L’opportunità e la tempesta

di Emmemme (Mama Miriam)

Caro Daniele,
ho ascoltato molte testimonianze di persone molto diverse e da luoghi diversi, che erano a Roma il 15 ottobre.
Facciamo una simulazione:
diamo per scontato tutto quello che potremmo chiamare “analisi fatta da tipi come te”,  ovvero tutto quello che potrebbe essere detto per spiegare il mondo come lo troviamo da persone non troppo fiduciose di quel che passa la cosiddetta informazione e con lo sguardo non solo aperto ma tenacemente fissato su tutto quello che rimane in ombra o tra gli anfratti o perfino cancellato, rimosso.
Ripeto: diamolo per scontato.
Sappiamo quindi se non tutto, molto di quello che c’è da sapere.
Sappiamo con certezza (anche se io ho in grave antipatia le certezze) che
tutto quello provoca la violenza. La contiene, alimenta, programma, diffonde, come voi ben dite, e la induce, forzando all’impotenza e alla disperazione, come reazione.
Ma non sappiamo solo questo. Sappiamo anche, nel senso che ormai è scritto nel nostro patrimonio genetico, che qualsiasi violenza, al di là che ci piaccia o meno (a me per nulla, anzi la ritengo, come la guerra, un retaggio culturale da cui dovremmo presto pensare di liberarci) è inutile se non è organizzata e finalizzata a un progetto di costruzione.
Non contesto che occorra distruggere, a volte, e anche completamente, per costruire il davvero nuovo.
Contesto l’inutilità.
Sono stanca di inutilità.
Non perdiamo tempo con azioni e parole inutili. Non possiamo permettercelo. Né noi, né i nostri figli a cui fai riferimento, né il nostro pianeta (meglio dire la continuazione della vita, così come la conosciamo, sul nostro pianeta).
Per esempio dovremmo sempre aver presente questo e cominciare a pensare di inserire ogni nostra azione in un contesto di più che urgenza, di “o vita o morte”.
Ci sono venuti a prendere e ci dicono di fare una valigia, una sola, e di metterci le cose più importanti, quelle di cui avremo bisogno. E abbiamo mezz’ora per prepararla.
Siamo così. Dovremmo sentirci così. Non per finta, ma perché assolutamente e tragicamente vero.
La nostra rabbia, il nostro dolore, ora deve essere un progetto alternativo e deve essere utile. Con urgenza.
Disobbedienza?
Non so se basti la disobbedienza. Mi sa che è inutile anche questa. Non è di disobbedire che abbiamo bisogno, ma di obbedire a un nuovo ordine.
Perché ci vuole ordine. Mi dispiace, ma dobbiamo pretendere un ordine. Dobbiamo darlo, un ordine.
Non dobbiamo essere contro. Dobbiamo essere a favore. E subito.
Astensione?
Io non voglio astenermi proprio da nulla, tantomeno dalla democrazia. La voglio praticare e la voglio vera e la voglio partecipata. Ci spaventiamo di questo passaggio della Storia? Abdichiamo?
Io non voglio disobbedire perché non vedo madri e padri autorevoli. Voglio darmi ordini diversi. Pretendo di governarmi. Punto semmai a prendere il governo, perché governare è necessario.
Senza governo e soprattutto senza governo mondiale la Terra non si salverà (non si salverà la vita, non ci sarà giustizia, non pari opportunità, ecc.). Pretendo regole mondiali e globali decisioni.
Per questo amo la Carta Mondiale dei Migranti.
Inoltre io conservo intatto un sogno internazionale. Un po’ diverso da quello sognato da altr*, certo, ma non meno internazionale.
Occorre distruggere. Per distruggere, proprio per tutto quello che dici tu, che dite voi, per tutto quello che sappiamo… non occorre per forza la violenza.
Basterebbe, ad esempio, e tu lo sai bene “semplicemente” stare fermi. Se un giorno soltanto tutti stessimo fermi molto crollerebbe.
Pensa alla metafora del 1° Marzo. E’ metafora perché non riusciamo a farlo davvero. Ma se davvero tutti i migranti si astenessero dal lavoro, da qualsiasi lavoro, in regola o meno, anche solo per un giorno, sappiamo perfettamente che sarebbe evidente-che-più-evidente-non-si-può che del lavoro dei migranti abbiamo bisogno.
Già.
E se invece, un giorno, tutti stessimo fermi… fermi in casa, niente in giro, certamente non al lavoro, nemmeno a fare quelli che non possono interrompersi, fermi sul letto a leggere… niente TV, niente cellulare, niente riscaldamento, niente luci accese, niente lavatrice, niente di niente… fermi…
molto crollerebbe.
Così potremmo chiedere di trattare alla pari con LOR SIGNORI (che magari tanto signori rischierebbero di non essere più).
Bisogna lavorare, anche in modo creativo, sul grande potere che abbiamo.
Questo per ripetere che è inutile stare a dire nei dettagli, come una sorta di mantra, quello che sappiamo. Certo che ci sono gli infiltrati nei cortei, certo che ci sono gli incazzati, certo che la polizia, come la celere, ha ordini contro i manifestanti, certo… Lo sappiamo!
Tocca che andiamo oltre. Oltre i
deja vu della Storia. Questa crisi è maledetta e benedetta.
Ma quello che pare non riusciamo ad afferrare è che oltre questa crisi c’è o non c’è la sopravvivenza dei nostri figli e della possibilità della vita così come la conosciamo sul nostro pianeta. La sopravvivenza non è scontata. Anzi, come ben sai, è, ora, invece altamente improbabile.
Provocazione: perdiamo tempo a sfasciare i bancomat e a discutere se è stato un vero incazzato o un poliziotto vestito da incazzato?
Lo sappiamo che potrebbero essere stati tutt’e due e che c’erano tutt’e due, ma a me non importa nulla né del bancomat né dell’incazzato (che con tutte le ragioni si sfoga e poi tanto rimane col culo a terra) né del poliziotto che sta facendo le sue otto ore eseguendo gli ordini, come da contratto di assunzione.
Mi importa come fare ad arrivare a dare gli ordini al poliziotto e magari a convertire la sua forza lavoro in altre occupazioni più socialmente utili e come far rientrare l’economia al suo posto, ovvero alla rappresentazione di modalità di scambio di un sistema sociale (o di un insieme di sistemi sociali) deciso dalla politica.
L’economia ci comanda, ma l’economia non deve comandare. L’economia non è un dogma né fa parte della natura: fa parte della politica.
La politica deve tornare ad essere la nostra preoccupazione.
Che progetto abbiamo e come tradurlo in indicazioni pratiche di soluzioni, di alternative, di sistema sociale, passando attraverso il sistema città, territorio. Assumendo la responsabilità di pensieri, opinioni, “valori”.
Ponendoci il problema, poi, di come comunicarli, di come convincere la gente.
E’ fondamentale convincere la gente, la famosissima maggioranza.
Dobbiamo porci il problema di come farlo, non rimuovere il problema.
Nessuna rivoluzione o controrivoluzione si è potuta fare senza che la gente fosse convinta, o complice (quindi convinta). Chi vince perché “interpreta” il malessere della gente ha di conseguenza la gente (convinta) dalla sua parte.
Noi dobbiamo soprattutto credere che la gente si può convincere, appassionare, sorprendere, svegliare.
Perché così è, così è sempre stato, così sarà.
E, con noi o contro di noi, così faranno.
Si convinceranno, si appassioneranno, seguiranno il sogno che verrà portato loro e danzeranno al suono del pifferaio magico.
La violenza ci sarà o, forse, starà all’inizio e sarà un “fenomeno marginale” o forse non ci sarà nemmeno. Magari il pifferaio lo eleggeranno “democraticamente”, come sempre è stato negli States e come fu anche da noi.
Sappiamo anche questo (appunto).
Con tutto quello che sappiamo non dovremmo avere problemi ad andare oltre perfino i nostri strumenti di lotta, affinando le nostre armi (se proprio non possiamo fare a meno di questo linguaggio di guerra… visto che siamo in guerra…).
Dobbiamo essere nuovi e creativi, perché la sfida è totalmente nuova e sul piatto c’è una cosa che prima non c’è mai stata con questa urgenza: la sopravvivenza della vita sul nostro pianeta.
Il nostro sguardo dovrebbe essere puntato su questo terribile tramonto possibile, non sul sole dell’avvenire.
Da questa prospettiva molto è perfettamente inutile di quello che stiamo a dire e a fare, anche quando abbiamo ragione e ragioni.
Da questa prospettiva, d’altro canto, è perfettamente chiara la direzione che dovremmo prendere e l’opportunità che avremmo, qui ed ora, di condizionare una svolta epocale, appunto. Una svolta di carattere culturale così forte da corrispondere alla crisi di civiltà in atto.
Da questa prospettiva c’è molto di tremendo ma anche molto di esaltante. Potremmo sentirci come l’angelo della Storia di Klee/Benjamin
: “Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte ch’egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo sospinge irresistibilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui nel cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta.”
Dovremmo cogliere, nel pieno dell’attuale tempesta, il vento del futuro che rimescola tutte le carte e scompiglia tutte le immagini, icone comprese. Fluttuano nel vento che ci spinge nel futuro, l’immagine mitologica del progresso associata a quella della crescita… e la Storia torna a farsi concreto fatto umano.
Cerchiamo di non mancare l’appuntamento.
A proposito del noi e del loro, ovviamente tutto quello che ho scritto presuppone un noi e un loro. Usciamo anche dal girotondo di non sapere chi siamo noi e chi sono loro. Anche questa è una palude del pensiero. E, comunque, se non sapessimo davvero distinguere tra noi e loro, sarebbe addirittura inutile pensare ad un’alternativa. Qualsiasi contrapposizione presuppone un noi e un loro. Non è vero che non c’è il nemico e che non sappiamo chi e cosa sia. E’ vero che il nemico è ubiquo, immanente e onnipresente, multiplo e molteplice, complesso, irriducibile e non semplificabile, ma possiamo riconoscere i pezzetti del puzzle che lo compone, possiamo individuarli e, anche se non riusciremo a ricostruirlo in un unico corpo, possiamo contrastarlo, sconfiggendo (ah, la guerra!), colpendo le piccole o grandi parti, non pensando (più) di poterlo colpire al cuore, con un’unica freccia risolutiva.
Ma, per farlo, dobbiamo avere un noi, tenendo presente che sarà inevitabilmente multiplo e molteplice, complesso, irriducibile e non semplificabile.
Noi però siamo già così, possiamo già riconoscere i nostri mille colori e i nostri mille corpi, con le nostre mille teste, mille cuori, ecc.. Dobbiamo “solo” farlo: riconoscerlo e riconoscerci, procedendo per sintesi temporanee, stabilendo qual è la rotta e quale sia il modo più utile per arrivare in porto, o per continuare il viaggio oltre qualsiasi colonna d’Ercole… garantendoci in primo luogo che ci sia ancora un mare.

 

Redazione
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4 commenti

  • ..noi dobbiamo soprattutto credere che la gente si puo appassionare convincere sorprendere svegliare … Aggiungo che…facciamo tre passi e l’Utopia si allontana di tre passi…ne facciamo dieci e l’Utopia si allontana di dieci passi…allora…a che serve? Ad imparare a camminare… e magari a non dimenticare che possiamo nuotare. E volare.

  • Io c’ero. La cosa che più colpiva erano le facce deluse desolate
    di ragazzi d’ogni età hai quali era stata guastata la “festa”.
    canti, balli e maschere: “pacifiche sacre rappresentazioni”.
    Poi…sono state anche dette menzogne “Utili”
    per quanto riguarda il numero dei manifestanti “VIOLENTI”.
    si trattava di pochi, centinai e non migliaia.
    In ogni caso, veri o falsi, unici ad avere senso
    e coerenza con l’idea di contestazione.
    Risposta minima dimostrativa ad un sistema:
    ” usuraio e usurato che sopravvive ormai solo di morte”.
    Invece I tanti erano gli altri, sbandati, fuggiaschi, stupiti.
    protagonisti della patetica manifestazione autorizzata,
    indignati-pacifici, tragica contraddizione in termini.
    In ogni caso, su di loro, la “dittatura del consumismo
    ci ha guadagnato ancora una volta.
    Mi piacerebbe sapere e non penso sia difficile ipotizzarlo
    approssimativamente, tra viaggi consumi ecc..
    quanto è stato speso per organizzare e rappresentare la farsa.
    In complesso assai più l’utile che dannosa…all’incasso finale.
    Sicuramente alla necessità di cambiamento reale radicale,
    non a caso se si vuole parlare di “qualcosa” si dice rivoluzione
    e non riformismo, hanno risposto adeguatamente,
    se pure in forma simbolica, proprio i terribili “trasgressori”
    che si sono opposti tutto sommato, se pure minimamente,
    ad un’evento ludico-consumistico-pietoso-qualunquistico-individualista che…
    se pensiamo di cambiare il mondo in questo modo
    non si va davvero da nessuna parte,
    se non a portare piccoli contributi a chi si avvale
    di chiunque spenda denaro se pure in miserabili viaggi, panini e bevande.
    E tra l’altro, aggirandomi in zona ancora per ore,
    sempre schiava del dannato vizio, pensavo…
    chiunque essi siano, anche se assoldati nell’ottica ben nota della strategia della tensione (non a caso in questi giorni si piagnucola di ritorno al terrorismo)
    in ogni caso da qualunque parte vengano, anche questi pochi,
    sono pur sempre figli, consapevoli o inconsapevoli,
    di universale ingiustizia.

    Sarina

  • NEL REGNO DELL’AVERE,AL TEMPO DELL’UFFICIALIZZAZIONE DEL NULLA,CHI ASPIRA AD ESSERE NON PUO CHE ESSER CLANDESTINO. Sarina Aletta, edizione de “La strage di stato” 1994 in Memoria di Marco Ligini Edoardo Di Giovanni,Edgardo Pellegrini. TI ADORO Sarina. Marco Pacifici.

  • a proposito di informare-convincere-conquistare la maggioranza, sento in radio da ieri che l’Europa e la Borsa (una specie di drago a due teste e con un cervello solo) sono preoccupati-affranti-inferociti perchè in Grecia si farà (si vorrebbe fare, poi vedremo) un referendum, cioè far decidere il popolo.
    E’ tutto chiaro?
    (db)

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