Strabismi editoriali sull’America latina

Le campagne di discredito e disinformazione su quanto resta dei governi progressisti continuano ad essere all’ordine del giorno, ma nonostante evidenti contraddizioni e mistificazioni, i produttori di fake news mantengono ancora un preoccupante seguito.

di David Lifodi

Sull’edizione italiana di Le monde diplomatique del mese di giugno, Anne Dominique Correa e Renaud Lambert tracciano un quadro dettagliato sulle ossessioni e gli strabismi editoriali sull’America latina riferendosi a quattro “missionari mediatici” apertamente antibolivariani: John Paul Rathbone, latinoamericanista del Financial Times, Carlos Alberto Montaner, editorialista dei quotidiani anticastristi Miami Herald e Nuevo Herald, Mary Anastasia O’Grady, che dalle colonne del The Wall Street Journal non perde occasione per attaccare il Venezuela bolivariano e non solo, Paulo Paranagua, giornalista di Le monde molto vicino ai partiti di estrema destra come Voluntad popular, apertamente ostili a Maduro.

Lo scorso mese di maggio, in Brasile, è stato lanciato l’appello “Democracia se constrói com informação de qualidade, sem censura e sem fake news”. Non a caso il documento proviene da un paese dove la fake news sono state tra le armi principali che hanno condotto prima Bolsonaro al Planalto e poi a gestire in maniera scellerata l’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, definita dal presidente poco più che una febbriciattola. A sostenere il manifesto per la democratizzazione dell’informazione, tra gli altri, il Centro de Estudos da Mídia Alternativa Barão de Itararé, l’Associação Brasileira de Imprensa, Abraço – Associação Brasileira de Rádios Comunitárias, la Federação Nacional dos Jornalistas, il Fórum Nacional pela Democratização da Comunicação, la Central dos Trabalhadores e Trabalhadoras do Brasil – CTB e l’Agência de Notícias das Favelas.

Eppure, nonostante quotidiani come Le monde, Financial Times e altri dedichino in un anno, all’America latina, un numero di notizie infinitamente minore rispetto a quanto accade in Asia, Africa o Medio Oriente, le fake news abbondano. Ad esempio, nonostante Bolsonaro sia ritenuto universalmente impresentabile, sul Financial Times John Paul Rathbone esprime preoccupazione per la tenuta della democrazia in America latina, minacciata a suo dire non dal Messia Nero, ma da Andrés Manuel López Obrador, il presidente messicano che peraltro sta suscitando molte perplessità sia per la gestione piuttosto disinvolta della pandemia sia per la sua testardaggine nel voler dar vita ad una serie di opere faraoniche come il Tren Maya che provocheranno il desplazamiento di numerose comunità indigene.

Se John Paul Rathbone compie un’operazione che potrebbe essere definita di distrazione di massa, definendo incredibilmente Amlo “pericoloso per la democrazia” e Bolsonaro poco più che uno spaccone, preoccupa anche l’aperto attacco all’informazione democratica latinoamericana, contro il quale il giornalismo sociale chiama alla resistenza, soprattutto a seguito dei tentativi per mettere fuori gioco Telesur Tv, come ha cercato di fare la multinazionale AT&T, specializzata nel sostenere colpi di stato, tramite Directv, bloccando il segnale dell’emittente televisiva nata nel segno dell’integrazionismo e dell’allora progressismo della Patria Grande. Solo pochi mesi fa, del resto, era stata la stessa estrema destra venezuelana ad annunciare un’offensiva contro Telesur Tv con il sostegno dell’ultradestra colombiana.

È stato proprio grazie a Telesur Tv, Hispan TV, Venezolana de Televisión e altri canali non assoggettati al pensiero dominante che è emersa sia la drammatica situazione degli Stati uniti in relazione all’emergenza sanitaria sia il diniego del governo golpista boliviano di fronte alla mano tesa di Cuba per l’invio di proprie brigate mediche per far fronte al Coronavirus, così come grazie alla stessa Telesur Tv sono stati resi noti i tentativi di destabilizzazione del Venezuela da parte della Colombia.

In un tweet dello scorso gennaio, Juan Guaidó scriveva: “Desde su creación, Telesur ha sido utilizado para promover la desestabilización de la región, respaldar grupos terroristas, atentar contra la democracia, mentir sobre Venezuela y defender a la dictadura de Maduro”. Non c’è bisogno di traduzione per comprendere che il golpismo venezuelano non vede l’ora di interrompere, per sempre, le trasmissioni di Telesur Tv, per la gioia anche dell’irriducibile anticastrista Carlos Alberto Montaner, militante di quel Movimiento de Recuperación Revolucionaria capitanato da Orlando Bosch che, tra i vari atti delittuosi commessi, annovera l’attentato del 1976 contro il volo di linea della Cubana de Aviación in cui morirono 73 persone. Nonostante la sua partecipazione attiva al golpismo contro Cuba, Montaner è ritenuto un intellettuale di primo piano, ma i suoi articoli sono soltanto pieni di insulti contro la “narcodittatura venezuelana” e i cileni che dallo scorso autunno “hanno dichiarato guerra all’ordine pubblico”.

Dal colpo di stato del 2009 che fece cadere Zelaya in Honduras a quello che spodestò Fernando Lugo in Paraguay, fino alle coperture giornalistiche da Cuba e dal Venezuela chavista, passando per le denunce sulla repressione di Moreno e Piñera in Ecuador e Cile fino alle denunce del colpo di stato che ha fatto cadere Morales in Bolivia, Telesurt Tv ha raccontato l’America latina in maniera ben diversa dai media occidentali e dalla stampa ultraconservatrice a sud del Río Bravo. Lo scorso 27 novembre, stanchi del silenzio sul golpe in Bolivia, hanno protestato addirittura i sindacati canadesi, esprimendo solidarietà e vicinanza ai movimenti sociali boliviani.

Tuttavia in America latina la battaglia per la democratizzazione dell’informazione resta ben lontana dall’essere vinta, soprattutto in un contesto in cui le manifestazioni cilene continuano ad essere definite come opera di “terroristi di sinistra” e l’opposizione a Maduro condotta da “politici di centro destra e centro sinistra” (Paranagua e O’Grady dixit).

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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