Marte-dì: l’arte di narrare spiegata agli “alieni”
1) su «F&S» svetta Simak; 2) Colin Wilson e i vampiri sexy; 3) Dick? Roba per bambini; 4) Giulia Abbate, notturna; 5) Il robot che scrive è arrivato; 5 bis) Ho detto «Robot»?
1.
In edicola il numero 15 di «Fantasy & Science Fiction» (160 pagine per 5,90 euri): è un buon numero con due meraviglie ed entrambe sull’arte del narrare; curiosamente – o una scelta del curatore italiano? – una è fantasy che più non si può e la seconda fantascienza, sia pure con il tocco del poeta.
Conosco poco Eleanor Arnason ma questo suo breve «Le storie raccontate al cielo» è uno scrigno: ci ricorda che ogni storia nasce dall’esperienza per poi volare su aquiloni, perdersi nel vento arrivando chissà dove, poi ricchi e poveri ne chiedono un’altra e un’altra ancora. «Aveva molte nuove storie, imparate al mercato o messe insieme mentre camminava per le strade della città. Laggiù ogni cosa sembrava generare storie: la polvere, il rumore, gli odori, la gente che viveva in strada e le massaie. Carovane di cammelli portavano racconti da posti lontani ». Rondine, la protagonista «faceva domande e origliava alle discussioni, prendendo appunti: il mondo era pieno di aneddoti, racconti, favole».
Persino più bello come idea (la scrittura invece qua e là arranca) «Orizzonte», il lungo racconto – o forse romanzo breve – di Clifford Simak con la Terra strapiena di storie quanto l’universo ne è vuoto. Capirete bene quanto sono preziosi gli umani essendo l’unica razza capace di produrre «un flusso ininterrotto di letteratura»; naturalmente i terrestri hanno un segreto ma sarei un boia se ve lo rivelassi, giusto? Così «le nostre parole stanno arrivando più lontano di quanto possono arrivare le nostre navi siderali». Purché … le storie che raccontiamo siano generate dal pensiero e dalla prassi anziché da automatismi; e vi rimando sotto, al punto 5.
E’ quasi trooooooppo romantico ma geniale, pieno di metafore indispensabili questo «Orizzonte» di Simak: titolo originale «So Bright the Vision», la rivista non indica una data e non ho voglia di cercarla. Ma leggendo scoprirete che l’anno chiave è il 1956 quando «uno scrittore di fantascienza aveva avuto una visione ispirata». E forse «era questa la vera grandezza della razza umana, la grandezza di immaginare qualcosa, che col tempo, sarebbe diventata vera e reale?». Al riguardo – intendo sul 1956 nonché sul punto interrogativo che chiude la frase precedente – si accettano, in ordine alfabetico, commenti, ingiurie, notizie, puntualizzazioni, reclami, scommesse, zuccheri filati.
2.
Urania collezione ripropone – 248 pagine per 6,90 euri, traduzione di Doris Cerea – il romanzo «I vampiri dello spazio» di Colin Wilson, datato 1976 eppure mi era sfuggito. Fino a metà del libro pensavo: il titolo dice tutto, lo schema è deja vu, a parte il pirata turco Piri Reis di straforo siamo dalle parti della fantascienza “mostro in fuga, acchiappiamolo, corri qua e corri là”. Invece nella seconda parte il libro sfugge ai cliché dell’avventura spaziale “draculizzata” per ben ingarbugliarsi intorno a temi non da poco: quanto vampirismo, in senso stretto e metaforico, c’è nella sessualità e nelle relazioni? E quanta energia vitale si succhia e si dona nell’intreccio dei corpi e delle menti? Allargando un filino il discorso: ci bastano termini come telepatia, plagio, gestalt, sadomasochismo, fusione, empatia per descrivere alcuni fenomeni che ruotano dalle parti di “sesso, amore e x”? Ricordo, in altri contesti molto tempo fa, alcune accese discussioni sul vampirismo, attivo e passivo, nei rapporti interpersonali: sorprendente che alcune persone capiscano al volo mentre altre cadano veramente dalle nuvole… Siamo una sola razza, si sa, ma con diversità enormi da un essere umano all’altro: e naturalmente viva la differenza. Ma sto andando fuori tema, dunque stop.
Il finale del romanzo è incasinatissimo, dubito che persino Colin Wilson lo abbia capito, perlomeno sulla base di uno scritto «pubblicato il 26 gennaio 2112». Nota buffetta: uno dei protagonisti de «I vampiri dello spazio» si chiama Hans Fallada, come il grande romanziere tedesco.
3.
Apprendo da un’agenzia che sabato e domenica al teatro India di Roma è andato in scena «Astronave 51», liberamente tratto da «Nick e il Glimmung» di Philip K. Dick, il suo unico romanzo per ragazzi. Scritto e diretto da Caterina Carpio e da Alice Palazzi, in scena con Fortunato Leccese, lo spettacolo è stato finalista del “Premio scenario infanzia 2014”. Mannaggia, me lo sono perso: se qualcuna/o fra voi lo ha visto mi racconta l’effetto che fa?
4.
«Nella notte tra venerdì 8 e sabato 9 aprile, ho partecipato alla diretta di “Notturno” di Radio Popolare. È stata un’esperienza che all’inizio mi ha spaventata un po’, ma che si è rivelata bella e stimolante». Così inizia il bel resoconto Giulia Abbate, secondo me commettendo un errore di 24 ore – era la notte prima – ma per il resto ben raccontando un “notturno” (titolo asimoviano, sì) di fantascienza “ecologica” nel quale sono stato coinvolto anche io dall’ottimo Renato Scuffietti. Qui potete ascoltare tutto o quasi: studio83.info/blog/2016/04/una-notte-a-radio-popo…x 195.182.210.184
Come scrive Giulia saggiamente: «La fantascienza è un pretesto, un pretesto gigantesco per parlare di noi. Del nostro tempo, delle nostre debolezze e di futuri possibili. Alcuni allettanti, altri meno. La fantascienza a volte è l’unica voce che si occupa di tutto ciò».
Dalle parti di studio83 ci saranno sviluppi martedìzzabili?
5.
Vi piombo ora dentro un bell’articolo di Caterina Pinna, uscito il 2 aprile nelle pagine cultura del quotidiano «L’unione sarda»: anche qui sono stato coinvolto (di cognome faccio prezzemolo?) ma il motivo per il quale lo posto oggi è soprattutto il riferimento al punto 1, l’arte umana” del narrare.
Il giorno in cui il computer scrive un romanzo non solo è arrivato, come dice il titolo del libro sfornato da un piccolo robot giapponese, ma il suo lavoro è stato addirittura selezionato per un premio letterario. Insieme ad altri libri pensati e scritti dagli umani. Questo vuol dire che l’intelligenza artificiale ha superato l’ultimo limite e si è impadronita di quel territorio dove fantasia, cultura, esperienza si intrecciano e si fondono nell’imprevedibile momento di creatività? E ancora, questo cervello computerizzato è riuscito a spazzar via il totem del premio letterario, olimpo un po’ inquinato, al quale accedono gli eletti della bella scrittura?
Dunque, della curiosa e spiazzante notizia del romanzo-bot dal facile titolo autobiografico, bisogna subito dire che ha dentro di sé una buona parte umana. Che la si chiami cuore o programma. Lo rivela Hitoshi Matsubara alla testa del gruppo di lavoro dell’Università del Futuro di Hakodote, padre del robotscrittore.
Il team ha scelto parole e frasi da un romanzo esistente, ha suggerito idee e personaggi per la trama ma alla fine è stato davvero il robot attrezzato di raziocinio artificiale a comporre un testo che ha brillantemente superato la selezione per il premio letterario “Nikkei Hoshi Shinichi”. Concorso aperto a tutti (compresi testi scritti da un software, ma rigorosamente in forma anonima) e dedicato allo scrittore di fantascienza, autore di un profetico romanzo dal titolo “Il robot furbetto”.
Franco Meloni è un fisico-narratore: «Cercavano di farmi capire il senso della probabilità – osserva – dicendo che “in un tempo abbastanza lungo, l’infinito, anche una scimmia, picchiando su una lettera22, avrebbe potuto produrre una tragedia di Shakespeare”. Se un computer vince un bravissimo umano a scacchi, perché non potrebbe, istruito con regole di grammatica e di sintassi, con un vocabolario e con tanto tempo, scrivere un racconto? Il tempo, ora, per i computer, quasi non esiste, data la velocità. Sarò veramente sorpreso, comunque – aggiunge Meloni – di notare un evidente e continuo uso dell’umorismo. Se Oscar Wilde può simulare una macchina, credo, e spero, che non succeda il contrario. Ma non è detto. In quanto ai critici, poverini, sono molto umani, con tutti i difetti di fabbricazione». E conclude: «E se i computer dipingessero, come alcuni scimmioni, sarebbero disastri inimmaginabili. Ma questo è un altro film».
Un passo alla volta. Per ora si fanno i conti con un robot-scrittore, un sofisticato assemblaggio di software ma dotato di quel luciferino acume (artificiale) che lo fa essere addirittura creativo. Ultima frontiera dell’ossimoro.
A metterci in guardia sulla romantica idea di creatività è Franciscu Sedda, docente di Semiotica all’Università Tor Vergata di Roma: «Mi chiederei al contrario – avverte lo studioso – se la nostra creatività è diventata così prevedibile e così di maniera da poter essere “programmata”. E ancora, se questo non ci indica che i nostri gusti si sono fatti così conformisti da poter essere soddisfatti da opere inumane. E infine se questo non ci indica che nei premi letterari è scomparsa la letteratura, ovvero la capacità di raccontare l’imprevedibile, nella forma e nella sostanza. Insomma, o la macchina è riuscita a produrre l’imprevedibile, e allora merita di essere raccontata, oppure siamo noi che non sappiamo più fare narrativamente i conti con l’imprevedibilità».
Segno del tempo. Non è la prima volta che un robot, programmato dagli umani, fa, o prova a fare cose che lo rendono così simile a chi lo ha ingegnosamente costruito. Per tutti, conseguenze incluse, vale l’esempio di Hal, il computer c1B8 a bordo dell’astronave di 2001 Odissea nello spazio. «Se molti esseri umani smettono di amare, di pensare o di scrivere decentemente e sensatamente, perché i robot prima o poi non dovrebbero evolversi?» si chiede Daniele Barbieri, giornalista, autore di un blog, esperto di letteratura di fantascienza. «A leggere alcuni libri “umani” di successo così freddi e automatici penso siano stati scritti dalle case editrici con qualche logaritmo. Sono certo – aggiunge – che prima o poi i robot diventeranno creativi: è nell’ordine dell’evoluzione; mi fanno più paura gli eredi dell’homo sapiens mentalmente arrugginiti.
A fine articolo si inserisce proditoriamente Severo De Pignolis per annotare che il computer c1B8 non è in quel film… ma sul resto concorda anche lui.
5 bis.
Ho detto «Robot»? Capperi devo rinnovare l’abbonamento alla rivista. Anche perché l’illustrazione scelta dall’«Unione sarda» era un androide che legge «Robot». Oltre lo specchio un Oihcceps.