La giustizia del governo Meloni

di Pietro Garbarino

Al solito (e più che mai) i governanti italiani sono deboli con i forti e forti con i deboli

Quando si parla di gestione della politica in tema di giustizia, bisogna fare riferimento ai provvedimenti che concretamente il governo propone e vara.

Nel nostro Paese è di tutta evidenza che sussistono da molto tempo alcuni grandi (tipici dell’Italia) problemi che ogni legislatore e governante si è trovato e si trova ad affrontare, quali la criminalità organizzata, la corruzione, l’evasione fiscale, gli infortuni sul lavoro, i femminicidi.

Sono i temi che l’informazione ci trasmette come quelli cruciali da risolvere per potere ritenere l’odierna società come giusta e in progresso.

Ma se andiamo a considerare le nuove norme di natura repressiva che il governo in carica ha varato da quando è operativo, ci rendiamo conto che si è proprio girato da un’altra parte rispetto a quei problemi.

Volendo elencare gli interventi governativi sulle predette misure, possiamo registrare il decreto “anti-rave”, con la discutibile applicazione; la normativa amministrativa limitativa dell’attività delle ONG nel Mediterraneo per la ricerca e il salvataggio dei migranti; la norma “universale” che vieta e punisce la fecondazione eterologa, in Italia e all’estero; il decreto “Cutro” contro gli inafferrabili scafisti; l’interpretazione restrittiva dell’ergastolo ostativo, nonostante le indicazioni aperturiste della Corte di Giustizia europea. E infine il recentissimo disegno di legge sulla sicurezza, che prevede aspre sanzioni verso situazioni di protesta e di carattere sociale (occupazione di case e altro) allargando l’applicazione del DASPO urbano, costringendo i bambini, in tenera età, di mamme detenute a stare in carcere; aggrava le pene per i reati tipici delle manifestazioni politiche (resistenza a”pubblico ufficiale”) e di opinione, quali la istigazione a disobbedire le leggi. Tale disegno permette altresì al personale delle forze di polizia (carabinieri compresi) di circolare armati sempre, e ne esclude la responsabilità in caso di uso delle armi fuori servizio, a prescindere dalle conseguenze.

E’ vero che, insieme a quella “bella” serie di disposizioni che hanno di mira le situazioni sociali di disagio, compaiono anche disposizioni di agevolazione delle vittime di usura e di maggior favore per i collaboratori di giustizia, ma il contenuto complessivo del provvedimento va nel senso di reprimere i comportamenti che più visibilmente appaiono atti a turbare i cittadini, perché “visibili”, senza però considerare la loro effettiva frequenza, l’intrinseca gravità e la situazione sociale di chi li commette.

Nulla si dice e si fa invece per reprimere quelle condotte che privano i comuni cittadini, e quelli meno agiati in particolare, di oltre 100 miliardi all’anno di risorse finanziarie sottratte dall’evasione fiscale (anche alla sanità e all’istruzione).

Il senso di tale normativa sembra proprio voler tacitare i mugugni di un’opinione pubblica conformata, benpensante e poco attenta ai drammi sociali, per distaccare l’attenzione dai reati commessi da chi ha potere e denaro.

Ciò si collega al fatto che mentre si concedono tutte le risorse possibili alle imprese (e perfino alle società di calcio) si dichiara che non ci sono fondi abbastanza per sanità, istruzione e pensioni, denotando una proverbiale coerenza con il detto deboli con i forti e forti con i deboli.

La prova del nove di tale atteggiamento è costituita dalla farsa sui prelievi degli extra-profitti delle banche, finita a “tarallucci e vino” con il mondo della finanza.

Evidentemente il volto populista dell’attuale governo e della Presidente del Consiglio (che si permette di rivolgersi direttamente ai cittadini per presentare il proprio disegno di legge di modifica costituzionale) si sbiadisce allorché si ha a che fare con i poteri economici forti.

Bisogna allora ricordare a quei signori che un conto è rubare qualche limitata somma (anche se il furto è pur sempre un comportamento illecito, al prossimo, un conto è condizionare, con la propria immorale e criminale azione, il destino di numerosi cittadini che hanno bisogno dell’essenziale per vivere.

Bisognerà perciò ricordare al Governo che giustizia penale e giustizia sociale vanno di pari passo.

La vignetta – scelta dalla “redazione” – è di Mauro Biani.

 

danieleB
Un piede nel mondo cosiddetto reale (dove ha fatto il giornalista, vive a Imola con Tiziana, ha un figlio di nome Jan) e un altro piede in quella che di solito si chiama fantascienza (ne ha scritto con Riccardo Mancini e Raffaele Mantegazza). Con il terzo e il quarto piede salta dal reale al fantastico: laboratori, giochi, letture sceniche. Potete trovarlo su pkdick@fastmail.it oppure a casa, allo 0542 29945; non usa il cellulare perché il suo guru, il suo psicologo, il suo estetista (e l’ornitorinco che sonnecchia in lui) hanno deciso che poteva nuocergli. Ha un simpatico omonimo che vive a Bologna. Spesso i due vengono confusi, è divertente per entrambi. Per entrambi funziona l’anagramma “ride bene a librai” (ma anche “erba, nidi e alberi” non è malaccio).

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