«Sempre la valle»

Il libro perduto di Ursula Le Guin torna in libreria. Rubiamo al quotidiano «il manifesto» un bell’articolo di Giuliana Misserville (*).

 


È il 1985 e la scrittrice Ursula K. Le Guin, pluripremiata autrice di capolavori come La mano sinistra del buio, I reietti dell’altro pianeta e Il mondo della foresta, pubblica Always Coming Home, un’opera visionaria, un’utopia femminista post-apocalittica ambientata nel nostro futuro ma che trae ispirazione, miti e visioni anche dal remoto passato della sua Napa Valley (California).
Perché, come lei scrive: «Questo luogo dove sono nata e cresciuta e che amo più di ogni altro, il mio mondo, la mia California, deve essere ancora creato. Per creare un mondo nuovo si comincia da uno vecchio, certo. Per trovare un mondo, forse bisogna averne perso un altro. Forse dobbiamo perderci noi stessi. La danza del rinnovamento, la danza che ha creato il mondo, è sempre stata danzata qui, ai margini delle cose, sull’orlo, sulla costa resa indistinta dalla nebbia».
Una «archeologia del futuro», così la scrittrice definiva Always Coming Home, un’opera che possiede una struttura complessa, fatta di molteplici tessere che raccontano e documentano il mondo dei Kesh, le loro leggende, la loro lingua, le loro usanze, l’arte e la musica. Per mettere a fuoco quella civiltà e ricrearla Le Guin ha lavorato per anni e, diciamolo, divertendosi come una matta.


NEL TENTATIVO di conoscere profondamente il territorio della California e poterlo
rimettere al mondo nei Kesh, ha imparato a leggere la Napa Valley studiandone
l’agricoltura, la geologia, il clima, le tecnologie e le ricostruzioni ipotetiche degli strumenti utilizzati anticamente. L’asse del libro è costituito dalla storia di Pietra che narra, la ragazza kesh divisa tra due mondi: quello del padre, un popolo (i Condor) che segue tradizioni patriarcali e guerriere; e quello della madre, i Kesh che vivono pacificamente senza capi e senza ruoli determinati dal genere. E se i Condor sembrano avere caratteristiche simili a quelle dei Conquistadores e possiamo dire anche simili a quelle del nostro mondo quando pensiamo di poter disporre a piacimento della terra e delle sue creature, i Kesh (presso i quali Pietra che narra sceglierà di vivere la seconda parte della sua vita) sembrano aver scelto un rapporto di armonia e ascolto di tutto ciò che li circonda dando vita a una società matriarcale più libera e pacifica.
Certo il sospetto che Le Guin nutrisse sentimenti antitecnologici e avesse scritto un
romanzo passatista serpeggiava tra chi a suo tempo recensiva e discuteva del libro e, alla fine, la questione era stata al centro di un dibattito con Donna Haraway, l’8 maggio 2014, all’Università di Aarhus in Danimarca.

Always Coming Home, prontamente tradotto in italiano da Riccardo Valla e Annalisa Di Liddo col titolo Sempre la valle, viene pubblicato nel 1986 da Arnoldo Mondadori editore, che lo accompagna (come per l’edizione originale americana) con una cassetta di musica e poesia Kesh.
E proprio in questi giorni Sempre la valle viene ripubblicato negli Oscar Mondadori (pp. 696, euro 24), grazie al lavoro di Elisabetta Risari, in una splendida edizione ampliata da testi non ricompresi nell’edizione di quarant’anni fa e arricchita da una serie di saggi scelti dellastessa Le Guin, che contestualizzano, articolano e danno ragione della complessa composizione di un’opera che fatica a rientrare nella categoria romanzo. Perché Always Coming Home si colloca accanto a quelle opere mondo che secondo la definizione di Franco Moretti, sono infinite, polisemiche, aperte e esprimono l’epica della modernità.


AGGETTIVI che ben si adattano alla nostra autrice se non fosse che nel suo caso sarebbe molto più appropriato parlare di contro epica poiché, (se ne parla nel volume Ursula K. Le Guin e le sovversioni del genere, edito da un anno fa per Asterisco, NDR) la sua opera mina le basi ontologiche dell’antropocentrismo patriarcale, disegnando invece un panorama umano che conferisce valore alla relazione e al mutamento.
Così è del rapporto con gli animali non umani che popolano Sempre la valle. E degli elementi naturali come i fiumi e le montagne. Le Guin trovava affascinante lo
spostamento del punto di vista operato dai racconti e dai miti delle popolazioni native della California, che cercavano di comprendere come la visione del mondo potesse essere diversa se guardata con occhio animale o minerale. Ciò ribaltava la prospettiva e all’improvviso il mondo appariva sotto una luce diversa, non oggettiva e fredda, ma interna; la natura non era più qualcosa di esterno ma coincideva con l’umano, anzi l’umano era, non possedeva, «era la terra». E di conseguenza le mappe cambiavano e s’intravedevano i sentieri del coyote di cui parla in quel bellissimo saggio intitolato Una visione non euclidea della California come luogo freddo. Quel testo, scritto nel 1983 mentre era alle prese con Sempre la valle, adesso si può leggere nel volume appena uscito.
Mentre, in Leggende per una nuova terra del 1988, Le Guin scrive: «Non trovo che sia facile da capire. Non è una visione “semplice” delle cose. È da un po’ che cerco di passare a una modalità di pensiero che mi faccia comprendere queste mappe, e certe volte mi sembra di riuscirci, altre sono certa di no, perché sono stata cresciuta in una cultura con un sistema molto potente di credenze e opinioni basate sull’idea che il mondo sia stato creato da qualcun altro, dall’esterno. Paula Gunn Allen (scrittrice e attivista lgbt) spiega che per i nativi americani “la terra non è davvero un luogo separato da noi, dove mettiamo in scena la rappresentazione dei nostri destini isolati; è la stregoneria a farci credere questa falsità. Noi siamo la terra».
Una decostruzione dell’antropocentrismo che Ursula K. Le Guin perseguirà per tutta la vita.
Come anche la valorizzazione della tradizione di letteratura orale e del linguaggio materno, la «donnalingua» (womantalk) che parlavano i Kesh. Le Guin asserisce prima di averla tradotta e poi, dopo aver capito che la musica creata da Todd Barton esigeva una sillabazione nativa e non inglese, si applica a una vera e propria creazione di quella lingua.
Giustamente il volume si arricchisce di uno dei testi centrali in cui lei riflette sulla lingua, La teoria letteraria della sacca e su come il linguaggio («Il linguaggio è un evento», asserisce) sia uno strumento fondamentale a strutturare la società. In Sempre la valle ci mostra come la narrativa orale contribuisca al fare comunità, dal momento che quel «respirare insieme» crea relazione, empatia.


IN CONCLUSIONE Always Coming Home segna il ritorno di Le Guin alla sua Napa Valley e nel far questo crea un mondo che non è più e che sarà e che risuona di danze e di voci al di là del tempo. È quindi giusto, e non solo sul piano letterario, risalire la memoria di generazioni e generazioni per ascoltare i popoli che vivevano nella valle, quei popoli silenziati, muti, ora e per sempre. «Non li abbiamo ascoltati – scrive Le Guin. – Noi, il mio popolo, li abbiamo uccisi senza ascoltare una sola delle loro parole. (…) Così alle origini e al centro del mio libro c’è questo: un silenzio, un atto di dolore. Non un tentativo di riparazione: non esiste riparazione. Ma dentro alla mia danza di celebrazione dell’umanità, ambientata nel futuro del tempo del sogno, c’è un’altra danza, una spirale che, dall’altra direzione, entra nel passato senza toccarlo; una danza per i morti, in silenzio».
Ursula K. Le Guin si smarca così ancora una volta e con ancora più fermezza dall’impronta coloniale che ha segnato l’amata valle e ci ricorda che le categorie dell’uomo bianco (e il loro destino) non sono inevitabili. Come scrive Shruti Swamy nell’Introduzione: «Questo non è un libro da leggere e basta, è da vivere. E all’interno di questo spostamento dell’attenzione, nell’esperienza, risiede un potere incredibile, rivoluzionario».
© 2025 il manifesto

(*) pubblicato con il itolo «Ursula K. Le Guin, la danza visionaria di
ulteriori mondi
» e il sottotitolo «Itinerari critici A proposito di “Sempre la valle”, da oggi in libreria con gli Oscar Mondadori.

In “bottega” abbiamo scritto molto di zia Ursula. Qui alcuni riferimenti: Ursula: distruggendo prigioni e inseguendo l’orizzonte, Ursula Le Guin ovvero il…. (di Clelia Farris), Per zia Ursula KLG e per chi (conoscendola) l’amerà, Ursula Le Guin: «Ritrovato e perduto», Fra buio e (ambigue) utopie (di Fabrizio Melodia), Ursula K. Le Guin (di Elena Petrassi), Ancora un po’ di (zia) Ursula, Ursula Le Guin, Luigi Brugnaro e Venezia, Paradisi perduti di Ursula Le Guin, Ancora su «La mano sinistra…» (di Giuliano Spagnul), Ben pensato, zia Ursula (2), Ben pensato, zia Ursula (1), Noi, reietti su quale pianeta? (di Louis Perez), Ancora zia Ursula, un piccolo dossier.

Torneremo a ragionare su SEMPRE LA VALLE ma anche sul bellissimo Ursula K. Le Guin e le sovversioni del genere, che abbiamo colpevolmente “bucato”.

(*) Da qualche tempo è ripresa la “buona” abitudine del martedì. Con «di Marte si parte» in “bottega” – ogni martedì, appunto– ci sarà almeno un articolo dalle parti della fantascienza (e/o del fantastico). Ci sarà… SCSP ovviamente, sigla che sta per «Salvo catastrofi sempre possibili». Si accettano, anzi si sollecitano, contributi e critiche, commenti e segnalazioni, al limite invio di libri agli/alle squattrinati/e “martediane/i” che siamo noi.

 

Redazione
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