LEZIONI KURDE

Gian Luigi Deiana racconta (con Nicola Giua) il 30⁰ festival internazionale della cultura kurda il 17 settembre a Landgraaf, Olanda.  A seguire appuntamenti e link.

L’EVENTO: Il festival culturale internazionale kurdo.

Il festival ha compiuto sabato 17 settembre il suo trentesimo appuntamento; celebrato per la prima volta in Germania nel 1992, anno dopo anno ha esteso sul corso delle cose la propria ragione originaria: nato come incontro di identità nel vasto mondo dell’emigrazione, è diventato nel tempo il luogo di intreccio della coscienza identitaria kurda con il processo storico che ha sconvolto negli anni tutto il vicino oriente, e il mondo kurdo in modo assolutamente particolare: senza tregua, dalla prima guerra del Golfo in Iraq fino alla crisi in Siria, attraverso la permanente sopraffazione turca e attraverso la tragica meteora dell’Isis; la vicenda politica del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, la formazione delle strutture di resistenza, e in modo particolare la persecuzione giudiziaria nei confronti di Abdullah Öcalan, negli anni hanno assunto quindi in seno al festival un rilievo assolutamente centrale.

La calendarizzazione del festival è speculare a quella del Newroz, il capodanno tradizionale che si celebra in corrispondenza dell’equinozio di primavera, e che in Europa è anticipato, da alcuni anni, con la Long March diretta da Lussemburgo a Strasburgo attraverso le istituzioni europee; il festival della cultura si colloca invece in corrispondenza dell’equinozio di autunno, quando tutte le attività, e in particolare i tempi di ritorno delle migliaia di famiglie di immigrati kurdi in centro Europa, riprendono nei luoghi di lavoro e nei luoghi di studio il loro corso.

Quest’anno la manifestazione si è svolta a Landgraaf, in Olanda, in un luogo geograficamente particolare ma logisticamente favorevole per un evento tanto impegnativo: oltre cento autobus provenienti da altrettante città del centro Europa, delegazioni straniere, espositori, artisti, migliaia di auto, e in conclusione oltre ventimila partecipanti.

E’ noto che di fatto non è consentito alle organizzazioni politiche kurde realizzare attività pubbliche in Germania, per cui l’individuazione di localizzazioni limitrofe adeguate diventa una condizione necessaria; Landgraaf si trova nel becco terminale dell’imbuto geografico olandese, sul punto di triplice confine tra Olanda, Belgio e Germania, e a metà strada, per una ventina di chilometri a est e a ovest, tra Aquisgrana (la capitale fondativa del sistema feudale europeo, 800 d.C.) e Maastricht (la capitale fondativa del sistema neoliberista europeo, 1992 d.C.); simbolicamente e non solo, come spesso rimarca Öcalan, la presenza kurda nel cuore dell’Occidente continua a segnare le cose.

Il festival di Landgraaf, che in osservanza della propria ragion d’essere originaria, l’identità, ha raccolto e ha offerto letteratura, filosofia, saggistica, editoria, musica, teatro, arte, danza, cucina, costume ecc., è stato impostato quest’anno su due temi tanto ricorrenti quanto sempre più urgenti: “Difendere il Kurdistan contro l’occupazione turca – Libertà per Öcalan”.

È in ragione di questi due temi, l’aggressione turca e la prigionia di Öcalan, che è stata invitata una delegazione internazionalista, costituita da alcune decine di militanti in rappresentanza dei diversi comitati nazionali di solidarietà; chi scrive queste righe vi ha preso parte in rappresentanza della delegazione italiana; della stessa delegazione hanno fatto parte Laura Quagliolo della Rete Jin di Milano, Nicola Giua dei Cobas Sardegna, Enrico La Forgia della rete Ararat di Roma.

LA FASCINAZIONE: dentro la festa di un popolo oppresso

Quali siano le connotazioni storiche e politiche dello stato di oppressione di cui è oggetto il popolo kurdo è cosa generalmente nota; è meno nota invece, anche perché per sua natura è soggettiva, la condizione emozionale che cattura l’ ospite nell’immersione in una festa kurda, piccola o grande che sia; si tratta di un’esperienza davvero particolare, per me non nuova ma ogni volta sorprendente.

In primo luogo la propensione affettiva: se ti capita di incontrare in mezzo a una tale folla una persona con la quale anni fa hai condiviso per caso una contiguità a pranzo, in una palestra o in un prato, o una contiguità in una manifestazione, o in una danza ritmata in una piazza, egli si ricorda di te, sa chi sei e ti abbraccia.

In secondo luogo la generosità istintiva: predisporre eventi di questa portata è evidentemente costoso, in prestazione volontaria e in denaro; lo è tanto più per lavoratori immigrati, per giovani, per madri di famiglia, ecc.: e tuttavia, se tu sei un ospite che viene da molto lontano in nome della loro causa, essi si adoperano al massimo grado per te: intendono farti certo non solo della loro gratitudine, ma del riconoscere in te un uomo degno del loro rispetto: si mettono una mano sul cuore, per un breve istante, senza affettazione e senza retorica alcuna, e questo è tutto.

In terzo luogo la consuetudine intergenerazionale: si è detto tanto sull’evoluzione del rapporto tra maschi e femmine nella società kurda, e qui possiamo risparmiarci di rimarcare i caratteri di una tendenza generalmente nota; ma è molto molto importante, oltre a questo, osservare i caratteri della consuetudine familiare e della consuetudine sociale in genere, per la quale i bambini sono immersi nelle cose degli adulti, tanto che le aggregazioni di persone, specie in situazioni di esposizione politica o di gioco o di attività comune, presentano una miscelazione di tutte le età, rendendo invisibile o inesistente la separazione.

In quarto luogo l’affrancamento da stigmi professionali, di ruolo, o di rango; sembra vigere una propensione diffusa a fare ciò che si deve fare, a prescindere da modelli comportamentali differenziati per età o per rango, o dai cliché della propria immagine pubblica, e ciò avviene spontaneamente; questo aspetto, che sarebbe utile indagare in merito alle affinità teoriche tra il nostro Gramsci e lo stesso Öcalan sul tema degli intellettuali, offre interessanti chiavi di comprensione sulla specificità delle reti relazionali in genere, tipiche di questa cultura; così come offre anche importanti motivi di  comprensione delle modalità comunitarie riguardanti il pensiero concettualizzato, la pedagogia, la cura, la musica, il canto, la danza, la cucina, il cibo ecc.

L’URGENZA: l’isolamento carcerario totale di Öcalan.

La delegazione internazionalista di cui abbiamo fatto parte, è stata impegnata a sua volta, a margine del programma del festival, a fare il punto sulla situazione carceraria del presidente Öcalan, sulla condizione dei prigionieri politici in Turchia e sulla latitanza delle istituzioni europee deputate alla tutela dei diritti fondamentali.

Abdullah Öcalan è in carcere da 23 anni, per una serie di imputazioni sostanzialmente connesse all’inclusione del partito da lui fondato, il Pkk, nella lista delle organizzazioni terroristiche; tale connessione è funzionale alla perpetuazione nel tempo dell’arbitrio del regime turco in materia giudiziaria, e della complicità europea nella reticenza su questa condizione;  nella realtà l’ inclusione del Pkk nella “lista nera” è infondata, e soprattutto è disconosciuta dalle varie istanze giudiziarie europee chiamate a pronunciarsi sul problema; ciò può valere come controprova del fatto che la “lista nera” medesima è allo stato attuale soprattutto una costruzione funzionale alle ragioni di stato e al do ut des  tra le diplomazie, più che al contrasto al terrorismo.

Ma per quanto riguarda il presidente Öcalan è necessario ricordare che anche per l’autorità giudiziaria italiana egli è tuttora riconosciuto come titolare del diritto di asilo politico; un asylanten non può essere detenuto dal regime da cui è perseguitato; ma il suo collegio di difesa in Turchia è impedito ad avere contatti con lui, e nel mentre che oltre 350 avvocati in vari paesi europei si sono offerti per la sua difesa, le diplomazie continuano a tacere; persino il Consiglio europeo per la prevenzione della tortura si nasconde, mentre, a titolo di esempio, il numero 1 dei social media, Facebook, blocca chiunque esponga in un post una immagine di Öcalan o anche soltanto una bandiera del Pkk o una semplice dichiarazione politica.

Dopo la lunga drammatica sequenza di scioperi della fame, e di relative morti, in opera fino a due anni fa nelle carceri turche, e per solidarietà estrema in tutta Europa da parte di militanti kurdi, la persecuzione è diventata di nuovo crudele; Öcalan è isolato da 18 mesi: nessuno, tra i familiari e gli avvocati, sa se sia ancora nella prigione di Imrali, se sia in salute, o se sia ammalato, o addirittura se sia ancora vivo.

Intanto la Turchia va a nuove elezioni, in balia di una crisi economica fortissima e in presenza di un’onda inflattiva pesantissima; il suo presidente killer, Erdogan, alza la posta sui diversi tavoli d’azzardo in cui ritiene di poter giocare le sue carte: la Nato, il trattato asiatico, la Russia, la Libia, la Siria, il Nagorno-Karabakh, e soprattutto i migranti; non è dato sapere quanto giochi contro di lui l’enormità della crisi economica e quanto giochi a suo favore l’enormità della macchina militare; resta il fatto che tutte le istituzioni europee, e tutti i governi che ne sono alla base, restano complici di un regime assassino, di in giocatore di roulette, o del fascismo come oggi resta possibile.

PROSPETTIVE : come strutturare in termini permanenti e non solo emergenziali il rapporto col mondo kurdo.

Il festival di Landgraaf, proprio per il suo carattere generalmente “culturale”, consente di trarre un bilancio sul processo di integrazione e di interscambio tra la cultura kurda e la cultura europea; dal punto di vista dell’avanzamento delle civiltà, questo processo è oggi quello più urgente e più necessario; le bancarelle di libri a corona del festival abbondavano di opere di saggistica sulle grandi figure della filosofia occidentale, e curiosamente gli autori stessi dei libri in esposizione (cioè importanti accademici e studiosi kurdi di autorevolezza riconosciuta) erano presenti tra i banchi a conversare con i passanti: kurdi, olandesi, belgi, tedeschi… e giovani, anziani, e ragazzini ecc.; avendo personalmente passato una gran parte di vita a insegnare, tra banchi di scuola, non so ora esprimere come una tale visione di grandi intellettuali sul campo di battaglia entusiasma e commuove.

Ciò che da tempo può dirsi dei libri può oggi dirsi anche dei media, delle produzioni per la tv, della musica e del cinema: settori nei quali la cognizione tecnica e la qualità artistica nelle articolazioni sociali del  mondo kurdo appare sempre più sorprendente.

Questo significa che è giunto il tempo di stringere il legame culturale, intellettuale, accademico, editoriale ecc. in termini di interscambio: il mondo culturale kurdo ha avuto necessità per tutti questi anni di respirare con l’Europa;  ora è l’Europa che deve giovarsi della profondità millenaria e della vitalità presente proprie della cultura kurda, in tutti i settori e in tutti i sensi;  la scuola e l’università, in particolare, sono i luoghi deputati a questo compito; ma questa prospettiva non è solo un auspicio: essa è già da molti anni una pratica coltivata nella rete jin in tutta Europa: sono le donne, infatti, ad aprire le strade della buona quotidianità.

Siamo dunque sulla soglia di un  avanzamento storico-culturale molto importante: superare il puro impegno solidaristico, cresciuto in tutto il vecchio continente emergenza dopo emergenza in questi trent’anni, e intraprendere una articolazione permanente del rapporto europeo con la cultura kurda: si tratta di concepire la diaspora kurda, la “diaspora”, come mezzo di cosmopolitismo; la diaspora non solo come ferita senza guarigione, ma come strumento politico della grande guarigione, come abiura del nazionalismo e come contributo al rapporto di “cura” fra le nazioni.

 

Per poter avanzare su questa prospettiva si rendono necessarie alcune condizioni:

  1. studiare con attenzione la concezione filosofica e politica del presidente Öcalan;
  2. favorire una informazione diffusa sulla vicenda kurda, superando i circuiti ristretti del mondo militante e investendo i media e l’opinione pubblica, anche a mezzo di iniziative semplici come marce, cittadinanze onorarie, condivisioni di universalità simboliche quali il newroz, ecc.;
  3. realizzare e diffondere supporti didattici per le scuole, in primo luogo per gli insegnanti e in secondo luogo per gli studenti: in particolare strumenti di studio che vertano sulla geografia e di qui sulla storia; non si tratta di un vezzo geo-storico qualsiasi, ma della radiografia della storia tout court, dalla culla del neolitico fino ad oggi; la rivoluzione agricola, i metalli, le società di classe, le grandi religioni, gli imperi, gli imperialismi, le grandi contese geostrategiche verificatesi per quattromila anni.

Le risorse materiali e mentali che hanno nei secoli alimentato le civiltà mediterranee e poi europee e planetarie vengono in modo essenziale da quel crocevia planetario: che i programmi di scuola siano stati fino ad oggi all’altezza del compito, o ne siano sempre totalmente ignari, è una domanda che questo piccolo grande festival kurdo tenuto al triplice punto di confine del sud dell’Olanda, tra Aquisgrana, Nimega e Maastricht cariche di mille anni di Europa, pone oggi a tutti noi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Gian Luigi Deiana, per anni ha partecipato alla Long March (da Lussemburgo a Strasburgo) e dal 2020, da quando a causa della pandemia la marcia non si è svolta, ha ideato, realizzato e infine coinvolto molte persone (fra cui lo stesso Nicola Giua con cui era ora a Landgraaf) la Marcia di Newroz nella Sardegna centrale, da costa a costa lungo il 40° parallelo. 

Se ne parla  qui in bottega

e in modo dettagliato e con tante foto qui

La redazione della Bottega aggiunge, a proposito delle cose da fare (o fatte di recente):

Gli appuntamenti piemontesi che vedete nella locandina al fianco

Alessandria: https://www.facebook.com/events/813251926500116

Asti: https://fb.me/e/eW1JvKRjo

l’appuntamento che c’è stato a Roma domenica scorsa 18 settembre: https://www.radiondadurto.org/2022/09/19/roma-mannoia-silvestri-zerocalcare-elio-germano-sul-palco-di-time-for-hope-per-il-popolo-curdo-e-ocalan/

https://anfenglish.com/news/spectacular-concert-for-Ocalan-and-the-kurds-in-rome-62566

altri link sul Festival di Landgraaf, anche con video:   anfenglish

Da “Anbamed” (notizie dal Sud Est del Mediterraneo) 19 settembre

Siria

L’esercito turco ha compiuto un attacco nella zona di Kobane, uccidendo 12 persone tra combattenti curdi, soldati governativi e civili. Secondo Ankara sarebbe la risposta ad un attacco curdo con l’artiglieria oltre frontiera che ha ucciso un soldato.

I curdi si trovano a combattere su due fronti: contro l’aggressione turca e contro i jihadisti di Daiesh (Isis). Nel campo di detenzione di El Hol si è conclusa ieri l’operazione per mettere fine alle attività dell’organizzazione terroristica. Dopo tre settimane di controlli e perlustrazioni, sono stati arrestati 226 affiliati alle cellule jihadiste, tra i quali 20 donne ed è stato recuperato un considerevole quantitativo di armi, oltre alla scoperta di 25 tunnel, usati come nascondigli per le armi, luoghi per tenere riunioni clandestine e vie di fuga.

LE DUE VIGNETTE – scelte dalla redazione – sono di Benigno Moi

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

2 commenti

  • Un attivista curdo manifesta da 46 giorni in Olanda per denunciare il silenzio dell’OPCV sull’uso delle armi chimiche da parte della Turchia
    https://www.pressenza.com/it/2022/09/un-attivista-curdo-manifesta-da-46-giorni-in-olanda/

  • Zerocalcare: “Ecco perché è fondamentale che Öcalan venga liberato”
    di Emanuela Del Frate La Repubblica 17 settembre 2022
    l fumettista romano è tra i protagonisti di “Tempo di speranza”, iniziativa nata per riportare l’attenzione sul Kurdistan e per chiedere la liberazione del presidente del Pkk. Con lui, domenica 18 settembre a Parco Schuster: Fiorella Mannoia, Daniele Silvestri, Elio Germano, Anna Favella, Pierpaolo Capovilla, i Punkreas, Giacomo Bevilacqua e molti altri
    “Forse mi è uscita un’ernia. Sono giorni che soffro come un cane, iniziare un tour così mi terrorizza”. È un periodo non semplice per Zerocalcare: una serie in chiusura e un nuovo libro – 320 mila copie prenotate -, uniti al solito elenco di accolli da smaltire, ma un po’ di tempo per parlare del “suo” Kurdistan Michele Rech lo trova sempre. “Questi giorni sto registrando audiolibri, la settimana prossima sarò al doppiaggio per Netflix. Ci sentiamo quando sono in pausa, parliamo solo di curdi, per favore”. Ma una notizia se la lascia sfuggire: ci sarà la sua voce anche nella seconda serie su Netflix. “Va bene, è vero, ma non ci sarò solo io”. Zerocalcare è afono, eppure, appena si inizia a parlare di curdi si infervora.
    L’occasione è l’evento “Tempo di speranza” in programma domenica 18 settembre, dalle 18.00 a Parco Schuster, “per l’autodeterminazione e la libertà della popolazione curda, per la liberazione di Ocalan e di tutti i prigionieri politici”. Sul palco si alterneranno musicisti come Fiorella Mannoia, Daniele Silvestri, Pierpaolo Capovilla con i Cattivi Maestri, i Punkreas, The Andre e i curdi Hani Mojtahedy&The Moon. Ma ci saranno anche interventi politici, una serie di letture affidate a Elio Germano e Anna Favella e, come racconta Zerocalcare, “io e Giacomo Bevilacqua realizzeremo un fumetto live”.
    Come e perché nasce l’iniziativa di domenica a Parco Schuster?
    “Per provare a riportare l’attenzione sull’autodeterminazione del popolo curdo. Da quando l’Isis non è più una preoccupazione per l’occidente, si è completamente spenta la luce su quella regione del mondo. Ma lì le cose non vanno bene, anzi. Soprattutto per i curdi. In questo momento c’è un’offensiva molto forte della Turchia e delle bande jihadiste che a essa si rifanno sia in Siria sia nel nord dell’Iraq. Anche il memorandum in realtà è propedeutico a un’azione di Ankara che porti all’invasione del Rojava e la cancellazione di quel modello di società che metteva al centro la liberazione della donna. Questa iniziativa fa parte di una campagna internazionale per la liberazione dei e delle prigioniere curdi in Turchia e, in particolare di Öcalan, il presidente del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, in carcere da 23 anni. La sua liberazione è una condizione sine qua non per far ripartire il processo di pace tra Ankara e la popolazione curda. Anche perché gli esperimenti di democrazia avanzata di quella zona nascono proprio dalla teorizzazione del confederalismo democratico di Öcalan. L’Italia ha avuto un ruolo nella sua cattura, ma gli ha anche riconosciuto asilo politico, quindi, dovrebbe essere in prima linea nel chiederne la liberazione”.
    All’indomani della firma del Memorandum tra Svezia, Finlandia e Turchia, si è detto molto preoccupato per il popolo curdo. È passato qualche mese da quel momento, cosa è effettivamente cambiato?
    “Tutti dicevano: ‘tanto non estraderanno mai dai paesi del nord i prigionieri politici, sono i loro tribunali a decidere, il memorandum non sarà vincolante’. Ma secondo me l’errore era parlare solo di questo aspetto dell’accordo e non di tutto il resto. Come dell’impegno dei paesi del nord a togliere ogni tipo di supporto a Ypj e l’Ypg, oltre che al Pkk. L’effetto di quel memorandum è cancellare dal dibattito la rimozione del Pkk dalle liste delle organizzazioni terroristiche internazionali, proprio nel momento in cui sembrava potesse entrare nell’ordine del giorno. È un memorandum drammatico per i curdi. Non c’è ancora stata un’offensiva di terra nel nord della Siria, ma i bombardamenti si sono intensificati, ci sono omicidi mirati, droni turchi che attaccano personalità autorevoli dell’amministrazione autonoma, ma anche contro civili, tanti profughi. È uno stillicidio che dopo il memorandum ha avuto un’accelerazione di cui nessuno parla”.
    Qual è secondo lei il rischio maggiore a cui va incontro la popolazione curda nel prossimo futuro?
    “Il rischio vero è che Erdogan annusi la distrazione internazionale su quelle zone, dopo aver incassato la tolleranza dell’occidente, per chiudere i conti con tutti quelli che considera terroristi e quindi spazzare via il Rojava e l’esperienza del confederalismo democratico. Spazzare via l’unico esperimento democratico in quelle zone, spazzare via il sacrificio di uomini e donne morte per cercare di avere una società più giusta. Ragazzini che sono nati in quelle zone, che hanno conosciuto la libertà e che invece ora si ritrovano ricacciati a forza nel radicalismo islamico. Basta pensare alla zona di Afrin, dove lo sfondamento c’è già stato. La Turchia ha lasciato la gestione agli jihadisti. E quando arrivano loro torna la sharia, le esecuzioni sommarie, tutto viene cancellato”.
    Sta per uscire il suo nuovo graphic novel “No sleep till Shengal” ambientato nel nord dell’Iraq, com’è la situazione lì?
    “Anche qui la Turchia minaccia di cancellare tutto; ogni esperimento di democrazia per Ankara rappresenta una minaccia. Nel nord della Siria e nel nord dell’Iraq ci sono stati degli esperimenti di confederalismo democratico ed è stato il segnale che si può vivere in modo diverso. E, sì, Erdogan ha provato a fermare questi esperimenti schiacciando il suo stesso popolo, bombardando città curde nel suo stesso paese, lasciando seppellite sotto le macerie centinaia di persone, arrestandone migliaia di altre”.
    Ripete spesso che è tutto connesso e che la sfida è anche far capire in che modo. In fondo Kiev non è molto più distante del Kurdistan da noi. Ha trovato la chiave?

    Ha trovato la chiave?
    “La chiave era lì, sotto gli occhi di tutti. Tutto quello che succedeva nel periodo in cui gli attentati hanno coinvolto l’Europa, dimostra chiaramente come la destabilizzazione di quelle zone ha un ricasco diretto su di noi. Fare finta adesso di non accorgerci di quello che sta succedendo e di come la Turchia rischia di rifar piombare quelle zone nello jihadismo è qualcosa che pagheremo più avanti. E comunque, le guerre portano migranti, rifugiati… È un gigantesco domino”.
    La più grande lezione che possiamo imparare dai curdi?
    “La determinazione e la pazienza. I curdi vanno avanti perché hanno un’idea molto chiara che perseguono e, anche se occorre tempo, sanno che se un cambiamento può avvenire solo con decenni di lotte, bisogna lottare per decenni senza cercare scorciatoie. Le scorciatoie vanno evitate. Questa è la lezione della lotta curda. Avere un’idea chiara, avere la pazienza di perseguirla, anche mettendosi in discussione, facendo autocritica quando c’è bisogno di farlo, perché si può anche sbagliare, però senza cercare scorciatoie per provare a ottenere il risultato in maniera più veloce. Perché cercare scorciatoie ti porta a ricominciare sempre da zero, sbagliando sempre da zero, senza tenere conto degli errori fatti. E vale sia a livello personale sia a livello collettivo”.
    È preoccupato della situazione a livello politico?
    “Queste elezioni, comunque vadano, sono la fotografia di un paese che ci dovrebbe preoccupare già oggi”

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