I perché dell’«Armadio della vergogna»

di Daniele Biacchessi e Laura Tussi (*)

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Franco Giustolisi è stato un giornalista d’inchiesta, grazie al suo impegno civile è possibile oggi cercare di far luce sui responsabili delle stragi fasciste e naziste nel nostro Paese. E’ stato il primo giornalista a far emergere l’occultamento di fascicoli relativi a stragi nazifasciste, indagando sul famigerato «Armadio della vergogna», scoperto dai magistrati militari nel ’94. Giustolisi ha rivelato per primo il contenuto dei fascicoli e ha costretto con i suoi articoli ad aprire i processi. Per questo ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Stazzema e di Fivizzano, città martiri.

Fra il 1943 e il 1945 migliaia di civili furono vittime di stragi compiute da nazisti e fascisti sul territorio italiano. Cosa avvenne nel primo dopoguerra dal punto di vista giudiziario nei confronti dei responsabili di questi eccidi? Per quali motivi questo enorme quantitativo di documenti, testimonianze, prove e atti processuali venne occultato? E da chi? Quali circostanze hanno riportato alla luce il famigerato «Armadio della vergogna»?

Recentemente sul sito dell’Archivio Storico della Camera (**) sono state pubblicate 13mila pagine di documenti della «Commissione di inchiesta sulle stragi nazifasciste» nel nostro Paese. Bene ma perché dopo così tanto tempo dal ritrovamento dell’«Armadio della vergogna»? E dopo questo atto di trasparenza tardivo ma importante del Parlamento si riuscirà, anche se ormai simbolicamente, a dare giustizia morale alle famiglie di civili che hanno subìto quelle violenze? E le istituzioni hanno interesse a farsi carico di un così importante processo di giustizia civile?

A tali quesiti cominciamo a rispondere con «La verità in un armadio» di Daniele Biacchessi.

Siamo nel 1960 e sono ormai passati quindici anni dalla fine della seconda guerra mondiale. La Germania, sconfitta e lacerata, è divisa in due dal muro di Berlino. Il nemico dell’Occidente non è più il nazismo, ma l’Unione Sovietica. In Italia è terminata la ricostruzione, i consumi si impennano grazie al boom economico, e i civili e i militari italiani uccisi tra il ’43 e il ’45 in Italia e all’estero devono restare avvolti nell’ombra, come vittime invisibili.

Così i procuratori generali militari Enrico Santacroce, Arrigo Mirabella e Umberto Borsari, che dipendono dalle volontà politiche del governo guidato da Antonio Segni (Giulio Andreotti alla Difesa, Giuseppe Pella agli Esteri, Guido Gonella al ministero di Grazia e Giustizia) il 14 gennaio 1960 emettono un decreto di archiviazione provvisoria dei documenti sulle stragi. È un atto giudiziario illegale, a opera di funzionari dello Stato su mandato governativo. Ho sotto mano uno dei modelli standard.

«Visti gli atti relativi al fatto di cui tratta il fascicolo n… dell’Ufficio sopra indicato; poiché, nonostante il lungo tempo trascorso dalla data del fatto anzidetto, non si sono avute notizie utili per la identificazione dei loro autori e per l’accertamento delle responsabilità, ordina la provvisoria archiviazione degli atti. Roma, 14 gennaio 1960».

Potrebbe essere una normale formula con cui i giudici archiviano il mancato accertamento degli autori del furto di un motorino. In questo modo Santacroce, Mirabella e Borsari seppelliscono le inchieste sullo sterminio della popolazione civile.

Nel maggio 94 avviene l’incredibile colpo di scena, il classico giallo all’italiana. Nel palazzo Cesi di Roma, in via degli Acquasparta, sede della magistratura militare, viene alla luce un armadio in legno marrone, sigillato, con le ante rivolte verso il muro, chiuso a chiave, protetto da un cancello in ferro e da un lucchetto. L’archivio è lì tranquillo e indisturbato. Nessuno lo cerca, nessuno lo vuole trovare. E’ quello che il giornalista dell’Espresso e scrittore Franco Giustolisi, descrive come «l’armadio della vergogna».

Vengono alla luce 695 fascicoli raccolti in faldoni, stipati uno sull’altro. C’è un registro composto da 2.274 notizie di reato, il cosiddetto «Ruolo generale dei procedimenti contro criminali di guerra tedeschi». Tutto è archiviato, o meglio occultato, in modo rigoroso, preciso, ordinato. Si viene a sapere che in realtà i fascicoli complessivi sono 2.205: 260 inviati ai tribunali ordinari nell’immediato dopoguerra, 1.250 distribuiti alle Procure militari territorialmente competenti, 695 fatti sparire per un terzo di secolo.

Ci sono scritti i nomi di tutti gli assassini, nazisti e fascisti, quelli che colpirono fra gli altri alle Fosse Ardeatine, Monte Sole-Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Bardine di San Terenzo, Valla, Vinca, Fosse del Frigido, Casteldebole e in centinaia e centinaia di borghi e città italiani.

Grazie alla scoperta dell’armadio e agli articoli e libri scritti da Giustolisi si sono potuti aprire i processi.

E oggi, una parte di questo materiale è stato finalmente reso pubblico e visibile on line sul sito della Camera dei deputati. Ognuno potrà vedere, personalmente, senza intermediari, quello che per decenni è rimasto chiuso in un archivio, sepolto, sottratto alla ricerca della verità.

(*) Daniele Biacchessi è presidente di «ARCI Ponti di Memoria», Laura Tussi collabora a PeaceLink.

(**) qui in “bottega” cfr «Armadio della vergogna» on line

 

Redazione
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Un commento

  • Altro che armadio della vergogna.
    Ci sono dei centri di documentazione sulla resistenza che rifiutano di dare dei documenti.
    Vi terrò informati.

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