Rafaela Filipazzi, desaparecida in Paraguay
Rinvenuti i resti della donna di origine italiana vittima del Plan Cóndor
di David Lifodi
Rafaela Filipazzi, nome di battaglia “Giuliana”, nata il 22 marzo 1944 a Brescia, divenne desaparecida a Montevideo il 26 giugno 1977. Arrestata in un albergo della capitale uruguayana nell’ambito del Plan Cóndor, la donna fu trasferita ad Asunción, in Paraguay, dove fu torturata e uccisa. Di recente, i suoi resti, insieme a quelli di altre vittime del regime stronista, sono stati consegnati ai familiari.
Giunta in Argentina insieme ai genitori, in fuga dalla Seconda guerra mondiale, quando aveva poco più di un anno, Rafaela visse inizialmente a Buenos Aires per poi trasferirsi nella città di Corrientes, dove si sposò con José Augustín Potenza, anch’esso desaparecido dopo essere stato sequestrato, insieme alla moglie, in Uruguay, da un grupo de tarea inviato a Montevideo da Alfredo Stroessner, il cui nome evoca la più lunga dittatura militare latinoamericana, protrattasi dal 1954 al 1989. Rafaela Filipazzi fu arrestata all’hotel Hermitage di Montevideo, città dove aveva trovato rifugio insieme al marito a causa della sua militanza socialista. José Augustín Potenza fu fatto prigioniero e condotto al centro di detenzione clandestino di Asunción “La Emboscada”, mentre “Giuliana” venne rinchiusa nel carcere “El Buen Pastor” della capitale paraguayana, dove morì a seguito delle torture a cui fu sottoposta. Le ricerche per individuare i resti della donna ebbero inizio nel 1984 con la denuncia presentata alla Conadep (Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas) da parte della madre, Ida Zorzini, e poi proseguite dalla figlia Beatriz, che aveva dodici anni quando Rafaela Filipazzi fu arrestata. I resti di Giuliana, rinvenuti il 19 marzo 2016, furono analizzati in Argentina dall’Equipo Argentino de Antropología Forense (Eaaf), organizzazione senza fini di lucro, sorta nel 1984 per indagare sui crimini commessi dalle dittature del Cono Sur latinoamericano ed oggi impegnata anche in Africa, Asia ed Europa sempre sulle tematiche relative alle violazioni dei diritti umani.
Secondo una testimonianza rilevata nel 2007 dalla Commissione per la verità e la giustizia paraguayana, Rafaela Filipazzi fu vista per l’ultima volta insieme al marito presso il Departamento di Investigaciones di Asunción nel 1977 e, sulla base delle analisi dell’Eaaf, la donna dovrebbe essere deceduta tra i 34 e i 46 anni a seguito delle torture inflitte. Invitata dallo Stato paraguayano (ancora oggi fortemente repressivo) per partecipare all’identificazione della madre, la figlia Beatriz non ha potuto recarsi ad Asunción dall’Argentina, ma in una lunga lettera ha sottolineato come la battaglia politica per la giustizia dei desaparecidos non finisce certo con il riconoscimento delle vittime. Tuttavia, il ritrovamento dei resti di “Giuliana”, che la figlia aveva cercato tra Argentina, Uruguay e Paraguay, rappresenta una buona notizia in un paese dove i desaparecidos sono stati almeno cinquecento e gli esiliati intorno ai ventimila, senza contare tutti gli oppositori sottoposti a torture. Tra questi, meritano di essere ricordati Miguel Angel Soler Canale, segretario del Partido Comunista Paraguayo e il marito di Rafaela Filipazzi, José Augustín Potenza. Quest’ultimo sperava di trovare rifugio in Uruguay dopo una vita assai avventurosa. Militante peronista all’epoca della Revolución Libertadora, fu perseguitato e trovò accoglienza presso l’ambasciata del Nicaragua, da cui riuscì ad uscire, travestito da donna, grazie all’aiuto di un cognato. Pare che Potenza, insieme a Giuliana, fosse comunque diretto in Paraguay, quando entrambi furono arrestati a Montevideo ed effettivamente arrivarono ad Asunción, ma nelle mani degli aguzzini della polizia politica paraguayana.
Le loro storie, secondo la Dirección de Memoria Histórica Paraguaya, rappresentano la prova evidente della presenza del Plan Cóndor anche in Paraguay e non è un caso che le organizzazioni per i diritti umani del piccolo paese latinoamericano abbiano accolto con soddisfazione la notizia del ritrovamento dei resti di questi militanti, anche perché, come ha scritto sul Venerdì di Repubblica Gabriella Saba, a proposito della storia di Rafaela Filipazzi, “dei condannati del regime nessuno si è pentito. Uno di loro ha ribadito che se tornasse indietro farebbe le stesse cose. Si tratta del torturatore Lucio Benitez, noto come Kururu Pire. Un personaggio oscuro e mediocre a cui la dittatura ha regalato un posto al sole, come a molti”.