«Neanche morta rinuncio a vivere»

Donne che si raccontano, Andrea Guzmàn

di Christiana de Caldas Brito

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Quest’estate ero a Bogotá. Guardando le pagine dei giornali per andare a teatro, ho visto che Andrea Guzmán era in scena al Cabaret.

Attrice colombiana di tv, cinema e teatro, Andrea Guzmán è conosciuta in tutti i Paesi dell’America del Sud. Nel 2007 ha ottenuto in Venezuela il titolo di «Miglior Attrice Internazionale». Nel 2014 in Colombia è stata considerata la «Miglior Attrice Antagonista».

Come ha avuto inizio la sua carriera? Il talento di Andrea si è manifestato prima di tutto nel teatro della sua scuola elementare e media. È stata sua sorella più grande, l’affermata attrice Sandra Guzmán, a portarla nel mondo dello spettacolo vero.

Andrea aveva quindici anni quando partecipò alla sua prima tele-novela «Padres e hijos» (“Genitori e figli”) nel ruolo di Maria Fernanda, la fidanzata del protagonista. Grande successo. Tutti ne parlavano. Andrea Guzmán, diventata famosa, era ormai parte dell’immaginario collettivo dei colombiani. Quando usciva sulle strade, c’era sempre qualcuno che si avvicinava e chiedeva di fare una foto insieme a lei. Andrea sorrideva e si faceva fotografare con i suoi fan. La simpatia e l’affabilità fanno parte del suo modo di essere.

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Prenotai un tavolo per me e per i miei amici al Cabaret. Con un taxi attraversammo il congestionato traffico notturno di Bogotá.

Il cabaret era un’immensa sala illuminata a festa, con musica che riempiva l’aria di suoni allegri. Il pubblico arrivava a poco a poco. Nei tavoli apparecchiati i camerieri ricevevano le ordinazioni perché durante lo spettacolo si serviva la cena.

Il corpo di ballo del cabaret, costituito da due coppie di ballerini dotati di grande slancio ed elasticità, si esibì in numeri dal ritmo sfrenato. Contribuivano a creare l’atmosfera giusta per il monologo scritto, interpretato, ballato e cantato da Andrea Guzmán, la grande attrazione della serata.

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«Neanche morta rinuncio a vivere» è un’opera di finzione che parte da un triste evento reale: la morte del padre di Andrea. La famiglia, già sconvolta dal dolore, due anni dopo si vede nuovamente colpita dalla morte del fratello più grande di Andrea.

Andrea sentiva il bisogno di approfondire il significato del morire. Aveva voglia di scrivere sul dolore. Ancora non lo sapeva ma dentro di sé cominciava a elaborare un’opera teatrale. Manuela, il personaggio che dopo sarebbe stato interpretato da lei, era il nome della figlia del fratello morto.

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La pièce comincia con un incidente in cui il personaggio femminile muore. ma decide di vivere anche se morta e racconta al pubblico le sue varie peripezie per non rinunciare alla vita. Parla del suo rapporto con gli uomini, parla dell’amore, delle speranze e delusioni dei giorni vissuti.

Una parola speciale deve essere indirizzata al compositor Felipe (“Pipe”) Guzmán, il fratello più giovane dell’attrice. È stato lui a creare la musica per lo spettacolo. Le parole delle canzoni sono state, invece, scritte da Andrea insieme a suo marito.

Lo spettacolo «Ni muerta dejo de vivir», come potete constatare, nasce dalla collaborazione dei vari talenti di tutta una famiglia di artisti che decide di affermare i valori della creatività dopo essere stati tutti duramente colpiti dal dolore. Fra quelli che hanno stimolato la tenacia di Andrea per trasformare le sue riflessioni in un evento teatrale, possiamo rivelare la presenza di suo marito e di Felipe Dotté.

Lo spettacolo, senza scivolate, senza tristezze fuori posto ma equilibrato nella sua dinamica interna, è riuscito a unire il senso dell’umorismo alla sensibilità poetica.

Non è facile cimentarsi in un ruolo comico. Si sa che in teatro il pianto si ottiene con meno fatica della comicità. Gestire contemporaneamente risate e malinconia è stato un obiettivo raggiunto sia dall’attrice che dalla regia sicura ed efficace del drammaturgo colombiano Victor Quesada che già aveva lavorato con Andrea e conosceva il suo talento comico. Quesada è riuscito a trovarsi in perfetta sintonia con l’autrice della storia triste che fa ridere. Difatti, per gli spettatori era sorprendente la capacità che aveva la Guzmán di farsi prendere da emozioni contrastanti. La commedia faceva ridere di quello che più ci fa soffrire: la morte.

Estremamente curioso era vedere come le donne presenti spontaneamente si dirigevano all’attrice durante lo spettacolo, ignorando la quarta parete. Porgevano domande all’attrice sulle sue decisioni, dandole forza ed esortandola a superare i momenti difficili. Così, la protagonista, vedendosi morta, ripercorre gli eventi della sua vita, trasforma in consapevolezza il proprio dolore. Gli errori commessi diventano un’esperienza utile al personaggio che prende coscienza della morte e vuole continuare a vivere. Gli ostacoli assumono un effetto catartico: proprio dalla morte nasce l’amore alla vita. Il personaggio di Manuela scopre che ama ballare e cantare, che il canto e il ballo sono modi per amare se stessa. Fondamentale diventa la sofferenza che aiuta a trovare la propria strada.

«Neanche morta rinuncio a vivere» è, come dice Andrea Guzmán, «la storia di una donna che balla e canta le emozioni della sua vita … e della sua morte».

Lo spettacolo è la traiettoria percorsa da ogni donna che lascia la dipendenza per rendersi autonoma, è un’euforica affermazione della libertà femminile.

 

 

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