Indigeni del Sud Africa contro Shell

di Maria Rita D’Orsogna (*)

Malgrado negli ultimi giorni si sia palato molto di Sud Africa, per la morte di Desmond Tutu e per la diffusione di omicron, nessuno ha raccontato come il paese abbia registrato grandissime proteste, come raramente nel post-apartheid. Comunità indigene, movimenti sociali, persone comuni, organizzazioni ambientaliste hanno dimostrato di saper organizzare nuove resistenze. E hanno chiuso l’anno con uno straordinario successo

 

Un tribunale ha bloccato le operazioni di airgun da parte della Shell lungo un tratto di duecentocinquanta chilometri di mare incontaminato. Siamo nella cosiddetta Wild Coast del Sud Africa, dove il nome stesso di “wild” fa pensare alla natura selvaggia. E infatti la Wild Coast è un piccolo paradiso tropicale con attività di pesca e di piccolo turismo che non hanno niente a che spartire né con le trivelle né con l’airgun.

La Wild Coast è nella parte orientale del Sud Africa ed è una delle regioni meno urbanizzate del paese. La maggior parte dei terreni è rimasta nelle mani degli indigeni e ci sono poche traccie dello sfruttamento coloniale di decenni passati. Testimonianza di tutto questo è che esistono ancora i regni di popolazioni di etnia Xhosa che si chiamano Pondoland, Thembuland, Gcalekaland e Rharhabeland. Queste popolazioni vivono qui da millenni e per loro il mare è sacro: vivono di pesca, e gli spiriti dei loro antenati sono nel mare.

Quasi tutte le attività ricettive sono in completa sintonia con la natura, e molte sono gestite dalle stesse comunità Xhosa che offrono scorci nelle loro tradizioni e nei loro rituali. Ci sono qui percorsi naturalistici da fare a piedi o con il cavallo, qualche centro per immersioni subacquee ed esplorazioni di vecchi relitti affondati in mare. E fra tutta questa natura selvaggia, popolazioni di cetacei vivono indisturbati nel mare blu. Ma la Shell vuole trivellare qui, indigeni o non indigeni, cetacei o non cetacei.

Come sempre, l’antipasto delle trivelle sono le operazioni di airgun, per le quali la Shell aveva ottenuto vari permessi governativi. Ovviamente i politici del Sud Africa vedono tutto questo con occhio favorevole perché in ballo c’è la “sicurezza energetica” del paese. Per esempio il ministro dell’energia Gwede Mantashe dice che coloro che si oppongono alle trivelle vogliono togliere all’Africa le sue risorse energetiche e li accusa di “neo-colonialismo” e di “apartheid travestito da ambientalismo”. Boh. Ad ogni modo, grazie a questi permessi esistenti, la Shell ha iniziato le operazioni di airgun in dicembre. L’obiettivo era di sondare circa 6.000 chilometri quadrati di mare con airgun 3D e di finire nella primavera del 2022.

Ma i residenti non ne hanno voluto sapere. Le proteste sono state intense e diffuse a livello nazionale, come visto raramente nel Sud Africa post-apartheid.

Uno dei portavoce delle proteste per conto degli indigeni, Sinegugu Zukulu, ricorda che il mare è della gente e non della Shell. Zuluku ricorda pure che nessuno ha interpellato la sua gente che già risente dei cambiamenti climatici nella forma di siccità e alluvioni imprevedibili, proliferazione di specie invasive, piogge fuori stagione che rovinano i raccolti.

Le storie petrolifere della Nigeria e di petrolio finito in mare a rovinare ecosistemi e sostentamento di pescatori sono arrivate fin qui e tutti sanno che il petrolio non porterà altro che inquinamento, povertà e disperazione. Ma invece di accettare tutto silenziosamente si sono ribellati. Assieme a gruppi di ambientalisti urbani, Greenpeace Africa e persone comuni hanno presentato istanze ai tribunali del Sud Africa per fermare l’airgun. Il fondamento di queste istanze è che i trattati Onu per la protezione delle comunità indigene non sono stati rispettati. L’airgun della Shell avrebbe danneggiato non solo la vita di delfini, foche, pinguini e balene ma avrebbe danneggiato la loro vita.

Alla fine il tribunale gli ha dato ragione: i permessi di eseguire airgun non sono validi perché non c’è stata sufficiente consultazione della cittadinanza. I residenti sono contenti di avere salvato il mare, per ora almeno, e che il profitto a breve termine non abbia portato alla distruzione del loro ambiente. Dal canto suo la Shell si ferma, ma la partita è ancora aperta perché potrà portare delle modifiche ai suoi progetti e riprovarci ancora.

Come sempre, ogni piccolo passo è un passo in avanti. Anche l’Eni voleva trivellare qui, ma se ne sono già andati. Un giorno si arrenderanno pure quelli della Shell. La morale è sempre la stessa. Resistere, sempre, sempre.

(*) ripreso da Comune-info

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