Morte accidentale di una fabbrica

testo di Giuliano Bugani

Dumping sociale. A vent’anni di distanza, la nuova definizione è: delocalizzazione. Ma tutto è come prima. Peggio di prima. Le fabbriche chiudono. Anzi riaprono. Lontano da dove sono nate e cresciute. La Fini Compressori di Zola Predosa, in provincia di Bologna, e l’OMSA di Faenza, in provincia di Ravenna, chiudono. Riaprono. Delocalizzano. Lavoratrici e lavoratori senza lavoro. Un disegno globale. Nel quale ogni singolo attore ha una responsabilità. Gli attori recitano. Ma qui tutti sono attori. Senza saperlo. Qualcuno invece, sa di esserlo. Qualcuno recita la sua parte. Di parte. Nuovi attori entrano nella commedia. Ma chi ha scritto come andrà a finire, non recita. Lascia recitare gli altri. E ad ogni pagina della commedia reale, si dipana sempre più la mano di chi scrive.

Tutti urlano e rivendicano una giusta fine. Un federalismo grottesco cerca di nascondere il finale. Ma sono gli altri che recitano. E si sa. Ogni commedia è destinata a finire.

Questo è il foglio di sala. Poi inizia la storia.

Una fabbrica può morire? Una fabbrica, se può morire, vuole dire che ha vissuto. Può una fabbrica vivere? Io non so dire queste cose. Io sono un operaio. Io sono un proletario. Io sono anche uno che scrive. Io scrivo. Io racconto storie che mi prendono la mente. Io ho in mente delle storie. Ma principalmente sono un operaio. Mio padre era operaio. Mio nonno era operaio. Ho molti amici operai. Gli operai stanno dentro le fabbriche. La mia città è una città di fabbriche. Anzi, la mia città era, una città di fabbriche. Ho visto fabbriche morire. Ammesso, che una fabbrica possa morire. E lentamente, la mia città ha cominciato anche lei a morire. Ammesso che anche una città possa morire. Sicuramente ti posso dire che ho visto fabbriche, vivere. E sì. Perché di sicuro le fabbriche vivono. E anche la mia città ha vissuto. I miei amici, operai, hanno vissuto. Dentro le fabbriche. Dentro la mia città. Ho visto fabbricare cose. Ho visto fabbricare case. Ho visto fabbricare tante cose. Ho visto gli operai la sera, quando uscivano dai cancelli. Ho visto le cose che fabbricavano. Le ho usate. Ho vissuto usando le loro fatiche. Poi, anch’io sono entrato attraverso quei cancelli. E come loro uscivo la sera. La fabbrica ha un padrone. So che è una parola fastidiosa. Ma le cose stanno così. La fabbrica, ha un padrone. E se muore la fabbrica, muore anche il suo padrone. No. Non è così. Se muore la fabbrica, il suo padrone resta un padrone. Eventualmente di un’altra fabbrica. Per il padrone di una fabbrica, quelle mura, quelle pareti, le porte, le sue finestre, i suoi cancelli, la recinzione che per decenni magari l’ha protetta, è solo ferro. E’ solo cemento. Per il padrone di una fabbrica, la fabbrica non vale niente. Sentimentalmente intendo. Lui non esce dai cancelli. Lui esce dalla porta della direzione principale. Lui gli operai, spesso non li conosce nemmeno.

La fabbrica non vale niente, dal punto di vista sentimentale, appunto. Sentimentale. Dall’ altro punto di vista, invece, per il padrone, la fabbrica… vale. Eccome se vale. Ma forse devo partire dall’inizio. Si perché, c’era una fabbrica, una volta, che prima di diventare così grande, era un ‘ altra cosa. Una cosa bella, ma piccola. A Bologna c’è una strada, che si chiama via Ferrarese, e lì, da qualche parte, c’era una cantina. Sotto un palazzo. E lì sotto, c’erano persone che lavoravano. Era il 1952, un signore, Fini, un piccolo artigiano, si era messo in testa di fare dei compressori d’aria. C’erano, lui, la moglie, e altre tre persone. Rimase in quella cantina un paio di anni. E le cose le faceva così bene, che dopo diversi anni trasferì la sua piccola azienda nel comune di Zola Predosa, in provincia di Bologna. Comperò una piccola area in via Rosselli 12, e fece il primo stabilimento della Fini Compressori. Erano gli anni ’70. Da poco era stato conquistato lo Statuto dei Lavoratori. Tanto per farti capire, quello che costruì l’ Articolo 18. Dirai: cosa c’entra con la storia della Fini Compressori?… C’entra, c’entra. Ti dicevo, erano gli anni ’70. A contrastare le conquiste dei lavoratori, ci si mise di mezzo però il ’77. La grande protesta studentesca e operaia che lanciava le prime contestazioni a sindacati e sinistra moderata. Il ’77. La morte di Francesco Lo Russo, Giorgiana Masi. I carri armati a Bologna. E poi i neofascisti da una parte e le Brigate Rosse dall’altra. Il mondo stava cambiando rapidamente. Noi non ce ne siamo mai accorti. Eravamo come… addormentati.

Ci svegliammo quel 2 agosto del 1980. Ma ormai era troppo tardi. Intanto, le fabbriche crescevano. Cresceva la Fini Compressori. Da azienda artigiana, diventa industria. Un nuovo contratto. Diritti. Solidità. Sicurezza del proprio futuro.

( Intervento musicale)

Fascisti che c’ erano. Fascisti che ci sono. Un’ altra storia. Storia di un’ altra fabbrica. Storia di tanti anni fa. Storia di pochi giorni fa. OMSA, di Faenza. Provincia di Ravenna. Il conte Mangelli era il proprietario della OMSA. Era della città di Forlì. Come Benito Mussolini. Il conte Mangelli era una grande amico di famiglia del Duce. Ci sono documenti che scrivono di grandissime somme di denaro elargite al Governo Fascista, da parte del conte Mangelli. I soldi per i fascisti, ci sono sempre. Fascisti che c’erano. Fascisti che ci sono. Ma di questo ti dirò dopo. E a Forlì di soldi ce n’ erano pochi. Per la gente come me. Come te. E dopo ti dirò di quando il personale veniva trovato con il ricatto della povertà. Storia di tanti anni fa. Storia di pochi giorni fa. E’ il 1940, epoca fascista. L’amministrazione comunale di Faenza è governata dal Podestà fascista, Berti. Podestà.

Massima rappresentanza locale del fascismo. Il calzificio OMSA nasce a Faenza nel 1941, su iniziativa del conte MangelliLe maestranze, mal retribuite, sono in prevalenza donne, ragazze, contadine. Costrette a lavorare a ritmi elevatissimi, vengono ricattate e licenziate con estrema facilità. Una storia di ieri… Una storia di oggi. L’ OMSA, in soli dieci anni arriva ad essere una delle massime aziende italiane di calzifici. Nel 1944 era stata chiusa in seguito ai bombardamenti, e solo grazie al contributo delle lavoratrici, nel 1950 riprende l’attività e produce 3.600 dozzine di calze. Sono presenti 750 dipendenti. Siamo tra gli anni ’50 e gli anni ‘ 60. Si lavora a cottimo. Fascismi di ieri. E’ nell’ inverno 1962-63 che i sindacati e le lavoratrici chiedono di contrattare il salario. Il conte Mangelli, offre una quota da ripartire tra tutte le sue aziende. Le lavoratrici rispondono con la lotta sindacale.

( Intervento musicale)

Il conte Mangelli ricorre alla serrata, e licenzia sessanta lavoratrici. Le risposte del conte Mangelli sono sempre una sorta di rappresaglia. Fascismi di ieri. Eppure il conte Mangelli, i soldi per il regime fascista li trovava sempre. Eccome se li trovava. Lo finanziava. Lo foraggiava.

Ma pagava il fascismo o pagava i fascisti? Non è la stessa cosa. Può sembrare, ma non lo è. Intanto alla OMSA prende sempre più forza la coscienza operaia ed è nel grande movimento del ’68, che l’ OMSA raggiunge uno dei risultati sindacali più importanti a livello nazionale. Le risposte del conte Mangelli, ogni volta, ogni volta, davanti ad una vittoria sindacale dei lavoratori, sono ancora rappresaglie. La crisi che coinvolge l’OMSA all’ inizio degli anni ’70, dovuta a mancanza di ammodernamento dei macchinari, porta la prima Cassa Integrazione nella fabbrica. Il 22 marzo 1973, si svolge a Faenza la più grande manifestazione operaia della storia faentina: 15.000 persone scendono in piazza in solidarietà con le lavoratrici dell’ OMSA. Tutti i comuni limitrofi, le categorie dei commercianti, tutte le categorie di lavoratori, il movimento studentesco, i sindaci. Nella trattativa, a rappresentare l’ OMSA, il marchese Rodino. Annuncia l’ intenzione di licenziare 257 lavoratrici e lavoratori. Tra i licenziati, tutti gli attivisti sindacali, donne con figli a carico, lavoratori più anziani. La lotta dell’ OMSA si sposta a Milano. Nel frattempo, lo stabilimento distaccato della OMSA di Fermo, che doveva assumere 3000 dipendenti, ne conta solo 500, e tutti in Cassa Integrazione. Dopo poco tempo, lo stabilimento di Fermo chiuderà completamente.

( Intervento musicale)

Fini intuisce da subito l’ importanza del mercato italiano in forte sviluppo. Soprattutto per un prodotto come quello che ha creato. Diventa Agente di sé stesso. Gira l’ Italia, L’ azienda cresce ancora. Il mercato vuole il suo prodotto. Il Sud. Il Sud, pensa. Una parte dell’ Italia che sta crescendo più velocemente di altre zone. La Puglia. Una regione fortemente sviluppata industrialmente. Un potenziale commerciale enorme. Fini decide di andare ad una importante Fiera proprio là, in Puglia. Ma le cose a volte sono a metà della nostra strada. Noi siamo in mezzo. Gli siamo in mezzo. E allora se non ci svegliamo in tempo, rischiamo di terminare il sogno troppo in fretta. Fini muore in un incidente stradale, e il suo sogno, finisce. L’azienda riesce a mantenere il filo della ragione con la presa della direzione da parte della moglie, la signora Maria Gubellini. L’azienda avverte il colpo, ma nella direzione aziendale ci sono anche uomini capaci. Il direttore dell’ Ufficio Tecnico Zecchini, il Direttore Generale, Montanari, e il Direttore di Produzione, Mattei. Buoni direttori, sì, ma dove va un azienda se non ci sono buone mani a produrre? E se le parole hanno un senso, se ti dico direttore di produzione, bè, produzione sta per lavoratori. O no? Le cose vanno bene. L’ azienda continua a crescere, e nel 1983, la famiglia Fini acquista un terreno in via Vignoli, nel comune di Zola Predosa. Costruisce uno stabilimento nuovo e vi trasferisce una parte della produzione di via Rosselli. Dopo dieci anni, la Fini Compressori è l’azienda leader nel mondo.

(Intervento musicale)

Trecentocinquanta sono le persone che ci lavorano. La Fini Compressori riesce addirittura ad assorbire altre aziende del settore: la COMARIA, di Sala Bolognese e la DARI., di San Lazzaro di Savena. Servono spazi nuovi. Intorno al 1995, l’Amministrazione Comunale di Zola Predosa vende un grande appezzamento di terreno alla famiglia Fini. Una grande area verde, dove ci sono campi e aree sportive improvvisate. Tantissimi ragazzini passano i pomeriggi a giocare a pallone. Ma l’azienda vuole ingrandirsi. Potrebbe andarsene altrove. E per un comune, un’ azienda è importante. Molto importante. Lo è per i cittadini, che ci lavorano. Che ci pagano le tasse. Meno pallone e più compressori allora. Ma il terreno è pubblico. Ma il terreno è dei cittadini. Ma il terreno, però, lo compra l’azienda. Anzi, lo compra Fini. A prezzo agevolato. Ma ad un patto: l’azienda non dovrà mai andarsene via da questo comune. L’accordo viene sottoscritto da Azienda e Comune di Zola. L’ area è compresa tra via Toscana e via Lazio. Te l’ ho detto però prima, le cose a volte sono a metà della nostra strada. E noi siamo in mezzo a quella metà. E alla fine degli anni ’90, il Direttore Generale, Montanari, muore. La direzione dei figli Carla e Marco si alternano. Ma sono due visioni molto diverse riguardo la conduzione di una grande azienda, qual è ora la Fini Compressori. Nel 2002, una parte dello stabilimento di via Rosselli, viene venduto. E’ il segnale. Qualcosa comincia a non funzionare come dovrebbe. O almeno come era andato fino a quel momento. Finisce il frutto del lavoro del Direttore Generale Montanari. Le cose a volte sono a metà della nostra strada. Il declino ha inizio. Adesso c’è un nuovo Direttore Generale, il dottor Panza, ma le redini le tiene, ben salde, Marco Fini.

(Intervento musicale)

Nel 1976, il conte Mangelli cede l’ OMSA all’avv. Gotti Porcinari. Per i dipendenti sono nuove pene. L’avv. Gotti Porcinari non paga le lavoratrici e i lavoratori e si avvarrà dell’amministrazione giudiziaria chiedendo il licenziamento dei dipendenti. Dopo un non troppo lungo iter giudiziario, l’avvocato Gotti Porcinari finirà condannato e entrerà in carcere. Un nuovo acquirente rileverà lì OMSA, sono i titolari di un altro colosso, la Golden Lady. I fratelli Grassi. Riassumeranno 300 dipendenti, ma 240 resteranno fuori. Nel 1991, l’OMSA-Golden Lady, deve ammortizzare il crak dell’avvocato Gotti Porcinari, 170 miliardi di lire. L’operazione riesce. L’ OMSA è temporaneamente salva. Il nuovo titolare, Nerino Grassi, rinnova le macchine della produzione, circa 10 miliardi. Costruisce uno stabilimento nuovo, circa venti miliardi. Il 10 % della produzione nazionale di calze è della nuova OMSA. Ma a metà del nuovo decennio del nuovo millennio, un nuovo campanello d’allarme. L’azienda di Fognano, nel 2004 , la Texline, che lavora come indotto per l’OMSA, licenzia 70 dipendenti. E chiude. Nel 2007, Grassi decide di chiudere anche lo stabilimento OMSA di Faenza. Quasi 400 posti di lavoro. Ed è proprio in questo periodo che Grassi chiede all’ amministrazione comunale di Faenza di trasformare l’area dove ha sede l’ OMSA. Il sindaco spiega che ci sono difficoltà e tempi lunghi. Poteva dire che era contrario. Invece parla di tempi lunghi. Tempi lunghi. Cosa significa? Che si può fare?

(Intervento musicale)

Nel 2005, anche l’ altra parte dello stabilimento di via Rosselli, viene definitivamente venduta dalla proprietà Fini. Non ci vuole molto a capire che il rischio di crisi interna arrivi in fretta. Più in fretta di quanto ci si può aspettare. Ci sono lavoratori che lasciano l’azienda. Chi va in pensione non viene sostituito. Blocco del turnover. Zone di produzione intasate dall’accumulo di materiale, in quanto le aree di altri stabilimenti, sono stati appunto venduti. Insomma, dov’è la Fini Compressori di soltanto pochi anni fa? Nel 2008, il declino inesorabile mostra la sua faccia più vera: Cassa Integrazione a rotazione per cento lavoratori, fino alla fine del 2009. Due anni di Cassa. Il magazzino di via Lazio viene messo in vendita, e trasferito in via Toscana, dove c’è Verniciatura, Magazzino Ricambi, Spedizioni Italia, Montaggio Elettrocompressori. Nell’ ottobre del 2009, le Rappresentanze Sindacali Unitarie, firmano un accordo con Azienda e Regione, il quale prevede sei mesi rinnovabili di sei mesi in sei mesi. Ancora nel 2009, lo stabilimento di via Vignoli, viene venduto e tutto viene trasferito in via Toscana. Te l’ ho detto. Segnali. Segnali fin troppo evidenti. I lavoratori hanno capito. Tutti, hanno capito. Dove si andrà a finire. Come, si andrà a finire. Ma si fa finta che niente stia accadendo. I lavoratori che denunciano i propri timori vengono quasi emarginati. Si cerca di nascondere la testa. Ma la testa, quella finanziaria, sono le Banche. Le Banche, sono il braccio armato del Capitalismo. Ma c’è un altro soggetto in tutta questa storia del quale non ti ho ancora parlato: NUAIR, un azienda di Robassomero, in provincia di Torino, con 750 dipendenti, e nove sedi nel mondo, da Shanghai a Hong Kong, agli Stati Uniti, in Europa e Est Europeo. E sai cosa produce: compressori. Con un fatturato di circa 200 milioni di euro all’anno.

(intervento musicale)

Soldi. Tanti soldi. Che entrano ed escono, dalle banche. E dai paesi. Non so se le cose stiano come ti dirò, ma ho la sensazione che dietro ogni cosiddetta ristrutturazione aziendale, ci siano loro. Le Banche. Sai cos’è una Ristrutturazione: è quando licenziano i lavoratori per speculazioni economiche. Ristrutturazione è una parola che non fa male. A nessuno. Non è che piace, ma almeno ti fa sembrare di non capire cosa ti accadrà di lì a poco. E così te ne stai tranquillo. Con la testa sotto. Nel buio. A non vedere. Loro, le Banche, invece, ci vedono. Ci vedono bene. Eccome se ci vedono. Sentono l’odore, come avvoltoi.

(Intervento musicale)

Siamo nel 2009. Grassi mette in cassa Integrazione Ordinaria 356 lavoratrici e lavoratori per 43 settimane, fino al 16 gennaio 2010. Dopodichè scatterà automaticamente la Cassa Integrazione a zero ore. E qui comincia un’altra storia. Una storia di nuovi fascismi. Fascisti che c’erano. Fascisti che ci sono. E dalla storia di tanti anni fa, alla storia di pochi giorni fa. Fascisti. Di oggi. Un gioco. E’ tutto un gioco. Ci sono cose che cominciano a essere cose che non sono normali in un’ azienda. Io non ti so dire se è un gioco.

Ma proprio quando alla OMSA, nel 2009 viene comunicato che si farà Cassa Integrazione quattro ore al giorno, per un periodo molto lungo, nello stesso periodo trasferiscono a Casal Moro, in provincia di Mantova, nell’azienda del gruppo di Grassi, la Filo d’ Oro, il materiale del Magazzino Spedizioni della OMSA di Faenza. Filo d’ Oro? No filo nero. Un sottile, lungo, filo, nero. Eppure alla OMSA la qualità è elevatissima. Il prodotto della OMSA è riconosciuto da tutti, come il prodotto migliore nel commercio mondiale. No. Te l’ ho detto. Un lungo, sottile filo, nero. Questo lega i destini delle due aziende. Il sindacato, da parte della CGIL mette in allarme le lavoratrici. La CISL invece, rassicura. State tranquille, dice. State tranquille. Ma si arriva alla fine del 2009.

( Intervento musicale)

E’ Natale. L’ azienda comunica che si passerà alla Cassa Integrazione Speciale. Regalo di Natale. Il 9 gennaio la risposta delle lavoratrici è una grande manifestazione. La lotta viene organizzata con il passaparola. L’ 11 gennaio 2010 arrivano i camion per portare via materiale e macchinari. Le lavoratrici si organizzano e organizzano un presidio sui cancelli della fabbrica. La manovra dell’azienda viene rispedita al mittente. I camion ritornano indietro. Vuoti. Il presidio ha successo. Il sindacato e le lavoratrici e i lavoratori hanno vinto. Per ora. Ma è chiaro che la premeditazione dell’azienda è un calcolo tragico.

L’azienda OMSA di Faenza deve essere chiusa. A tutti i costi. Il filo nero. Ricordi? Un filo nero che non si ferma a Mantova. Ma di questo ti dirò dopo. Operaie e sindacati organizzano per il 16 gennaio una manifestazione a Faenza. Partecipano onorevoli, parlamentari, sindaci, rappresentanti di Provincia e Regione. Una delegazione della OMSA ottiene un incontro con il Ministero a Roma, per febbraio. Forse siamo a una svolta. Forse l’hanno capito, anche a Roma, che l’OMSA è una risorsa nazionale. E’ un prodotto italiano. Tutto italiano. Forse l’hanno capito… Invece non hanno capito un cazzo.

(Intervento musicale)

Piano asseverato. Un’ altra bella parola. Questa fa ancora più sensazione dell’altra. Questa è una bella parola. Sembra quasi che ti stiano per dare un piatto asservito. Stia tranquillo. Sembra che ti dicano. Piano Asseverato. Chiaro, la mia è una domanda: non sarà che le banche danno liquidità in caso di emergenza aziendale, in cambio chiedono licenziamenti dei lavoratori? Non sarà che il padrone, altra bella parola, ha trovato l’ occasione per guadagnare ancora di più? Come? Dirai tu. Memoria. Serve memoria. Senza memoria non si va da nessuna parte. C’ è un’altra parola che ti voglio dire: Dumping Sociale.

Mai sentita? Questa parola fece la comparsa all’inizio degli anni ’80, quando un’azienda del Nord della Francia, decise di trasferire l’intera produzione in Gran Bretagna. Governo Tachter. E’ una Gran Bretagna che nessuno ricorda più. La guerra contro l’Argentina per il dominio delle isole Falkland. Le leggi liberiste che fanno raddoppiare la disoccupazione e tagliare i salari. Lo sciopero della fame e la morte del leader dell’ IRA, Bobby Sands. E allora l’azienda francese decise di produrre in casa della Tachter. Costi di produzione eliminati, diritti lavoratori eliminati. Quella fu la prima volta di quella che oggi chiamano delocalizzazione. Nessuno, anche allora, dichiarò emergenza. Tutti con la testa nel buio. Nascondere e evitare di parlare di questo, fu un tuttuno. Sono passati molti anni, è vero, siamo cresciuti, ma la strada era già spianata. E noi, eravamo in mezzo. Noi, eravamo come Fini, sulla strada per la Puglia.

( intervento musicale)

Il 25 febbraio, durante l’incontro tra delegazione OMSA, e Governo, e Regione, vine comunicato che l’ OMSA chiude. Non ci sono soluzioni. Ma come non ci sono soluzioni? Dov’è il tuo federalismo del cazzo?… Unica soluzione prospettata la Cassa Integrazione Speciale per altri due anni. Grazie Roma.

Grazie a tutti. Grazie del vostro federalismo. Grazie della vostra merda. Grazie della fine di questa azienda. Della sua fine… qui…in Italia. .Perchè grazie al tuo federalismo… Grassi se ne va… federalismo del cazzo, il tuo. Cosa resta da fare allora? Sembrava che qualcosa cambiasse nell’ unità delle lavoratrici e dei lavoratori della OMSA. Che l’ unità fosse una costante ormai conquistata. Ma le cose non stanno così, come le sogniamo noi. Perché questo è un sogno. Tutto questo è un grande sogno collettivo che sta finendo male. Adesso bisogna decidere se continuare la lotta … o se accettare l’accordo, per la chiusura. Le lavoratrici non ci stanno. Ma la CISL preme per la firma. Comincia a fare pressioni sulle dipendenti e manda degli SMS sul cellulare delle lavoratrici per indurle ad accettare l’accordo. Ma quale accordo vai parlando? Qui il lavoro c’è! Qui si lavora, si produce. Le commesse di lavoro ci sono. Perché dobbiamo accettare la Cassa Integrazione Speciale per due anni e poi chiudere quando il lavoro c’è? Te l’ho detto prima… il filo nero. Fascisti di ieri. Fascisti di oggi.

(Intervento musicale)

Viene indetta un’ assemblea, nella quale si dovrà decidere cosa fare. Ma qualcosa non va come deve andare. Questa non è un’ assemblea come le altre. Partecipano persone che non fanno parte della OMSA. Sono i mariti di una parte delle lavoratrici che vogliono firmare l’accordo tra Governo e Azienda. Hanno paura di essere in minoranza, e hanno chiamato mariti e amici. Una manovra di qualcuno che sta complottando. Il filo nero… te l’ho detto. Ma adesso bisogna fare in fretta… Non c’ è tempo da perdere. Viene indetta una nuova assemblea con le firme delle sole lavoratrici e lavoratori dell’ OMSA. Questa volta non passeranno gli estranei. Il filo nero… La CISL ripete la manovra degli SMS ai cellulari delle dipendenti. Ma questa volta la strategia della CISL non passa. La votazione avviene per scrutinio segreto. Si scatena il finimondo.

(Intervento musicale)

E adesso siamo qui. Con il braccio armato del capitalismo che ci chiede il conto. Non state in mezzo alla strada, sembra ci voglia dire. State ostruendo il traffico. State ostruendo il mercato. Banche. Piano Asseverato. Ristrutturazione. Dumping Sociale. Delocalizzazione…Licenziamento.

Com’è possibile? Com’è possibile tutto questo? I casi sono due: o ci facciamo impallinare stando fermi con le spalle al muro… o al muro ci mettiamo qualcun altro. Che non siano i lavoratori. Serve però memoria. Memoria. Te l‘ho già detto un’altra volta. Senza memoria non farai mai niente. Non andrai mai da nessuna parte. Memoria… Va bene. 1995, l’ Amministrazione comunale di Zola Predosa vende un grande appezzamento di terreno alla famiglia Fini. Un grande appezzamento di terreno, a prezzo agevolato. Te lo ripeto, a prezzo agevolato. E in cambio ottiene che la produzione del prodotto dovrà restare in questo comune. Memoria. Gli uomini d’ onore mantengono i patti. Sai cosa mi diceva, durante il servizio militare, un compagno di Napoli: esistono tre tipi di uomini al mondo, Omme, Mezzomme e Omme emmerda!

( Intervento musicale)

Sotto la direzione di Marco Fini, che aveva sottoscritto il patto con l’ Amministrazione Comunale di Zola, la Fini Compressori apre un azienda in Cina. OmmeMezzomme… Cina. E il prezzo agevolato? Spiacenti. Se n’ è andato in Cina pure quello. Dumping sociale, per il portafoglio.

Per il comune di Zola. Per i cittadini di Zola. Per i contribuenti. Mi piace questo Capitalismo. Fatto con i soldi del pubblico. Bè, in Italia è così che funziona, soldi pubblici, capitali privati. E quando non basta nemmeno questo, soldi pubblici e capitali, all’estero, Con i soldi di casa…nostra…ovviamente. Mio padre se lo diceva sempre “Abbiamo sbagliato tutto. Noi, lavoratori non abbiamo mai capito niente”. E già, mi sa che aveva ragione. L’ omme emmerda fa il capitalismo. E le leggi? E i governi? E i sindacati? E i partiti? Dove cavolo sono tutte questa gente? Per non parlare poi della Chiesa. Pensa se scoprissimo che nel Mercato c’ è dentro anche la Chiesa. La crocifissione dei lavoratori sarebbe completa. Memoria. Hai un bel da parlare di memoria, mi dirai. Qui smantellano tutto e tu mi parli di memoria. E sì. Io ti parlo di memoria, perché se non ricordo male, la memoria sono anche gli accordi sottoscritti. E allora voglio sapere dove sono le persone che hanno fatto questi accordi. Voglio dire, chi doveva controllare che la produzione doveva restare qui? Chi doveva controllare che gli accordi venissero rispettati? Dov’ erano tutti costoro? Possibile che nessuno si sia mai accorto dell’ inganno? Voglio la moviola! Voglio le registrazioni del filmato! Come dici? Non hai la moviola! Non hai il filmato! Allora rivoglio indietro il mio campo di calcio! Rivoglio indietro il mio passato remoto! Rivoglio indietro il mio futuro! Che se ne vada in Cina, ma con i suoi, di soldi! Fanculo gli accordi! Se vogliono la guerra, dobbiamo essere pronti anche noi! Non possiamo sempre prenderci le cannonate! Vogliono il capitalismo? Bene: a loro il capitalismo a noi i capitali!

( Intervento musicale)

Passano alcuni giorni. Durante la distribuzione del modulo C.U.D. alle dipendenti, l’azienda ritenta di condizionare le scelte libere delle dipendenti. Le lavoratrici vengono avvicinate singolarmente, e insieme alla consegna del modulo C.U.D., viene consegnato un volantino nel quale si minaccia la chiusura se non verrà accettato l’accordo con il Governo. I movimenti sospetti portano a scoprire la nuova manovra nera dell’azienda. La CGIL denuncia immediatamente la dirigenza OMSA per attività antisindacale. Ma quando tutto sembra essere chiaro a tutti, un nuovo fronte si apre, tra lo sconcerto delle dipendenti dell’ OMSA. Il filo nero diventa sempre più attorcigliato. La votazione segreta di pochi giorni prima, che non ebbe svolgimento per una quasi rissa, viene ripetuta il 4 marzo 2010. Ricordati questa data, perché quel giorno, anche la CGIL si divide, per la prima volta nella vertenza OMSA. Cosa è successo? Non eravamo rimasti uniti fino a quel momento? Perché alcuni dirigenti della CGIL si rimangiano il mandato del 25 febbraio 2010, di poche settimane prima, nel quale avevano dichiarato che non bisognava accettare l’accordo con il Governo? Cosa è successo in questo lasso di tempo? In questo, sputo, di tempo. In questo sputo di voltafaccia. Io sputo, veleno di altri che altri mi hanno avvelenato. Voto avvelenato. Non possiamo che fare altro che accettare questa votazione segreta. Ma i segreti, forse sono altri, che non conosciamo. I segreti di questo sputo, di tempo. La votazione vede 228 favorevoli e 98 contrari.

E’ la fine compagne

Sputo

lacrime di sconfitta

Non mi chiedere altro

Non mi chiedere altro…

Giorni dopo, viene siglato un nuovo accordo in sede della Provincia. L’accordo prevede di portare via le macchine

L’OMSA chiude compagne

Io non sputo più

Sputo di vita

Dentro questa fabbrica

Ognuna di noi ha sputato fatica

E adesso tocca a loro… sputare sulle nostre vite.

Il 13 maggio, dopo giorni di armistizio tra sindacati, azienda e lavoratrici, in un incontro al Ministero, viene previsto un piano di riconversione della OMSA. Tutto ritorna in gioco

La CGIL ricompatta ciò che può e nell’accordo con il Ministero viene tolta la dicitura dello smantellamento delle macchine di produzione calze. Ma il 17 maggio, quattro giorni dopo, cominciano a smontare le macchine dell’ OMSA. Viene indetto immediatamente uno sciopero per il giorno successivo. Il 18 maggio. Viene proclamato lo stato permanente di agitazione della maestranze. Il 19 maggio vengono bloccati i facchini di un’azienda esterna, incaricata di caricare le macchine sui camion. Viene immediatamente rimontato il presidio sui cancelli della OMSA. Il 20 maggio, l’azienda fa uscire un comunicato: “Per colpa di persone che non rispettano gli accordi, verranno eliminate dagli accordi stessi tutte la parti economiche previste”. Nello stesso giorno, il 20 maggio, la CISL indice un assemblea e chiede a gran voce lo smantellamento del Presidio delle lavoratrici in protesta, e invia ancora una volta messaggi anche attraverso SMS. Non soddisfatta, la CISL chiama la DIGOS davanti ai cancelli e al Presidio dell’OMSA. Gli stessi dirigenti CISL sono con la DIGOS.

I camion sono lì. Tutto è pronto per essere smantellato definitivamente. La tensione è altissima. La sera del 20 maggio, le donne dell’ OMSA sono ancora sul Presidio dei cancelli, e davanti a loro si stanno radunando decine di persone raccolte dai messaggi della CISL. Volano parole grosse. Il primo camion è sul cancello pronto per uscire. Il Presidio sta per essere accerchiato

All’ improvviso però, esce dall’ azienda un dirigente dell’ OMSA. Sta telefonando mentre cammina verso il Presidio.

(Intervento musicale)

Io perdo il lavoro e tu mi parli di Riformismo? Di Riforme? Mi parli di concertazione? Mi parli di trattativa? Mi parli, mi parli, ma di cosa cazzo parli! Io perdo il lavoro, non hai capito? Mi portano via la terra, la mia terra, poi mi portano via l’esistenza, la possibilità di vivere dignitosamente, mi portano via la possibilità di farmi una famiglia, mi portano via tutto, e mi parli di Federalismo? Vai a affanculo tu e il tuo Federalismo del cazzo. Lo vuoi davvero il Federalismo?

E allora te lo propongo io, ma ti propongo il mio, di Federalismo: vuole andarsene in Cina? Bene, che ci vada. Ma prima restituisca a noi tutti i soldi di cui ha beneficiato. Restituisca il terreno e tutto il plusvalore che gli abbiamo dato. Come dici? Che non è d’ accordo con le nostre proposte? Che vuole fare quello che vuole? E allora ti faccio un ‘ altra proposta: sei Ministro dell’ Interno? Sei anche Ministro dell’ Industria? E allora a questo signore che vuole andarsene in Cina, tu gli blocchi il Passaporto. Gli blocchi i beni. Da qui non se ne va se prima non ha restituito tutto. Come dici? Che questo tipo di Federalismo non ti piace? Allora dillo! Sei un omme emmerda pure tu! Dillo che fai parte anche tu di questo piano. Piano asseverato. Il piatto è servito, mon ami. E no! Stavolta non passa. Stavolta non la passerai!

La lotta si fa dura. Il 13 aprile del 2010, l’azienda comunica, tramite lettera a 80 lavoratori, che saranno licenziati.

Il plotone di esecuzione è davanti a noi

Omme emmerda per un mondo di merda

La reazione dei lavoratori però arriva con grande coraggio e orgoglio

Viene subito fatto un presidio davanti ai cancelli dell’ azienda. I lavoratori non cedono di un passo. Restano giorno e notte, lì, in quello che un tempo era un campo da calcio

Dopo trentanni, ragazzi, qui si gioca ancora.

(Intervento musicale)

Ma la partita, stavolta, è più grande di noi

Il sindaco di Zola, sostiene i lavoratori in lotta. L’amministrazione comunale dà un aiuto logistico e in poco tempo viene allestita una grande tenda. Dentro ci si mangia, si dorme. Si lotta. Dalla Cina con furore, arriva Marco Fini. Il tavolo di trattativa è stato richiesto dopo giorni di sciopero, dai sindacati e ora anche da Un industria, oltre che da rappresentanti di Provincia e Regione. Il resto lo sai. I giornali mentono spudoratamente. Qualcuno addirittura titola: ‘ Niente licenziamenti’. Un altro quotidiano in prima pagina osa addirittura ‘ La Fini ritira i 108 licenziamenti’. Potrei dirti ancora di queste menzogne. Ma ormai tutto, è una grossa menzogna. La mia vita, il mio futuro, tutto, è una grande menzogna. I giornali mentono, sapendo di mentire. Noi verremo licenziati. L’ unica differenza è che non verremo licenziati domani, ma fra qualche mese in più. Ma verremo licenziati.

(Intervento musicale)

Un dirigente della CGIL presente al Presidio si avvicina al direttore dell’ OMSA.

La DIGOS è all’erta.

Una parola. Mediazione. Il dirigente della CGIL e il dirigente dell’ OMSA stanno mediando per evitare lo scontro frontale. Il dirigente dell’ OMSA sta ancora parlando al cellulare con un altro dirigente della Golden Lady di Mantova. Chi ci sia veramente dall’altra parte del telefono non lo sa nessuno. Ma qualcosa si smuove.

Il dirigente dell’ OMSA riattacca il telefonino. Parla con il dirigente della CGIL. Tutte le persone sono lì. Ferme . Immobili ad attendere una mossa di qualcuno. I due parlano. Poi il dirigente dell’ OMSA rientra. Il dirigente della CGIL va verso il Presidio: il camion rientra e i macchinari, almeno per oggi non verranno caricati né mandati via. Lo scontro viene evitato per un soffio. Tutto è rinviato all’incontro in Regione il 25 maggio. Cinque giorni. Ricordi? Fascisti di ieri. Fascisti di oggi.

C’è un filo… .nero… che li accomuna.

Nell’ incontro in Regione del 25 maggio, l’ azienda comunica la chiusura in luglio 2010. Restano pochi mesi di vita, per questa azienda. Un suicidio. O un omicidio? La CISL si dichiara d’ accordo. La CGIL è contraria. Tutto viene rinviato al Ministero dello Sviluppo Economico a Roma. Il resto è storia di questi giorni. Storia di oggi. Storia di fascismi. Ma la storia è anche ricordo.

E io ricordo.

Io ricordo, quando nel 2000, il viceministro Urso, dichiarava importante il fatto che l’ OMSA avesse aperto uno stabilimento in Serbia a Valevo. Proprio così. Importante. Dichiarava che era importante perché tutta la filiera restava in Italia! L’ Indotto restava in Italia. Grazie viceministro Urso. Grazie, oggi sei ministro. Ma dimmi una cosa caro ex vice oggi ministro: MA DI CHE CAZZO DI IMPORTANTE STAI PARLANDO? DI CHE CAZZO DI FEDERALISMO STAI PARLANDO? DI CHE CAZZO DI FILIERA STAI PARLANDO? STAI DELIRANDO, EX VICE, OGGI MINISTRO DEL CAZZO!

Tutto l’indotto, qui in Romagna, ha chiuso, in questi dieci anni. Eccolo il tuo accordo. Tutti gli stabilimenti hanno chiuso. Faenza, Brisighella, Castelbolognese. E altri ancora……………Grazie del tuo federalismo. Oggi sto aspettando la mia morte di una fabbrica. Sto aspettando il mio cambio d’ uso. Così come forse cambierà destinazione d’ uso il vecchio stabilimento OMSA. Il cerchio si chiude. Così, come si chiude una fabbrica.

(Intervento musicale)

Siamo alla fine del 2010. O forse siamo alla fine, e basta. E’ il 7 dicembre, 2010. La direzione della Fini, invia una lettera ai dipendenti e al sindacato. Per continuare la Cassa Integrazione in deroga, chiede il licenziamento di ventisei lavoratori, per dare la possibilità agli altri di continuare la Cassa. Ricordi? Quanti ti hanno mentito finora, e tu ascoltavi. Lo avevamo denunciato il 7 ottobre scorso: l’accordo firmato dai sindacati è un disastro annunciato. Dopo avere concesso all’ azienda tutto quello che aveva chiesto con la prima Cassa Integrazione in deroga, ora con il nuovo accordo ne licenziano altri 26. Non solo. Non essendo prevista l’ integrazione all’assegno INPS, non essendo prevista nessuna anticipazione dell’ azienda, ora, ci vengono a spiegare che se i lavoratori vogliono i propri soldi, devono firmare una cambiale con gli istituti di credito con la quale le banche concederanno poi un plafond per anticipare ai dipendenti FINI compressori, circa 7.000 euro a testa, a rate di 700.

Quando arriveranno gli assegni dell’ INPS, verranno incassati dalle banche stesse. Ancora le banche. Ancora debiti. Ma come? Perdo il posto, o lo perderò e devo accendere mutui? Cara mamma, perché sono nato? In che mondo mi hai messo? Non era questo il posto che sognavo. Ho lavorato una vita, e adesso finirò come una luminaria alla fine del Natale. Natale. A Natale si fanno i regali. E noi, sotto la sede degli industriali di Bologna, davanti alla sede di Unindustria, abbiamo scaricato chili di cuore, fegato e polmoni di animali, per soddisfare la fame dei padroni. Come facevano gli atzechi per ingraziarsi gli dei nei loro sacrifici umani.

(Intervento musicale)

Memoria. Memoria. Ricordi quando ti parlavo di Piano asseverato? Esiste un altro piano, che tutti conoscono, ma che nessuno avrà mai il coraggio di raccontarti. Forse perché non fa parte di questo Paese. Forse perché sto vivendo in un incubo. Sto sognando, che un padrone, diventato padrone con i soldi che non erano suoi, ha fatto una grande ricchezza. Poi ho sognato che questo padrone, non contento, si portava via questa ricchezza, che non era sua, e la portava lontano.

E ho sognato che c’erano Banche che erano d’accordo con lui. E che c’era un altro padrone, che faceva compressori in giro per il mondo. Sì. Faceva compressori, anche lui, come la mia fabbrica

E che girava dentro la mia fabbrica

Ci guardava, in silenzio

Si fermava davanti a noi

e scriveva

scriveva il nostro nome

Poi ritornava a camminare, lento

Dentro la mia fabbrica. E che le Banche erano di altri padroni come lui. E che avevano anche dei giornali, e delle televisioni. E che erano padroni di tutto. Anche delle verità che ti raccontano. Poi mi sono svegliato. Sono andato alla fabbrica. Come tutte le mattine faccio da tanti anni. E quando sono arrivato, quella mattina, la mia fabbrica, perché quella era la mia fabbrica, l’ ho trovata che non respirava più. Era morta. Io adesso non so cosa farò. Ma di certo so che questa storia la racconterò finchè avrò respiro.

Redazione
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  • Ripeto e ripetero'(qui si racconta di chi era il conte proprietario della OMSA,e ci viene proprio bene,come tempi forse no,come situazione stiam molto peggio che nel fascismo:non abbiamo piu avversari,solo banchieri e vaticano… buoni bravi perbene e contro la crisi…fffaaaanculoooooo!!!!): occupare le fabbriche,impedire che portino via i macchinari(ma sapete che con le nuove tecnologie una macchina per “pittare” una FIAT o “magliare” una calza costano centinaia di milioni di euro?),se impossibile sabotarli…in Serbia o a Detroit o in Romania(pace all’anima loro se voglion lavorare per trecento euri al mese,sti cazzi !!!!)fabbricano sta minghia tanta di sabbia… ecchecavolo lo facevano i nostri padri Partigiani contro i nazifascisti nel ’44 e noi non siamo capaci? ( e nessuno si permetta di dirmi…facile tu hai un lavoro…io mi son fatto licenziare quando ero direttore tecnico di un consorzio di cantine con stipendio stratosferico perchè erano e sono fasci e camorristi… ed ho dormito otto mesi nell’auto che mi han prestato i Compagni… e le banche mi stan portando via la casetta che mi son costruto con le mie mani…)

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