«I dialoghi dell’economia solidale»

recensione di Alberto Melandri (*) al libro prodotto da Rete italiana economia solidale, Centro volontariato internazionale, Forum Beni Comuni Fvg, Associazione per la decrescita

Il testo – a più voci, pubblicato nel 2016 da Asterios – è il prodotto dell’Incontro nazionale dell’economia solidale, tenutosi a Trieste nel giugno 2015, che ha avuto per motto «Sconfinamenti», esprimendo la volontà di abbattere le barriere che impediscono la diffusione dell’economia solidale.

Nell’introduzione Davide Biolghini e Paolo Cacciari evidenziano la crescente diffusione di «esperienze concrete, innovative potenzialmente in grado di dare forma a comunità locali territoriali più resilienti (..) poggiate su sistemi economici più sostenibili sia sotto l’aspetto ambientale che sociale». Queste esperienze sono caratterizzate da «azioni e attività diffuse, spesso minute, particolari e frammentate che però hanno in sé la potenzialità di cambiare positivamente in profondità i modi di pensare e i comportamenti delle persone» apportando quindi delle modifiche sul piano culturale.

In «Scenari di Altra Economia» il filosofo Roberto Mancini individua nella lacerazione del tessuto sociale, nella disarticolazione della democrazia e nel dissesto ambientale le conseguenze della fede nei dogmi del neoliberismo, che gli fanno parlare di «modello di civiltà al tramonto». La trasformazione che richiede la crisi attuale, in cui la politica è ridotta ad un sistema autoreferenziale tra competitori della lotta per il potere, necessita di una «transizione dal primato del capitale a quello della dignità umana, dalla competizione alla cooperazione, dall’iniquità alla giustizia che non esclude persone e popoli, dall’individualismo responsabile alla cura del bene comune». Fra i modelli alternativi che vanno in questa direzione Mancini accosta il modello gandhiano, l’economia della relazione di dono, l’economia di comunità proposta da Adriano Olivetti, la decrescita e la bioeconomia – nate dagli studi di Georgerscu-Roegen e approfondite e diffuse da Serge Latouche – l’economia di comunione, nata dalle intuizioni di Chiara Lubich e del movimento dei Focolari, l’economia del bene comune, l’economia solidale e partecipativa di Euclides Mance. Mancini auspica un modello integrato che prenda da tutte queste strade gli elementi più adatti a risolvere strutturalmente la crisi.

Davide Biolghini, nel delineare alcuni scenari che caratterizzano l’economia solidale, cerca di definire i Gas (Gruppi di acquisto solidali), ma si pone soprattutto il problema di coinvolgere i Gas all’interno dei Des, cioè dei Distretti di economia solidale, «per contrastare la deriva per cui alcuni/molti di essi si sentono o agiscono come isole» nella direzione di far diventare l’economia solidale «il soggetto e il principale agente di una trasformazione sociale, economica, politica e culturale».

Alcune “regole” citate da Biolghini riguardano per Gas e Des la coniugazione «di solidarietà e conflitti, avendo presente che costruire relazioni solidali non significa agire in assenza di conflitto» e l’attuazione costante di una «distribuzione del potere» evitando la riproduzione di forme gerarchiche di gestione.

In «Target, classe o comunità. I dilemmi dell’economia solidale 10 anni dopo» Mauro Buonaiuti e Dalma Domeneghini pongono alcune questioni di fondo, quali la definizione del concetto di solidarietà, dato che i consumatori critici che hanno dato origine ai Gas e ai Des erano (e sono) generalmente appartenenti alle classi medio-alte: «l’assenza degli esclusi dall’orizzonte di riferimento dei primi Distretti sembra essere un tratto caratteristico».

A queste categorie di esclusi, che possono essere identificate con i migranti, i disoccupati adulti, i giovani diplomati o laureati, i Des devono potere offrire «reali prospettive di trasformazione esistenziale» cioè possibilità occupazionali che diano risposte al dilagare dell’emarginazione sociale.

Un altro punto che merita di essere chiarito riguarda il concetto di “comunità” che rischia di rimandare a modelli sociali del passato basati su nostalgie improponibili, mentre OGGI bisogna cercare di definire l’orizzonte dei valori condivisibili dai cittadini che sentono di essere anche parte di una comunità. Fra le indicazioni proposte dagli autori c’è quella di una rilettura dell’origine storico-semantica del termine “comunità” che rimanda al latino CUM (= insieme) + MUNUS (= dono). La parola dono, scandalosa nel mondo dominato dall’utile, può partire dall’idea che sia il territorio il primo donatore di beni comuni (aria, acqua, terra, vegetazione ecc.) e di saperi: coloro che vivono in quel territorio devono sentirsi depositari di un debito comune che va restituito in una logica di reciprocità basata su legami sociali che devono essere ricostruiti basandosi sul principio dell’agire l’uno per l’altro e non l’uno contro l’altro.

Il libro è ancora ricchissimo di riflessioni stimolanti tutte orientate verso il superamento della frammentazione delle buone pratiche in una prospettiva di una trasformazione generale dell’attuale paradigma dominante. In questo senso i Des e le Reti di economia solidale possono costituire già un punto di riferimento, come suggerisce Alberto Castagnola nel suo contributo che parte dall’analisi formulata dal Resilience Centre di Stoccolma per cui sono otto i processi ambientali in situazione critica: dai cambiamenti climatici alla riduzione della fascia di ozono, dallo sfruttamento dei suoli alla perdita della biodiversità, dall’acidificazione degli oceani alla disponibilità delle risorse idriche, all’alterazione dei cicli dell’azoto e del fosforo. L’autore prosegue sintetizzando – per il “movimento” – quelle che lui definisce le «caratteristiche che impediscono le ulteriori evoluzioni», a cominciare dalla tendenza all’autoreferenzialità (“le scelte più valide sono quelle che fa il mio gruppo”) e giù a cascata fino a «All’estero non esistono esperienze comparabili e comunque sono fatti loro».

Da leggere e rimeditare collettivamente se si vuole veramente realizzare qualcosa che vada nella direzione dell’economia sdolidale.

(*) Alberto Melandri di «Pontegradella in transizione», Ferrara

 

 

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