Fra buio e (ambigue) utopie

Fabrizio Melodia riflette su scelta rivoluzionaria e pensiero mitologico di Ursula Kroeber LeGuin

Oscar Mondadori ha mandato in libreria «La mano sinistra del buio» di zia Ursula (per noi del Marte-dì è “zia”; per chi non la conosce ancora è Ursula K. Le Guin) ovvero la nuova traduzione del romanzo finora noto come «La mano sinistra delle tenebre». Ne riparleremo presto, intanto vi aiutiamo a inquadrarla con un inedito (vecchio ma sempre buono) di Fabrizio Melodia.

«C’era un muro. (…) Come ogni altro muro, anch’esso era ambiguo, bifronte. Quel che stava al suo interno e quel che stava al suo esterno dipendevano dal lato da cui lo si osservava». Così inizia «I reietti dell’altro pianeta», uno dei due libri che rese famosa Ursula Kroeber LeGuin.

Un muro oltre le tenebre da rischiarare e da scalare.

Tutta la vicenda letteraria e umana di zia Ursula permane completamente in questa poetica e filosofica partecipazione alla vicenda umana, in tutti i suoi aspetti.

Aveva il destino segnato fin dall’infanzia, l’indomita Ursula.

Figlia di un antropologo e di una scrittrice, nasce attorniata da miti e letteratura. Suo padre aveva persino “studiato” Ishi – l’unico superstite della tribù degli Yahi in California e la madre, Theodora Kracaw Kroeber Quinn ne scriss: un tristissimo privilegio.

Ursula LeGuin s’innamorò precocemente della fantascienza, scrivendo a nove anni il primo racconto e tentò di piazzarlo. Venne puntualmente respinto ma lei non si perse d’animo, proprio no.

Affinò “le armi” sempre seguendo la sua natura immaginifica, immersa nella mitologia della tecnica, cui sentiva di appartenere. Amava essere libera, intendeva esplorare tutto, possibilmente andando laddove nessuno era mai giunto.

Si laureò alla Columbia University, alla fine degli anni Quaranta, in storia della letteratura francese e del Risorgimento italiano trasferendosi poi a Parigi, dove conobbe Charles LeGuin, l’uomo che sarebbe diventato suo marito nel 1953.

Il primo racconto pubblicato fu un fantasy, «Aprile a Parigi» (1962) ma la notorietà arriverà solo nel 1969 con il romanzo «La mano sinistra delle tenebre» che vinse Hugo e Nebula, i due maggiori premi della fantascienza.

Il medesimo destino spetterà al romanzo «I reietti dell’altro pianeta» (1974) – noto anche come «Un’ambigua utopia» – che aprì il “Ciclo dell’Ecumene” e divenne un punto di riferimento per il mondo anarchico; tutt’oggi molti gruppi libertari si chiamano Anarres.

La fantascienza di Ursula LeGuin è percorsa continuamente dall’opposizione aalla guerra, al sessismo e all’ingiustizia sociale, muovendosi spesso intorno alla difficoltà (o alla perdita) del linguaggio e della comunicazione.

Se chi sta leggendo non conosce «La mano sinistra delle tenebre» salti il (breve) paragrafo successivo perchè si farà spoiler.

Il terrestre Genly Ai è inviato dell’Ecumene sul pianeta Gethen. Scoprirà che gli abitanti sono neutri dal punto di vista sessuale ma ogni 26 giorni attraversano una breve fase detta kemmer in cui diventano maschi o femmine in base a uno scambio di feromoni con il partner, quindi hanno la possibilità di restare incinti.

Gli abitanti, invece che pensare ai vantaggi di venire in contatto con altri popoli, pensano solo a sfruttare Genly Ai per il proprio tornaconto personale, mentre l’Inviato vivrà una strana e formativa esperienza con un Getheniano.

«La luce è la mano sinistra delle tenebre,

E le tenebre la mano destra della luce,

Due sono uno, vita e morte,

e giacciono, Insieme come amanti in Kemmer,

Come mani giunte, Come la meta e la via».

 

Ne «I reietti dell’altro pianeta» incontriamo due mondi: Urras e Anarres. Il primo è organizzato secondo un sistema capitalistico mentre nel secondo i “reietti” anarchici rifiutano la proprietà privata, sostituendola con un collettivismo spontaneo. Hanno anche creato un linguaggio comune, il pravico, per abbattere qualsiasi muro di differenza e incomprensione.

I temi fondamentali di Ursula LeGuin sono rappresentati da concetti molto forti con immagini vivide. I suoi mondi raccontano delle infinite diversità e dei tentativi di costruire ponti. A volte incontriamo una diade precisa (maschi-femmine, giorno-notte, Urras-Anares, magia/tecnica…) altre volte tutto è ancora più complesso.

All’inizio di «La mano sinistra delle tenebre» Genly Ai spiegherà: «Farò il mio rapporto come se narrassi una storia, perché mi è stato insegnato, sul mio mondo natale, quand’ero bambino, che la Verità è una questione d’immaginazione». Quindi Aristotele non può essere rispettato: «E’ impossibile che una cosa sia o non sia, allo stesso tempo e sotto il medesimo rispetto» (in «Metafisica», Libro IV). La Verità come discrimine assoluto tra Giusto-Sbagliato viene messa in cantina, sostituita da una ragione poetico filosofica decisamente aliena. La Verità non costituisce più il vertice della piramide e nemmeno il fulcro della circonferenza. I concetti espressi dalla LeGuin vanno oltre la parola articolata, alla ricerca di un linguaggio-immagine che trascenda tradizioni e differenze.

«Le possibilità di tutte le similitudini, di tutta la figuratività del nostro mondo d’espressione, risiede nella logica della raffigurazione. […] La proposizione può rappresentare la realtà tutta, ma non può rappresentare ciò che, con la realtà, essa deve aver comune per poterla rappresentare – la forma logica. Per poter rappresentare la forma logica dovremmo poter situare noi stessi con la proposizione fuori della logica, vale a dire, fuori del mondo». Così Ludwig Wittgenstein in «Tractatus logico-philosophicus» (4.015, 4.12, pagine 26-27).

Le differenze non pervengono dalla logica ma soprattutto dalla volontà umana, la quale attribuisce valore a tradizioni che non sono necessitanti ma determinate da imperfezioni e incomprensioni logiche ma soprattutto chiuse in questo mondo di rimandi imperfetti. Ecco dunque la necessità di un linguaggio comune per abbattere le differenze: un linguaggio nato da tutti, affiancato a tutti e non esterno al sussistere dei fatti.

Anche il collettivismo spontaneo, secondo Shavek (protagonista de «I reietti dell’altro pianeta») porta comunque a fasi di assurda stasi, se esso non entra in connessione attiva con … l’altro pianeta, in un dialogo che cmbierà entrambi, oltre il muro. E’ solo nel confronto che si superano gli ostacoli, nell’aperta sintesi volontaria (tutt’altro che semplice, sia chiaro).

Ma troppe volte accade il contrario. Chiusi in un sistema che fonda essenzialmente la propria ragione d’essere su fraintendimenti di natura e di logica, gli umani vivono nella piena convinzione di portare l’acqua al mulino delle proprie argomentazioni mentre in realtà compiono violenze mentali e fisiche.

La Verità non è dicibile e affermabile, essa trascende il postulare, l’argomentare per ritornare al di sotto dei nomi, che in realtà non designano la cosa, ma solo un processo.

«[…] Se il volere buono o cattivo àltera il mondo, esso può alterare solo i limiti del mondo, non i fatti, non ciò che può essere espresso dal linguaggio. In breve, il mondo allora deve perciò divenire un altro mondo. Esso deve, per così dire, decrescere o crescere in toto. Il mondo del felice è un altro che quello dell’infelice»: ancora Ludwig Wittgenstein in «Tractatus logico-philosophicus» (6.43, pag. 80).

Una parte della ricerca di Ursula LeGuin risiede in considerazioni di ordine linguistico: i nomi rivestono una forza esponenziale enorme, con essi si portano nuovi semi al prato della discussione. Il fertilizzante è l’immaginazione.

«Mi ci vollero anni per rendermi conto di aver scelto di lavorare in generi disprezzati e marginali come fantascienza, fantasy e narrativa per adolescenti, esattamente perché essi erano esclusi dal controllo della critica, dell’accademia, della tradizione letteraria, e consentivano all’artista di essere libero» (da The Fisherwoman’s Daughter; citato in Oriana Palusci «Da un mondo all’altro: Ursula LeGuin e la storia delle donne» introduzione a «Il giorno del perdono»).

Un grande anelito di libertà. In una scrittura rara e preziosa, arricchita da una fantasia sfrenata e da una profonda analisi dell’animo umano. La voce di Ursula Kroeber LeGuin vola come un falco oltre le briglie accademiche, lo snobismo della scrittura che si crede “alta”.

«Scopo della filosofia è la chiarificazione logica dei pensieri. La filosofia è non una dottrina, ma un’attività. Un’opera filosofica consta essenzialmente d’illustrazioni. Risultato della filosofia non sono “proposizioni filosofiche” ma il chiarirsi di proposizioni. La filosofia deve chiarire e delimitare nettamente i pensieri che altrimenti, direi, sarebbero torbidi e indistinti»: è sempre Ludwig Wittgenstein in «Tractatus logico philosophicus» (4.112).

Wittgenstein esortava (con l’esempio pratico) i suoi studenti a non diventare accademici e così Ursula LeGuin esorta i suoi compagni d’avventura a seguirla nell’immaginazione, nella scoperta della Verità che risiede nell’andare oltre l’effettivamente detto, poiché il mostrato dice più del parlato.

Metafore e miti. Una scala che può portarci oltre il muro, fuori dalle tenebre.

In “bottega” molto abbiamo scritto di lei. Un percorso potrebbe iniziare da questi 6 articoli: Ursula: distruggendo prigioni e inseguendo l’orizzonte, Ancora zia Ursula, un piccolo dossier, Ursula Le Guin ovvero il…. , Ursula Le Guin: «Ritrovato e perduto» (è la recensione più breve mai apparsa in “bottega”: solo 5 parole), Ben pensato, zia Ursula (1) e Ben pensato, zia Ursula (2).

 

L'astrofilosofo
Fabrizio Melodia,
Laureato in filosofia a Cà Foscari con una tesi di laurea su Star Trek, si dice che abbia perso qualche rotella nel teletrasporto ma non si ricorda in quale. Scrive poesie, racconti, articoli e chi più ne ha più ne metta. Ha il cervello bacato del Dottor Who e la saggezza filosofica di Spock. E' il solo, unico, brevettato, Astrofilosofo di quartiere periferico extragalattico, per gli amici... Fabry.

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