Narrator in Fabula – 23

dove Vincent Spasaro incontra Francesco Troccoli (*)

FrancescoTroccoli

Una delle voci emergenti della fantascienza e quindi del romanzo di genere italiano. Francesco Troccoli è autore di «Ferro Sette» (Curcio 2012) e «Falsi Dei» (Curcio 2013) ambientati nel cosiddetto Universo Insonne. Udite udite, l’uscita del terzo volume è prevista per il 2016. Francesco negli ultimi anni si è cimentato anche sulla short story. Del 2012 è infatti «Domani Forse Mai» (Wild Boar), raccolta di racconti a cura dell’associazione RiLL. Ha infine curato con Alberto Cola l’antologia «Crisis» (Dalla Vigna 2014) ed è membro della Carboneria Letteraria, con cui ha pubblicato il romanzo collettivo «Maiden Voyage» (Homo Scrivens 2014).

L’abbiamo messo spalle al muro e costretto a stare sveglio per rispondere alle domande.

Come ti sei avvicinato al mondo della lettura?

«Non saprei risponderti in modo preciso: se non ci sono impedimenti culturali o comunque oggettivi, immagino che sia naturale sin da quando ci viene insegnato a leggere, forse anche prima. Sì, in effetti ricordo la curiosità per quegli strani segni che a un certo punto iniziarono ad assumere gradualmente un suono mentale, e la soddisfazione che provai la prima volta che quel suono divenne riproducibile. Fu merito di mio padre, prima ancora di andare a scuola. Di certo un ruolo fondamentale, nei primissimi anni, lo hanno avuto i fumetti. In seguito dovetti superare la crisi della scomparsa delle figure e affrontare la pagina di puro testo. Non fu per niente facile. Ricordo ancora la sensazione di pesantezza visiva delle prime pagine di “Ventimila leghe sotto i mari”: le parole erano affastellate l’una sull’altra, le righe erano fitte e nere. Ma il profumo era ottimo e terminai la lettura in due giorni».

L’ambiente, la famiglia, la città dell’infanzia hanno contribuito a strutturare il tuo amore per le lettere?

«Mio padre era un lettore onnivoro e veloce. Questo ha determinato la costante presenza, in casa, di migliaia di libri di ogni tipo, formato e genere. Li leggeva tutti (non so davvero come facesse) e per resistere alla tentazione di emularlo bisognava davvero impegnarsi. Per un bel po’ ci sono anche riuscito. Invece Roma, la mia città, è stata semmai un ostacolo; c’erano già allora troppi divertimenti, a portata di bambino, in grado di competere con la lettura senza nessuna pietà. Anche studiare al liceo classico, in fondo, non è servito a molto. Le letture più autentiche e importanti sono quelle che scegliamo, più che quelle rese obbligatorie dal piano di studi. E quelle, nel mio caso, sono venute solo più tardi. A volte, molto più tardi».

Quali sono stati i tuoi primi approcci alla scrittura?

«Sono stati tardivi e imprevisti. Nel 2005, per il mio trentasettesimo compleanno, mi fu regalata la frequenza di un laboratorio di scrittura di genere presso la Scuola Omero di Roma. Scoprii subito che le due autrici del regalo avevano visto lungo. Scrivere era bello. Iniziai con i racconti e i primi concorsi. Prima di allora non solo non avevo scritto nulla, non ci avevo nemmeno pensato. Fu il miglior regalo che io abbia ricevuto in vita mia».

Hai fatto tutt’altro lavoro nella vita prima di dedicarti a tempo pieno alle lettere; vuoi parlare del prima e del dopo, di questa scelta drastica e dei suoi perché?

«Ero arrivato alla dirigenza in una nota multinazionale farmaceutica e, negli ultimi anni di quella pur brillante carriera, mi sentivo sempre più a disagio. Mi guardavo allo specchio e mi chiedevo chi fosse quel tizio incravattato in abito blu, troppo spesso a bordo di un’auto diretta verso l’aeroporto, anch’essa blu, con lo scopo di dire e fare cose che non gli piacevano più, insieme a persone che gli confidavano spesso di essere altrettanto annoiate e a disagio. Quella vita non faceva più per me. Più in generale, penso che ci stiamo “svegliando” in molti dall’ubriacatura del falso modello di vita, quello basato su stipendio, produttività e posizione nella gerarchia socio-economica internazionale del cosiddetto mondo occidentale. Voglio riconoscermi il merito di essere stato fra i primi a rifiutarlo, almeno in Italia, anche perché in quel settore la crisi globale è arrivata molto in anticipo rispetto al mercato del largo consumo. Mi sono così finalmente riappropriato del “mio” tempo, che mi ero lasciato espropriare con l’illusione che quella strada fosse frutto di una scelta vincente. Ho capito che bisogna vincere su un altro fronte, quello dell’identità umana, prima di riuscire a stabilire in che direzione realizzare quella “sociale”, professionale».

Il tuo primo romanzo, “Ferro Sette”, ha avuto un buon successo. Ce ne parli?

«L’idea di un mondo futuro in cui gli esseri umani non hanno la più pallida idea di cosa significhi “dormire” o “sognare” è esattamente il mio modo di rappresentare la pratica dell’esproprio del tempo che ci è imposta dalla “cultura” della produzione e del lavoro inteso non come mezzo per nobilitare l’uomo, ma come strumento di governo della massa, non escluse le sedicenti “élite” che siedono ai posti di comando e arrivano a essere vittime di se stesse. L’universo narrativo di Ferro Sette mi ha consentito di esprimere il mio pensiero con immagini dirette, forti, che valgono forse più di tante spiegazioni teoriche più o meno convincenti. Per questo sono stati in molti a riconoscersi nei protagonisti, anche fra i non appassionati del genere. Da questo punto di vista, nel mondo della narrazione, la fantascienza non ha eguali, anche e soprattutto quando si rivolge a un pubblico mainstream».

Sul pianeta degli uomini senza sonno è ambientato un seguito…

«In Falsi Dei, il romanzo successivo, la ribellione dei dormienti inizia a diffondersi anche al di fuori del pianeta sul quale è ambientato il primo romanzo. In altre parole, se hai trovato qualcosa di veramente prezioso, e sei un Essere Umano degno di questo nome, devi condividerla con gli altri. Renderla collettiva. Non è certo una mia idea, ma sono felice di poter (molto modestamente) contribuire alla sua diffusione».

Pensi a una continuazione, a una trilogia?

«Il terzo e conclusivo romanzo di questo breve ciclo è in sostanza pronto. Sto lavorando alla revisione finale e spero che possa vedere presto la luce».

Nuovi romanzi in cantiere?

«Le idee sono tante, nella fantascienza e non, ma devo ancora decidere quale sia la più convincente, su cui dedicarmi a tempo pieno».

E la tua narrativa breve?

«Una volta ti avrei risposto che la sottovalutazione (commerciale e culturale) del racconto breve come forma espressiva è ingiusta. Francamente, oggi penso invece che i racconti rappresentino una modalità di narrazione troppo spesso più interessante per chi li scrive che per chi li legge. Voglio dire che, a parte rari casi, un’idea veramente buona dovrà raggiungere la forma di racconto lungo o romanzo. Forse, se questo non succede, a volte la ragione è un’altra. Dietro l’affermazione che “scrivere racconti è una scelta” si può mascherare la difficoltà di scrivere romanzi. Per me è stato così, all’inizio. Poi, se un racconto breve è avvincente, ti dispiace che finisca tanto presto; se invece non lo è, forse si poteva scriverne un altro migliore. In entrambi i casi, chi legge (e ha gusti simili ai miei, perlomeno) ne esce insoddisfatto. Il modo per uscire dallo stallo, a mio parere, è raccogliere racconti (dello stesso autore o di più autori) legati da un filo conduttore ben riconoscibile; penso a Le iittà invisibili di Calvino, a esempio, che non a caso è classificato editorialmente come romanzo, pur essendo di fatto una raccolta di racconti. Se questo filo manca, se il racconto, pur essendo bello, è “troppo breve”, non hai il tempo di entrare in rapporto con la storia, con i personaggi, con le dinamiche che li animano. E la lettura, per me, consiste in questo rapporto. Come scrittore, posso dire che il racconto breve è una palestra importante, ma non sufficiente, per arrivare poi a cimentarsi con il romanzo, che continuo a considerare come la prova più autentica del mestiere di narrare storie».

È appena uscito un tuo racconto per Delos.

«Che infatti è un racconto abbastanza lungo ed è legato ai miei romanzi da un filo conduttore ben riconoscibile. Hypnos è una storia ambientata in un futuro prossimo in cui un “Grande fratello”, che tutto vede e tutto sente e che si chiama “Echo”, sta provvedendo a sradicare dal Pianeta Terra una piaga che affligge l’Umanità: il Sonno. Anche qui, come in Ferro Sette, ci sono però gruppi di ribelli, che vengono accusati, manco a dirlo, di terrorismo. Rispetto ai romanzi, è una specie di prequel, come è di moda dire, e forse rappresenta ancora meglio la società di oggi in chiave fantascientifica (http://www.fantascienza.com/20679/hypnos-il-prequel-di-ferro-sette )».

Quali scrittori-scrittrici ti hanno ispirato e quali stimi?

«Questa è sempre una domanda imbarazzante (scherzo, eppure arrossisco). Mi limito a indicare Ursula K. Le Guin, Michael Bishop, Michael Ende, Isaac Asimov e George Orwell come letture fondamentali per il genere fantastico/fantascienza; Italo Calvino come massimo autore di tutti gli infiniti universi passati, presenti e futuri. Fra le “nuove” voci cito Kristine Kathryn Rusch, autrice di fantascienza che ho scoperto solo di recente. Fra gli italiani che scrivono questo genere ci tengo a segnalare (anche se non ne hanno certo bisogno) Paolo Aresi, Massimo Citi, Alessandro Vietti, Luigi De Pascalis, Enrico Di Stefano e, fuori dal genere, i Wu Ming, nella versione completa del collettivo (L’Armata dei sonnambuli è uno dei migliori romanzi che ho letto di recente). L’elenco non è esaustivo e si basa sulle mie letture più recenti.

Sei anche un traduttore. Vuoi parlarne?

«Sono un traduttore scientifico e di recente ho iniziato anche a muovere i primi passi nella traduzione letteraria. Come per lo scrivere, quello del tradurre è un mondo variegato e poco strutturato, all’interno del quale è fondamentale definire criteri volti a classificare oggettivamente il livello di professionalità. Non a caso oggi in Italia esistono associazioni come AITI – Associazione Italiana Traduttori & Interpreti, e STRADE – Sindacato Traduttori Editoriali, che stanno svolgendo in tal senso un lavoro molto serio ed encomiabile. Citandole, sono lieto di fare a entrambe la pubblicità che meritano».

Il futuro di Francesco autore e il futuro più in generale?

«Per quanto riguarda me, sto terminando la revisione del terzo romanzo e sto anche lavorando su qualche idea non legata al genere, ma è ancora presto per parlarne. Non mancano comunque racconti che l’instancabile Gian Filippo Pizzo accoglierà nelle sue bellissime antologie italiane “a tema”. Più in generale, auspico un’inversione di tendenza della crisi dell’editoria con particolare riferimento al regime sempre più monopolistico vigente in Italia che concentra in (troppe) poche mani la pur indispensabile funzione di selezione dei manoscritti che arrivano alla pubblicazione e alla distribuzione. La media editoria, capace di progetti editoriali coerenti e con una vocazione culturale riconoscibile già dalla copertina, disposta a investire (davvero) sulla qualità, sta sparendo. L’editoria a pagamento è una piaga che andrebbe proibita e la scuola dovrebbe fare di più per promuovere la lettura, anche e soprattutto della cosiddetta letteratura “d’evasione”. Ci sono lodevoli e isolati casi che andrebbero presi a modello; penso ad esempio a L’Asino d’Oro, un editore che in pochi anni si è affermato in modo considerevole in un mercato sempre più difficile. Il futuro è la conseguenza delle nostre scelte, individuali e collettive. Cerchiamo quindi di fare quelle giuste, avendo come scopo finale l’affermazione della scrittura come professione di cui far vivere migliaia di bravi autori e autrici anche in questo Paese. Facciamo della creatività un mestiere riconosciuto e non limitiamoci a considerarla “ars gratia artis”, anche perché “il divertimento è una cosa seria” (Calvino, appunto). A tale proposito, un consiglio di lettura: Pronto soccorso per scrittori esordienti di Jack London. Quest’anno ricorre il centenario della sua morte, eppure ben poco è davvero cambiato».

(*) In un primo ciclo di «Narrator in Fabula» – 14 settimane – Vincent Spasaro ha intervistato per codesto blog/bottega autori&autrici, editor, traduttori, editori dalle parti del fantastico, della fantascienza, dell’orrore e di tutto quel che si trova in “qualche altra realtà”… alla ricerca di profili, gusti, regole-eccezioni, modo di lavorare, misteri e se possibile anche del loro mondo interiore. I nomi? Danilo Arona, Clelia Farris, Fabio Lastrucci, Claudio Vergnani, Massimo Soumaré, Sandro Pergameno, Maurizio Cometto, Lorenza Ghinelli, Massimo Citi, Gordiano Lupi, Silvia Castoldi, Lorenzo Mazzoni, Giuseppe Lippi e Cristiana Astori. «Non finisce lì» aveva giurato Spasaro. Ed ecco il secondo ciclo: dopo Angelo Marenzana, Gian Filippo Pizzo, Edoardo Rosati, Luca Barbieri, Giulio Leoni, Michele Tetro, Massimo Maugeri, Stefano Di Marino e oggi Francesco Troccoli. Poi, in disordine alfabetico e comunque non in quest’ordine, toccherà ad Alberto Panicucci, Sergio Altieri, Sabina Guidotti, Silvio Sosio, Valerio Evangelisti ma anche giovanissim* forse altri “mostri sacri” e via sorprendendo. (db)

 

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