Nicaragua: il Canale interoceanico divide il paese

Opportunità di sviluppo o megaprogetto a favore delle imprese

di David Lifodi

A fine 2014 il governo del Nicaragua ha annunciato l’inizio dei lavori per la costruzione del cosiddetto Canale interoceanico, il cui scopo è quello di collegare i due oceani passando attraverso il paese. Le opinioni sull’edificazione del Canale sono discordanti: da un lato il governo sandinista (che nonostante la retorica e la sua denominazione è lontano dagli ideali che lo avevano animato tra gli anni Settanta e Ottanta), convinto che la grande opera porterà al paese enormi benefici, soprattutto dal punto di vista economico, dall’altro le comunità contadine che saranno sgomberate per far posto ai lavori insieme a popolazioni indigene e movimenti ecologisti. Sul piede di guerra anche i proprietari terrieri: le terre di loro proprietà saranno espropriate in nome dell’interesse nazionale.

I primi a fare le spese del Canale interoceanico sono stati i campesinos che a fine dicembre sono stati caricati dalla polizia, chiamata a togliere l’occupazione della strada di El Tule, ad oltre duecento chilometri dalla capitale Managua: gli scontri con i militari sono stati caratterizzati da arresti e feriti. Sono soprattutto due le zone a rischio ambientale: il bacino del Río San Juan e il lago Cocibolca. Se il canale passasse attraverso queste due aree protette la biodiversità del corridoio biologico mesoamericano sarebbe seriamente danneggiata, denunciano gli ambientalisti. D’altra parte, per il governo del presidente Daniel Ortega il fascino dello sviluppo sembra irresistibile, così come lo è stato per altri governi dell’America Latina che pure si dicono di sinistra, ma che in realtà, almeno sotto certi aspetti, perseguono logiche tipiche del capitalismo. Il Canale interoceanico permetterà il passaggio alle grandi imbarcazioni. La concessione dei lavori è stata assegnata all’impresa cinese Hong Kong Nicaragua Development Investment Company (Hknd), che di sicuro sarà quella che trarrà maggior giovamento dall’opera, sebbene il governo nicaraguense la consideri prioritaria per lo sviluppo nazionale. Il Canale interoceanico, che nelle intenzioni del governo e di Hknd dovrà essere più grande di quello di Panama, favorirà occupazione e commercio: questo è ciò che pensa Ortega, convinto di raddoppiare la crescita economica del paese. In effetti gli ultimi dati parlano di almeno cinquantamila lavoratori necessari nel settore edile e oltre duecentomila in totale: nel pacchetto che prevede la costruzione del Canale rientrano anche due nuovi porti, un aeroporto, un complesso turistico, una zona di libero commercio e nuove vie di comunicazione. Gli industriali già si fregano le mani: può darsi che la disastrata economia nicaraguense sia risollevata dalla costruzione del Canale, ma probabilmente ad un prezzo pesantissimo, come è accaduto ogni qualvolta in America Latina (e non solo) è stato deciso di intraprendere la strada delle grandi opere. Il primo esempio che viene in mente, non positivo, è quello del Brasile, dove in occasione dei mondiali della scorsa estate sono stati edificati nuovi stadi, costruiti o ammodernati nuovi quartieri e create nuove vie di comunicazione, ma tutto ciò approfittando del lavoro nero, in cantieri spesso senza il rispetto delle condizioni minime di sicurezza e con turni massacranti, oltre al desplazamiento di intere popolazioni. In Nicaragua si teme che accada la stessa cosa. Ad esempio, la comunità nera di Bluefields ha espresso tutta la sua preoccupazione per la costruzione del Canale interoceanico. In un articolo di Giorgio Trucchi pubblicato da Peacelink sono riportati tutti i loro dubbi: “Realizzare un porto di acque profonde nella comunità Rama di Bankukuk/Punta de Águila, dove si trova la riserva principale degli indigeni di lingua Rama, e attraversare con questa rotta parte del territorio Rama e Kriol e delle comunità nere, creole, indigene di Bluefields, non solo impatterà in questi territori in maniera diretta, ma colpirà tutto il territorio della Regione autonoma atlantico sud”. A preoccupare è anche la mancanza di studi approfonditi di impatto ambientale in merito al megaprogetto, sebbene Hknd e lo stesso Ortega abbiano garantito che il Canale interoceanico sarà ecologico e amico dell’ambiente. Al tempo stesso, la società Environmental Reosurces Management, consulente di Hknd e del governo, garantisce che sarà prestata attenzione agli ecosistemi esistenti. Sulla stessa lunghezza d’onda anche alcuni ambientalisti, convinti che la costruzione del Canale servirà a recuperare i bacini idrografici e a salvare il lago Cocibolca, il secondo più grande del continente latinoamericano dopo quello boliviano di Titicaca. Proprio il lago Cocibolca sarà attraversato, per circa 105 chilometri, dal canale, ma Hknd garantisce che non ci saranno cambiamenti significativi né al livello delle acque del lago né all’utilizzo delle sue acque per gli abitanti del bacino idrogeografico. Tuttavia le preoccupazioni restano, come dimostrato dalla pubblicazione di un gruppo di studiosi dell’Academia de Ciencias de Nicaragua dal titolo El canal interoceánico por Nicaragua: aportes al debate. Gli accademici sollecitano una valutazione d’impatto ambientale condotta da organismi indipendenti. Inoltre, tutta l’area centroamericana, la cui economia non versa certo in buone condizioni, è interessata al progetto e attende con ansia le valutazioni della Convenzione di Ramsar, un accordo risalente al 1971 e firmato da istituzioni scientifiche, accademiche e numerosi paesi, tra cui lo stesso Nicaragua, in merito alla gestione delle zone umide e alla conservazione degli ecosistemi naturali. Hknd e governo hanno acconsentito alla valutazione da parte della Convenzione di Ramsar, così come hanno accettato di modificare il tragitto del canale, che non passerà più dalla comunità di El Tule, dove a fine anno si erano verificati scontri tra polizia e campesinos: coloro che sono a favore del Canale evidenziano che tutto ciò testimonia l’attenzione di Daniel Ortega per ridurre il più possibile l’impatto sociale e ambientale. È infatti sulla riserva protetta di San Miguelito, nella regione del Río San Juan, che il megaprogetto potrebbe avere un forte impatto ambientale, dove l’omonimo fiume scorre alla frontiera tra Nicaragua e Costarica. Dalla metà del XIX secolo il Canale interoceanico ha causato numerose controversie nell’istmo centroamericano: attualmente è ancora in vigore il trattato fronterizo Cañas-Jerez tra Nicaragua e Costarica risalente al 1858 e corrispondente, in gran parte, all’attuale tracciato del Canale: due baie alle estremità, dichiarate comuni, e la potestà nicaraguense sul Río San Juan.

Il termine dei lavori, previsto nel 2019, dirà se il megaprogetto sarà in grado di dare un maggiore sviluppo al Nicaragua e a tutta la regione centroamericana o se invece sarà caratterizzato dal solito corollario di violazioni dei diritti umani, sindacali e dallo sfollamento delle comunità che abitano nei pressi del territorio dove sarà edificato il Canale.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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