L’italico Volklore

di Rom Vunner

Spaghetti, pizza e mandolino. Un tempo eravamo famosi per questo. Ancora prima come poeti e navigatori. Più recentemente per il bunga-bunga. Attualmente, si dice, perché tra le economie più avanzate siamo tra i pochi in cui non è legale uccidere e far scomparire i sindacalisti.

Nel giro di circa ventiquattrore un nostro ministro ha detto che il lavoro non è un diritto e il salvatore dell’industria italiana che è folklore considerare che un lavoratore non può essere licenziato per le idee che ha e per l’impegno in un sindacato. Per quanto riguarda il diritto è vero che la Costituzione dice il contrario ma i tecnici, si sa, non devono badare a certi sofismi ma solo all’efficacia dei loro calcoli e all’efficienza della macchina. Per il folklore, invece, è risaputo che i padroni non vogliono rompicoglioni tra i piedi ed è pure risaputo che il Mondo è dei padroni.

Eppure queste due notizie non sono che fuffa.

Ben più preoccupante è la realtà che ci circonda. Così, ad esempio, lunedì 11 giugno degli operai di una cooperativa che protestavano contro il licenziamento a Basiano (MI) sono stati caricati per far passare i furgoncini con sopra i crumiri. Caricati, in effetti, è un eufemismo: due operai con le gambe spezzate da lacrimogeni sparati da pochi centimetri, un operaio in coma e altri 15 ricoverati in ospedale, ovviamente sono stati arrestati in 18. Questi operai erano stati licenziati (90 su 120) da un giorno all’altro, lavoravano in una di quelle cooperative che coprono lo sfruttamento di quei marchi della grande distribuzione che si presentano belli e luccicanti. Quelle cooperative che rappresentano la fine non dei diritti ma della stessa dignità umana. Quelle cooperative che grazie a sub-sub-sub.appalti possono garantire salari da fame e condizioni di lavoro disumane. Chissà cosa avevano fatto questi disgraziati per non essersi guadagnati il lavoro ma la vita rovinata. Sicuramente cercavano di fare un po’ di folklore italico, un po’ di sindacalismo autorganizzato.

Questo fatto, sconosciuto ai più, abilmente nascosto dai media mainstream, troppo occupati a parare il didietro alle lobby affaristiche che li detengono, non è entrata nell’agenda setting dei grandi opinionisti televisivi e i sindacati confederali non lo hanno ritenuto significativo come argomento per contrastare la grande riforma. Rimane solo come avvertimento per chi nei prossimi mesi cercherà di difendere quel poco che rimane.

Certo tutto questo non è una novità e risalendo anche solo al 2001 è possibile notare che la solfa è la stessa. Si dice che nei giorni di Genova vi fu una sospensione dei diritti, quello che forse non abbiamo compreso è che da allora quei diritti non sono mai stati ripristinati, vengono concessi ogni tanto ma non compaiono più come diritti.

Tzetan Todorov in Di fronte all’estremo – quale etica per il secolo dei campi di sterminio e dei gulag (Garzanti, 1992), segnalava come l’ideologia nazista si basasse su un culto della tecnica e del lavoro svincolati dall’etica, svincolati dalle loro conseguenze. Se fosse così ci troveremmo nel pieno della propaganda di questa ideologia. L’ideologia nazista non si presentava come brutta e cattiva, era un’ideologia che finalmente metteva fine a quei movimenti, questi sì brutti e cattivi, che non permettevano alla Germania di riprendersi dalla crisi. Era la modernità. Era quell’ideologia che permetteva a qualunque idiota di divenire un’opinionista, di assurgere ad esperto di pronunciare abomini considerati perle di saggezza. Permetteva a uno bruttino, scuro e un po’ gobbo di dire che l’uomo doveva essere alto, grosso e biondo.

Ieri ho sentito una docente ordinaria dell’Università di Torino, moglie di un docente ordinario dell’Università di Torino e la cui figlia è ricercatrice all’Università di Torino, dire che il lavoro non è un diritto e va guadagnato. Questa docente è un ministro italiano, un ministro che non rappresenta la volontà popolare ma una lettera del capitale finanziario.

Rom Vunner

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