Quando i grandi eventi calpestano i diritti umani

Da Italia ’90 a Qatar 2022, banche e finanza hanno favorito Mondiali segnati da corruzione, sfruttamento, lavoro forzato e violazioni sistematiche dei diritti umani.

di Luca Pisapia (*)

Foto: https://www.uisp.it/

La finanza globale non è un meccanismo neutrale. Attraverso prestiti, investimenti, fondi indicizzati e strumenti speculativi può sostenere regimi repressivi, alimentare conflitti, favorire modelli produttivi distruttivi o indebolire diritti fondamentali lungo intere filiere. Analizzare questi meccanismi significa mostrare come, dietro a scelte apparentemente tecniche, si nascondano impatti concreti sulla vita delle persone: dalle repressioni dei regimi autoritari alla violenza nelle frontiere, dalle filiere tessili alle speculazioni sul cibo, fino ai grandi eventi sportivi.

Ricordando che quel denaro non è astratto: è il nostro. Sono i risparmi, i fondi pensione, i conti correnti di milioni di persone. Ed è anche attraverso le nostre scelte – a chi affidiamo i soldi, quali operatori premiamo o abbandoniamo – che possiamo contribuire a costruire un sistema finanziario più giusto.

Da sempre i grandi eventi sportivi come i Campionati mondiali di calcio maschile sono resi possibili grazie ai finanziamenti e ai prestiti erogati dalle banche. E sempre più spesso da banche private. Basti pensare a quello che forse fu il primo di questi grandi eventi calcistici della modernità, la Coppa del Mondo di Italia ’90.

Per finanziare la realizzazione degli stadi e delle opere pubbliche necessari a sognare le “notti magiche” fu spesa dallo Stato una cifra vicina i 7mila miliardi di lire. Circa tre miliardi e mezzo di euro al cambio attuale, senza rivalutazioni. E la maggior parte di quei soldi non servirono a costruire stadi e infrastrutture, ma a finanziare quella che è stata definita «la stagione degli appalti d’oro», ovvero la criminalità più o meno organizzata. E si capisce facilmente che criminalità e diritti umani non sempre vadano d’accordo.

Italia ’90: debiti, corruzione e finanziamenti bancari dietro le “notti magiche”

Al di là della corruzione, che non è stata un’esclusiva dei Mondiali di Italia ’90, e che comunque precede e presiede l’organizzazione di ogni grande evento, sportivo o meno, è interessante vedere da dove sono arrivati quei soldi. Detto che la maggior parte dei finanziamenti, nel caso dei Campionati mondiali di calcio maschile, arrivano dallo Stato.

Buona parte dei soldi per Italia ’90 arrivarono sotto forma di prestiti. O dagli istituti di credito pubblici o dalle banche private, come le defunte Interbanca e Istituto immobiliare italiano. E lo Stato italiano ha finito di pagare i debiti e gli interessi meno di dieci anni fa. Oltre un quarto di secolo dopo l’organizzazione del grande evento.

Già all’epoca dei Mondiali di calcio di Italia ’90 si sottolineò come questi soldi fossero stati distratti da opere ben più impellenti per il Paese, come i finanziamenti all’istruzione e alla sanità pubblica. Si fece notare come quella mole di denaro andava ad alimentare la corruzione, appunto. E a riempire le tasche della criminalità.

Ci furono anche diverse tragedie di operai morti sul lavoro nei cantieri: la più nota fu la strage dell’agosto 1989 allo Stadio Barbera di Palermo, quando morirono cinque operai. Ma all’epoca il neoliberismo era all’inizio della sua espansione, e non si parlava ancora di diritti umani. Negli ultimi anni invece è diventato molto più facile collegare gli investimenti delle banche nei Mondiali di calcio con il mancato rispetto dei diritti umani.

Brasile 2014: sfratti, morti nei cantieri e banche dietro le violazioni

Già per i Mondiali di calcio di Sudafrica 2010 si può individuare un sistema di corruzione alimentato da banche e istituti di credito pubblici e privati che certifica il mancato rispetto dei diritti umani. Ma è con i Mondiali di calcio di Brasile 2014 che tutto esplode. Alle decine di lavoratori morti nella realizzazione o nei crolli degli stadi o delle infrastrutture, si aggiunse una vera e propria opera di pulizia etnica e sociale nelle favelas. Per una stima di almeno 19mila famiglie che si trovarono senza casa.

Fu anche devastata e disboscata la foresta Amazzonica per costruire l’inutile stadio di Manaus, che adesso giace inutilizzato. Prima era una prigione, poi un parcheggio, adesso nulla. Il tutto senza minimamente rispettare i diritti umani delle comunità indigene. E oltretutto contribuendo a devastare l’ecosistema amazzonico con effetti nefasti che ancora oggi colpiscono l’intero Pianeta. E anche i cambiamenti climatici, come ricorda la relatrice speciale delle Nazioni Unite su clima e diritti umani Elisa Morgera, sono equiparabili ai diritti umani.

Bene, buona parte degli oltre 13 miliardi di dollari che servirono a finanziare quello scempio arrivarono dalle banche. Come l’istituto di credito pubblico brasiliano Banco Nacional de Desenvolvimento Economico e Social o quello transnazionale Inter-American Development Bank. Ma anche dal colosso privato brasiliano Itaú Unibanco, la più grande banca dell’America Latina, che fu anche sponsor principale dei Mondiali di calcio di Brasile 2014.

Russia 2018: oligarchi, repressione e investimenti bancari nelle infrastrutture

Lo stesso vale ovviamente per l’aiuto delle banche a non rispettare i diritti umani per i Mondiali di calcio di Russia 2018. A partire dalla questione dei lavoratori migranti sfruttati o morti nella costruzione degli stadi e delle infrastrutture. A cui si aggiunsero il problema del traffico di esseri umani, in particolare per alimentare il giro di prostituzione, e quello dei famigerati cosacchi per la repressione delle proteste e del dissenso interno.

Oltre alla questione dell’invasione della Crimea e del conflitto in Donbass che avrebbe poi portato all’invasione dell’Ucraina. Situazioni geopolitiche che il soft power generato dai Campionati mondiali di calcio maschile ha contribuito a nascondere. Anche in questo caso a finanziare il grande evento sportivo, così come i Giochi olimpici invernali di Sochi del 2014, furono le banche. In entrambi i casi a farla da padrona fu la banca statale russa per lo sviluppo Veb. In aggiunta, come fa notare Forbes, gli investimenti privati degli oligarchi.

Ma buona parte degli oltre 14 miliardi di dollari spesi per i Mondiali di Russia 2018 arrivarono grazie ai finanziamenti delle banche europee. Come la francese Société Générale e la tedesca KfW IPEX-Bank. O come le italiane Cassa depositi e prestiti, controllata dal ministero dell’Economia, e Intesa Sanpaolo. I due istituti di credito italiani si prodigarono in particolare a finanziare la costruzione dello stadio VTB Arena, a Mosca. E tutto il contorno degli immancabili complessi residenziali, negozi, uffici e alberghi che inevitabilmente accompagnano la costruzione di ogni nuovo impianto.

Qatar 2022: lavoro forzato e banche europee nel Mondiale dei diritti negati

L’apoteosi del mancato rispetto dei diritti umani per l’organizzazione di un grande evento sportivo si ha ovviamente con i Mondiali di calcio di Qatar 2022. Della corruzione, della devastazione ambientale, e delle migliaia di lavoratori migranti ridotti in condizione di schiavitù, molti dei quali poi morti di fatica, fame e stenti, abbiamo scritto in maniera diffusa e esaustiva su Valori. Così come abbiamo scritto della partecipazione di aziende europee alla costruzione delle infrastrutture dove poi sono morti lavoratori.

Come nel caso della Russia con gli oligarchi, anche in Qatar la maggior parte dei fondi per finanziare l’organizzazione del grande evento sportivo è arrivata dai ricchissimi emiri. Ma anche qui hanno partecipato le banche. In particolare la Lesha Bank LLC, istituto di credito controllato direttamente dal fondo sovrano Qatar Investment Authority. E anche per i Mondiali di Qatar 2022 ci sono diverse banche europee che hanno partecipato al banchetto attraverso prestiti e investimenti e che hanno quindi contribuito a facilitare il mancato rispetto dei diritti umani per la gloria del grande evento sportivo.

Per esempio, come ha rivelato un’inchiesta di Profundo, oltre al mai impeccabile Fondo sovrano norvegese che come al solito predica bene e razzola male, e oltre a colossi assicurativi come Allianz, troviamo anche le banche. A partire dalle francesi Société Générale e Bcpe, per finire con le britanniche Natwest e Hsbc e con le tedesche DZ Bank e Commerzbank. Insomma, quando c’è da chiudere un occhio sul mancato rispetto dei diritti umani per fare affari, anche per i Mondiali di calcio, le banche sono sempre in prima fila.

(*) Link all’articolo originale: https://valori.it/banche-mondiali-calcio-diritti-umani

 

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