Messico: il business dei parchi eolici…

che calpesta i diritti delle comunità indigene

di David Lifodi

All’inizio di marzo, in Messico, si è svolto il più importante evento dell’industria eolica di tutto il continente latinoamericano: nell’occasione si è dibattuto su energie rinnovabili, riduzione delle tariffe elettriche e potenziamento dell’intero settore. In realtà, il Congreso y Exposición  Internacional Mexico Wind Power 2014 si è caratterizzato come un’iniziativa volta a rafforzare il business dell’energia e dei parchi eolici, che presenta numerosi aspetti oscuri ed ha causato innumerevoli sgomberi delle comunità indigene soprattutto nello stato di Oaxaca, il cui governo ha aperto le porte alle multinazionali del settore.

La maggiore resistenza alle imprese eoliche è opposta dalla comunità zapoteca di Álvaro Obregón, anch’essa nello stato di Oaxaca, che ha dovuto affrontare minacce e veri e propri attacchi militari da parte dei sostenitori dell’”energia del vento”. Innanzitutto, bisogna segnalare che il business dell’eolico è strettamente legato al sistema mafioso-clientelare che amministra la città oaxaqueña di Juchitán. La comunità zapoteca di  Álvaro Obregón, nell’Istmo di Tehuantepec, è riuscita a far fallire, in passato, un mostruoso progetto cementificatore che intendeva installare 132 aerogeneradores. Il progetto, non solo è stato bloccato dall’opposizione armata di centinaia di pescatori e contadini che, machete e pietre in pugno, hanno respinto la transnazionale capofila dell’eolico a capitale misto olandese, australiano e giapponese (con il  sostegno del governo messicano, il finanziamento dell’Unione europea e quello del Banco Interamericano de Desarrollo), ma è fallito nonostante fosse caldeggiato anche dal Partido de la Revolución Democrática (in teoria di centro sinistra), e dalla Coordinación Obrero Campesina Estudiantil del Istmo (Cocei), nata alla fine degli anni ’70 come organizzazione di estrema sinistra. La Cocei, che in passato si batteva per la restituzione delle terre ai campesinos, si è trasformata nel tempo in un’idra dalle mille teste, ciascuna delle quali caratterizzata per la corruzione e il malaffare, fino a rivaleggiare con i perredistas per assicurarsi il maggior lucro possibile per la vendita del territorio istmeño alle multinazionali dell’eolico. Cocei e Prd sono stati presto disconosciuti dalla gente di Juchitán, che ha scelto la strada dell’autorganizzazione comunitaria designando un cabildo. Inoltre, è sorta l’Asamblea de Pueblos Indígenas del Istmo en Defensa de la Tierra y el Territorio (Appiidtt), che ha smascherato la principale multinazionale interessata al business eolico che sta dietro ai politici di Cocei: si tratta della spagnola Unión Fenosa. Del resto, le imprese del settore hanno percepito subito come l’eolico possa rappresentare la nuova frontiera dell’investimento in un mercato dove ancora non è così forte la concorrenza. La Asociación Mexicana de Energía Eólica (Amdee) stima che, da qui al 2018, gli investimenti destinati a produrre energia elettrica tramite il vento raggiungeranno i 12 milioni di dollari, la maggior parte dei quali sarà destinata proprio ai parchi eolici nello stato di Oaxaca. Il ceo dell’Amdee, Adrian Escofet, ha già annunciato di voler portare a termine, entro la fine del 2014, la costruzione di sei parchi eolici nel paese. Il cavallo di Troia per far accettare alla popolazione i parchi eolici sta nell’assicurare che la nuova catena produttiva dell’energia eolica garantirà almeno centomila nuovi posti di lavoro, ma la storia che raccontano l’Asamblea Popular del Pueblo Juchiteco (Appj) e l’Unión de Comunidades Indígenas de la Zona Norte del Istmo (Ucizoni) è tutt’altra. Unión Fenosa, che agisce tramite la municipalizzata locale Gas Natural Fenosa, ha violato in più occasioni i diritti dei popoli indigeni imponendo la costruzione di un parco eolico sul terreno municipale di Juchitán, come testimoniato anche da una missione indipendente di funzionari delle ambasciate di Svizzera, Norvegia e Germania in Messico svoltasi a metà dicembre 2013. Gli stessi funzionari hanno sottolineato la totale assenza dello stato sui tre livelli: federale, statale e municipale. Il business dell’eolico è connesso anche alla costruzione delle centrali idroelettriche. A sperimentarlo, la gente dello stato di Jalisco, che a febbraio di quest’anno è stata costretta ad accettare, suo malgrado, l’inaugurazione del parco eolico Los Altos, situato a 2500 metri sul livello del mare e considerato, appunto, il più alto di tutta l’America Latina. Il forte incentivo all’energia eolica deriva anche dalla riforma energetica appena approvata in Messico, che contiene al suo interno non pochi aspetti oscuri, tra cui l’apertura alle imprese private. Ad esempio Drágon, che fa parte del Grupo Salinas, sostiene per bocca del suo presidente, Ricardo Salinas Pliego, che tutto lo stato di Jalisco godrà dei benefici del parco eolico in termini di occupazione e sviluppo dell’economia. In realtà, di fronte alla minaccia eolica, negli stati di Jalisco, Oaxaca e altrove, si rafforza il sistema di resistenza comunitaria. A proposito della disputa por el viento, Desinformémonos scrive che nello stato di Oaxaca è sorto un vero e proprio cartello dell’eolico grazie al quale il governo ha concesso licenze illegali a imprese spagnole, non solo Unión Fenosa, ma anche Iberdrola e Preneal. Inoltre, la supposta elettricità di cui avrebbe bisogno il paese serve in realtà alle imprese, ad esempio la catena di grande distribuzione Wal Mart, e che il falso mito dell’energia verde e rinnovabile non è comunque servito ad abbassare le alte tariffe elettriche imposte alle comunità, con buona pace della bugia che propagandava i parchi eolici come garanzia per una riduzione del costo dell’energia elettrica. Di fronte alla richiesta di una previa consultazione delle comunità, antecedente alla costruzione dei parchi eolici, gruppi di pistoleros armati sono apparsi nelle assemblee comunitarie con la lista nera dei leader indigeni impegnati a smascherare i veri affari che stanno dietro al business dell’eolico. Il Messico ha venduto, e non da ora, il diritto alla terra e al territorio delle comunità indigene e contadine: per far spazio ai parchi eolici è stata vietata la pesca artigianale, tagliata l’acqua e la luce alle famiglie coinvolte nella lotta, fino all’esclusione dei figli dalle scuole delle comunità.

L’ultimo caso di corruzione ha riguardato la cacciata del presidente municipale di Juchitán, il perredista Saul Vicente, espulso a furor di popolo dalle comunità indigene eppure, paradossalmente, funzionario Onu per le questioni indigene, a cui nega il diritto all’autodeterminazione. Nonostante tutto, i movimenti contro le transnazionali dell’eolico stanno portando avanti una battaglia che, tra mille difficoltà, hanno dimostrato di poter vincere, alla faccia dei diktat della crescita economica e di un nuovo tentativo, come in occasione dell’ingresso del Messico nel Nafta, il 1 gennaio 1994, di far vedere  che basta compiacere le grandi imprese per illudere che questo paese è in grado di stare nel primo mondo. In realtà, il Messico sarà un paese davvero degno di merito quando garantirà il diritto alla vita di indigeni e contadini, finora sempre disprezzato e calpestato.

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