornare indietro, sarei stato felice di restituire per intero la violenza e l’imbecillità politica che questi sedicenti interpreti del nichilismo hanno praticato contro i compagni e non solo a loro. Mi scuso con chi legge per queste affermazioni che possono sembrare violente e ripeto che ho scelto un’altra strada e molto tempo prima di Genova, ma si deve storicizzare questo discorso non a una generica analisi di cosa è giusto o no nella vita ma proprio a quei giorni e al clima.

Pomeriggio tesissimo. Alla concentrazione del corteo c’era un silenzio irreale. A quel punto con alcuni amici ci venne un dubbio e anzichè seguire il corteo lo precedemmo di qualche centinaio di metri. In un lungo viale senza alberi, non ricordo il nome ma era davvero lunghissimo, ci accorgemmo che appostati sopra le tettoie delle fermate degli autobus si erano collocati gli stronzi in nero. Tornai indietro e parlai della cosa con l’onorevole Giovanni Russo Spena di Rifondazione Comunista, per avvisare i compagni di stare attenti. Cosa accadde non lo so, c’era comunque già tra i compagni di quello spezzone di più lunga militanza un dibattito dai toni accesi del quale posso immaginare i contenuti anche se non ho partecipato alla discussione. Sta di fatto che almeno dai lati della strada non arrivarono attacchi. La lite verteva su come era stata gestita l’autodifesa in quei giorni e quel giorno stesso. Il tema è delicato proprio perchè chi era stato in piazza negli anni ’70 – pur cosciente che sarebbe stato assurdo e dannoso riproporre certi schemi – non poteva tollerare che così tante persone (e alla luce di quello che era successo) sfilassero senza un cordone di protezione. A risolvere la questione, arrivati a un incrocio piuttosto largo ci pensarono i Black Bloc che attaccarono il corteo scatenando la reazione delle divise. Entrambi, poliziotti e “Black”, ottennero lo scopo desiderato: spezzare in due la fiumana umana che manifestava pacificamente. I neri – per me in tutti i sensi – attaccavano a elastico: da un gruppo di cinque o sei se ne staccava uno che avanzava lanciando qualcosa che provocava l’intervento della polizia sul corteo. Poi tornavano indietro e la storiella ricominciava. Fu determinante la volontà ferrea di Vittorio Agnoletto e tutti gli altri del social forum di ricomporre in unica fila il corteo e si riuscì finalmente ad arrivare dove era previsto il comizio finale. Dei discorsi non ricordo nulla, ma questo era ancora il problema minore. Durante tutto il percorso alcune merde in nero fecero la spola tra i loro gruppi e le macchine della polizia. Ne fu testimone con me la senatrice, allora dei Verdi, Loredana De Petris, con cui non avremmo mai immaginato quanto questo particolare sarebbe diventato rilevante poche ore dopo.

Era finita. Pensavamo.

Eravamo a cena finalmente, dopo giorni in cui non avevamo mangiato quasi nulla per la tensione, quando arrivò la notizia della mattanza alla scuola Diaz. Di corsa raggiungemmo la scuola, che era proprio davanti al media center di movimento, dove operava tra gli altri Radio Gap. Quella è un’altra scena a cui per molti mesi successivi non è passato un giorno in cui il mio pensiero non sia andato. La cosa che più mi colpì quando finalmente i macellai in divisa ci fecero entrare fu l’odore dolciastro del sangue dappertutto. Anche i giornalisti più “borghesi” erano allucinati, stravolti, increduli. Non solo c’era il sangue liquido. In certi punti al piano terra il sangue formava uno strato gelatinoso di almeno un centimetro di spessore. Abiti strappati, fogli divelti da libri e quaderni, su un muro l’impronta fatta col sangue di una mano che aveva cercato riparo. Fu a quel punto che uscendo riconobbi tra i poliziotti alcuni dei Black Bloc del pomeriggio. Andai subito a cercare Loredana De Petris. Insieme ne riconoscemmo almeno tre. Erano vestiti come nel pomeriggio ma con il casco e il manganello della polizia. In particolare puntammo una poliziotta a cui Loredana chiese di qualificarsi. Questa ci guardava con disprezzo e non disse una parola. Arrivarono altri poliziotti e ci allontanarono nonostante si trattasse di una parlamentare.Tornare a Roma non fu semplice. Per fortuna avevo qualche soldo e con un taxi arrivai a un paese più a sud di Genova dove prendere il treno. Alla stazione nonostante fossi praticamente da solo continuavo a sentire il rumore dei passi da marcia degli squadroni di agenti e il rumore dei manganelli che battevano sugli scudi. Per un attimo ho creduto d’impazzire. Arrivò il treno e nello scompartimento finalmente riuscii a sentire il silenzio. Fino alla stazione successiva dove salì un gruppo di Cobas. Credo che passò almeno un’ora prima che si ricominciasse a parlare. Poi come sempre la vita prevale su tutto e trovammo anche la forza di ridere delle condizioni in cui eravamo, ci conoscevamo quasi tutti e non mancò qualche fiasco di vino e qualche panino a farci compagnia fino a Roma.
Mentre scrivevo queste righe la rabbia è tornata a salire. L’idea di vivere in una società in libertà vigilata è quanto mai attuale … oggi più di ieri. Ero, sono e sarò sempre una zecca e non ho mai smesso di pensare che ribellarsi è giusto.

5 VISIONI

Qui sotto le immagini di Gianfranco Pangrazio, «Diaz – Non pulire questo sangue» regia di Daniele Vicari (il film completo), una puntata di STRACULT, «Le testimonianze e i ricordi, a dieci anni di distanza, di chi ha vissuto quei tragici giorni del G8 di Genova», un documentario di Blu Notte.

https://vimeo.com/558580113 

https://archive.org/details/Diaz.Non.Pulire.Questo.SangueKrs947XaZoo

https://www.youtube.com/watch?v=YFypJoyov7c

https://www.youtube.com/watch?v=h1k9iCaQooM 

https://www.youtube.com/watch?v=06bVnVcOfvg

(*) Si conclude oggi la riflessione iniziata – con Il movimento altermondialista e Genova G8 – il 14 luglio su Genova 2001. Abbiamo ricevuto molti contributi (impossibile trovare posto per tutti) e link. La nostra riflessione partiva ovviamente da lontano. Segnaliamo alcuni articoli vecchi e più recenti: Genova 2001, nomi e cognomi (luglio 2012), Genova 2001: una testimonianza (gennaio 2014), Diaz: alcuni di noi, ognuno di noi (ottobre 2014), G8 Genova 2015: fra ignoranza e falsificazioni e G8 Genova: la verità dei media indipendenti e… (aprile 2015), Solidarietà a Francesco Puglisi, detenuto per il G8 di Genova (febbraio 2016), Morimmo nei caruggi: faceva caldo a Genova quel 2001 (luglio 2017), G8 2001, lo Stato paga il conto ai poliziotti reduci della guerra ai movimenti (gennaio 2018), Zucca e i torturatori: l’orrore di Genova (aprile 2018), 2001: l’oscena bellezza della verità (aprile 2019), I perché di Genova 2001 (luglio 2019), Genova G8: Carlo, la memoria, le ferite e la Resistenza e 20 anni dopo: cosa imparare dalla sconfitta al G8 di Genova (luglio 2020), Borsa di studio “Per non dimentiCarlo” (novembre 2020), Genova 2001: «Supporto legale» e la memoria collettiva e Vincenzo Vecchi: da manifestante a Genova a cavia giudiziaria (febbraio 2021), 20ANNI per non dimenticare il G8 di Genova (aprile 2021), ZONA ROSSA: la memoria è un ingranaggio collettivo (maggio 2021), fino a Genova qui e ora e Venti anni fa a Genova (giugno 2021). Abbiamo scritto che la riflessione “si interrompe oggi” ma in realtà continuerà: impossibile dimenticare. Ha scritto Lance Henson: «ricordo che nel mio vocabolario la parola Genova sta proprio sopra a genocidio…». E noi non dimentichiamo.

ciuoti

7 commenti

  • La Bottega del Barbieri

    “Genova 2001-2021. Andata e ritorno”
    di Doriana Goracci
    https://www.agoravox.it/Genova-2001-2021-Andata-e-ritorno.html

  • GENOVA, 20 LUGLIO
    ‘un giorno come tanti, un mare senza vento, non vedo un cambiamento’
    i sardi vedono genova entrando dal mare, col groviglio dei palazzi oltre il groviglio del porto e il groviglio delle colline sopra quello dei palazzi; visti dalla nave che si avvicina all’approdo, i primi piani scivolano su quelli più lontani, e le grandi gru sugli alveari di case, come nel campo visivo di una grande macchina da presa;
    non sono in grado di contare tutte le volte che siamo passati di qui, da bambini, io e i miei fratelli presi rigidamente per mano, nelle avventure migranti dei miei genitori, come migliaia di altri; era dura, ai tempi, ma non si è mai creata in noi un’immagine di genova come città ostile; col tempo abbiamo anche imparato ad associarla alle canzoni dei suoi poeti, alla sua fedeltà partigiana, e al coraggio esemplare dei suoi preti per strada;
    poi venne il tempo dell’alternanza, quella di sbarchi gravidi ora di riso ora di pianto;
    l’otto giugno del 1976 fu ucciso a colpi di pistola il fratello di mio padre, poco dopo mezzogiorno, a cento metri dalla stazione dei treni per il nord; aveva accompagnato il giudice coco a casa e lo aspettava di nuovo in macchina; i proiettili bucarono il giornale che stava sfogliando al volante;
    vennero altre volte, e ora ero io a prendere i bambini per mano, quando andavamo in vacanza qua e là; poi verso la metà di luglio del 2001 venimmo invece in una moltitudine variopinta, dalle varie isole e metropoli di questa europa rivestita con abiti nuovi per la festa senza fine del libero mercato: erano venuti i giorni del g8, quelli della celebrazione del mondo nuovo;
    sono state scritte tante cose su quei giorni, e tutto quello che ancora oggi si legge e si scrive è ormai completamente futile: tutto, eccetto la radiografia crudele del mondo che ci è stato consegnato in quella celebrazione di allora; solo ieri 19 luglio 2021 le statistiche sanitarie hanno registrato una paurosa impennata di contagi, proprio ora che al 20 luglio doveva essere tutto finito, e contemporaneamente i grafici della finanza hanno registrato un pauroso tracollo delle piazze borsistiche mondiali; le polizie fanno ridere di fronte a questo spettacolo;
    buon giorno carlo, oggi siamo qui ancora per noi e ancora per te; da quel giorno io sono tornato altre volte, e una volta importante per iscrivere mio figlio a questa università; ogni volta i passi mi hanno portato da quell’ombra di via balbi, dove proiettili uccisero un uomo che mi era caro mentre leggeva il giornale, a quell’ombra di piazza alimonda, dove proiettili uccisero un ragazzo che come tutti noi altri cercava il suo spazio per parlare; risolvere le cose a proiettili: quale demoniaca stupidità;
    quel giorno fummo bloccati sotto il sole accecante, in decine di migliaia, con le sirene incessanti delle ambulanze e le parolacce e il sangue, fino a quell’esito fatale;
    non serve descriverlo ancora;
    oggi però ne parliamo appena di nuovo; fra qualche ora torneremo in piazza alimonda; intanto stamattina si tiene l’ultima assemblea di questi giorni di ricordo, qui a genova, la riunione internazionale dei forum che ha per titolo “voi la malattia, noi la cura”;
    qui è la piazza del palazzo ducale; è bella, qui di fianco ci sono due mostre, una riguarda le contestazioni del g8, e si intitola “cassandra”, e una dedicata ai fotografi della magnum e soprattutto all’italia fotografata da robert capa; il tempo ritorna, il problema è capirne la strada;
    “voi la malattia, noi la cura”?; ho sempre un granitico moto di dubbio su queste divisioni così certe; se “voi” è il potere politico-economico vigente e “noi” è questa convergenza di buone volontà di ciò che resta di allora, più umilmente direi che voi siete la malattia, e che noi non siamo la cura; vorremmo esserlo, ma è ora che il testimone passi anche di mano;
    ragazzi miei, figli di questo mondo, non lasciatevi sbranare da quello che si vuol fare arrivare: ancora più liberismo, ancora più integralismi religiosi e razziali, ancora più menzogne, ancora più polizie, ancora più demoni; comprendere e perdonare, comprendere e combattere: noi ci saremo;
    buon giorno genova, buon giorno carlo

    gian luigi deiana, su fb

  • su http://www.agoravox.it segnaliamo “Genova 2001-2021: Andata e ritorno” di Doriana Goracci

    Nel 2001 mia figlia Silvia chiese a noi genitori di accompagnarla a Genova per il G8: nel 2001 aveva 16 anni. Andai io con lei, a malincuore. Amnesty International dichiarò quanto accaduto in quelle giornate: «La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale.» Siamo state imprudenti e ostinate.
    Di Genova nel luglio 2001 e dopo, ne ho scritto tanto… ha significato per me un cambiamento di vita, personale e collettiva, capitata li non per caso ma su richiesta di mia figlia e altri suoi cinque amici, tutti minorenni. A prescindere dall’età, eravamo potenziale “carne da macello” proiettata nell’ illegalità totale, condita da una repressione stile sudamerica, Media ufficiali venduti, partiti della sinistra assenti. Bertinotti si fece paladino della Nonviolenza e della pace, c’eravamo noi a fare “conflitto” duraturo, tanto per arrivare al tempo della mediazione e del dialogo su una poltrona istituzionale e con la spilletta arcobaleno sulla giacca per la parata militare del 2 giugno 2006.
    Non c’era destra o sinistra a unire milioni di persone negli anni duemila. Si marciava nelle piazze contro la guerra, contro l’inquinamento globale, contro lo sfruttamento delle persone, per i migranti: venne chiamato Movimento no-global. Sono andata a Genova a luglio del 2001, per difendere mia figlia di sedici anni, il mondo in cui viviamo e vivrà lei, suo fratello Federico e oggi anche due nipoti che continueranno a camminare in Francia dove risiedono, in una Europa dove ancora si parla, e non si fa, del Clima, ma si fa ancora violenza, in molti modi.
    Lei, Silvia mia figlia, aveva sedici anni e io stavo per farne 51, lavoravo in banca allo sportello della Rai a Via Teulada come consulente finanziaria. Me lo dissero da subito e figurarsi poi, parenti e amici :”ma che ci vai a fare, a prendere le botte?” Già perchè noi non le avremmo mai date, neanche a chi ci avesse fatto del male ma saremmo scappate, anche se non si sa dove. Rimanemmo nei momenti peggiori e più drammatici con quello che era rimasto del corteo, a farci forza con la musica della banda e ci salvammo.
    Andai dunque a Genova nel luglio del 2001, tornai e scrissi un diario di quelle giornate, lo mandai ad Indymedia; l’ho trovato intatto dopo 5 anni, ho ritenuto, come poco più di altri cento, di tirarlo fuori dal cassetto ed inviarlo al comitato Verità e Giustizia (www.veritagiustizia.it) per un concorso aperto a testimonianze scritte in forma di prosa e poesia. Non si vinceva niente a questo concorso, si dava un contributo all’assistenza legale per i crimini commessi dal potere e dalla polizia contro i manifestanti di allora. Il mio racconto “Giorni di ferie” entrò in finale e fu pubblicato. Nel luglio 2006, dopo alcuni anni, ebbi il premio della pubblicazione con tanti altri, per quei giorni di ferie di cui avevo scritto, in un libro “Genova, luglio 2001: io non dimentico”, a sostegno del Comitato Verità e Giustizia per Genova.” Riporto da pag.57 a pag.62 ” …oggi si prevede qualcosa di duro perchè è la giornata della disobbedienza civile. Le dieci.Piazza Manin. Tra i banchi del commercio equo e solidale si aggirano gruppi bene affiatati. Ci sono tanti della mia età. Dobbiamo decidere se rimanere in piazza a collaborare alle iniziative dei gruppi pacifisti, o andare a “disobbedire civilmente” in qualche punto della zona rossa. Non ho scelta : mia figlia non vuole fermarsi, e i suoi amici neppure… siamo in più di duecento a camminare verso Piazza Portello. Le quattro e mezza del pomeriggio. Vogliamo ritornare a Brignole per il corteo finale. Ripercorriamo l’unica strada possibile: quella dell’andata. Sei giovani armati di catene e mazze sbarrano la strada minacciando i pochi passanti. Sono a trenta metri dai poliziotti, che li guardano senza intervenire…Piazza Manin, piazza tematica dei non violenti ad oltranza, è devastata.Perchè loro? Quando? Come facciamo a tornare a casa? Nel corteo improvvisato si diffonde la notizia che un ragazzo è morto. Cantiamo per farci coraggio e la gente dalle finestre ci saluta…Loro i genovesi sanno da che parte sta la verità…”
    Andai e tornai a Genova per alcuni anni e con quegli stessi movimenti anche nei Social Forum Europei, che ospitavano i popoli delle altri parti del Mondo; l’Europa era vista come una ricchezza, e ci si richiamava alla Convenzione di Schengen. Ho preso parte attiva alla vita sociale, proprio a partire da Genova nel luglio 2001: grazie a mia figlia ancora minorenne, mi sentivo parte di un’umanità attiva e responsabile il cui motto era “Pensa globalmente Agisci localmente”. Ci provammo. Abbiamo ascoltato Roy Paci e Manu Chao.
    Il primo social forum europeo avvenne a Firenze nel 2002; Oriana Fallaci lanciò un messaggio preciso e c’è chi disse che dovevamo avere per lei pietà umana che disse: “Fiorentini abbiate dignità. Non siate inerti. Chiudete i negozi e non mandate i bambini a scuola”.
    L’ultimo Social Forum Europeo avvenne a Istanbul nel 2010. Scrissi anni fa: “Ma che c’ entra parlare di Grecia o Turchia invece che d’Italia? Che c’entra parlare di Siria o di Yemen invece che d’Italia? Che c’entra parlare di Russia, Africa, Asia, Palestina, Medio Oriente… invece che d’Italia? Nel 2001 avevamo imparato qualcosa, ora le ferite sono sulla nostra pelle, un terremoto di proporzioni immense e di morti innumerevoli, pare che non ce ne siamo accorti guardando l’Italia che invecchiava.E dire che che ognuno sapeva di essere libero di pensare globalmente e agire localmente: nel 2001 erano ancora pochi a godere di un cellulare e un computer. Oggi anche io compio un’andata e ritorno solo in Rete, con il ricordo che non si spegnerà mai, di un’umanità dolente ma che vuole vivere. Non siamo usciti dalla notte della dimenticanza, ci siamo appena entrati e non so quando sarà la fine e se rimarrà solo, a lungo, un’alba dorata.Non so davvero quale giovane abbia voglia di sapere Com’ è andata a Genova nel 2001. Mio nipote, allora quindicenne, all’ennesimo racconto di ciò che successe a Genova nel luglio 2001, mi disse che dovevo farmene una ragione: i suoi compagni sapevano tutto dell’11 settembre di quell’anno e di Genova conoscevano l’esistenza dell’ Acquario…”.
    Come sempre metto nome e cognome per tutte le altre madri , altre compagne altre amiche, l’altro … che rammenta, che vuole sapere e non scordare, perchè non accada più. Questo è il mio piccolo contributo scritto, in Rete troverete dopo venti anni, tanti documenti e tanti ricordi, non vanno sprecati. Consapevole oggi più che mai, che siamo un granello di sabbia che purtroppo non ha intralciato il cammino degli Affari e della Guerra. Forse ci rimangono i sogni.
    Doriana Goracci – 19 luglio 2021

  • Gian Marco Martignoni

    Nel 2001 avevo quarantatre anni, facevo parte dell’apparato della Cgil di Varese, e il primo appuntamento con Genova è stato il 19 luglio. All’alba di quel giorno con l’amico e compagno Mauro eravamo a Malpensa, poiché dalla Cgil regionale mi avevano chiesto di accompagnare a Genova un segretario della IG Metall, che doveva partecipare ad uno dei tanti dibattiti organizzati dal Genova Social Forum. Il 19 è stata una bella giornata, grazie alla presenza di Susan George, Alex Zanotelli, Vittorio Agnoletto e tanti altri compagni e compagne protagonisti dei dibattiti che si succedevano di volta in volta, con una critica serrata e documentata ai danni provocati dalla globalizzazione liberista. Il 21 luglio, invece, siamo partiti da Milano, poiché come Cgil Lombardia, guidata a quel tempo da Mario Agostinelli,la Fiom-Cgil e Alternativa Sindacale in Cgil avevamo organizzato ben trentanove pullman per quella manifestazione conclusiva. Di manifestazioni ne avevo fatte a centinaia, ma quella giornata mi rimarrà impressa per tutta la vita, non solo per la tensione che si respirava nell’aria, ma per le provocazioni che si susseguivano una dietro l’altra. Fortunatamente ci eravamo organizzati con un nutrito servizio d’ordine, che con il senno di poi ha funzionato come scudo protettivo anche per tanti ragazzi e ragazze alla loro prima manifestazione, provenienti da ogni parte del paese in rappresentanza di associazioni e movimenti di ogni genere e plurali. Quando nel tardo pomeriggio piano piano siamo riusciti a ritornare ai nostri pullman, abbiamo veramente tirato il fiato, pensando a quanta tensione avevamo accumulato in corpo. Il giorno dopo, sceso immediatamente alle 7 della mattina all’edicola di Gazzada per acquistare Il manifesto, ricorderò sempre le parole di un conoscente di una certa età “ Cosa avete combinato a Genova…. ! “ Un giudizio figlio naturalmente della potenza dei mass-media nel ribaltare gli avvenimenti di quella giornata, con un governo di centro-destra in cabina di regia nel mettere sul banco degli imputati il movimento anti-liberista. Invece, alla scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto decine di compagni e compagne venivano sottoposti ad una violenza inaudita e a incredibili torture. Ci sono volti degli anni, grazie al Genoa Legal Forum, per smontare il solito teorema accusatorio e colpevolista, tanto che per Amnesty International a “ Genova si è consumata la più grave violazione dei diritti umani di dimensioni mai viste nella recente storia europea “.Sono passati vent’anni, ed il covid-19 e il surriscaldamento climatico sono la brutale testimonianza di un capitalismo malato alla n potenza. Non ci eravamo sbagliati a mettere sotto accusa, come recita la maglietta che vi allego ,quelli del G8, noi 6.000.000.000. Oggi siamo 8.000.000.000, ma se non mettiamo sul banco d’accusa l ‘iper-capitalismo e la sua logica distruttiva, non siamo in grado di trasmettere alle nuove generazioni cos’è il divario Nord-Sud del mondo, come crescono le diseguaglianze, ecc.. Tutt’altro , quindi , dalle cosiddette opportunità veicolate dai cantori dalla globalizzazione senza aggettivi.

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