Grande è la guerra sotto il cielo. La situazione è pessima

articoli, link e video di Lorenzo Guadagnucci, Marco Maurizi, Loris Campetti, Francesco Borgonovo, Gianni Tognoni, Gigi Proietti, Associazione Centro Documentazione Polesano, Fabrizio de Andrè, Jonathan Ng Truthout, Pepe Escobar, Domenico Gallo, Tiziano Cardosi, Wu Ming e Giuseppe Bruzzone. A seguire una nota della “bottega” sui nostri dossier precedenti.

 

Pullman della Solidarietà

L’Associazione Centro Documentazione Polesano di Rovigo ha organizzato un pullman per andare a prendere 48 persone ucraine (donne e bambini) con un viaggio organizzato che parte dall’Italia per passare dalla Slovenia, Ungheria e per arrivare in Romania alla frontiera con l’Ucraina, non abbiamo sponsor e la nostra iniziativa a giorni sarà nel sito di buonacausa.org per un crowfunding e il titolo sarà “Pullman della Solidarietà”, tutti i versamenti saranno sul nostro Iban dell’Associazione sopracitata, ci siamo accordati con la CRI di Rovigo che ci fornisce i tamponi rapidi e le mascherine, con l’Associazione Bandiera Gialla di Rovigo che ci fornirà i viveri per il ritorno che le persone ucraine che arriveranno a Rovigo per poi essere smistate in famiglie ucraine di Rovigo e dintorni.
Ecco l’Iban dell’Associazione:
IT21Z0306909606100000138630 e la causale sarà NO GUERRA oppure Pullman per l’Ucraina, basta un cenno su quello che stiamo per fare.

In pullman ci sarà un’infermiera e un medico volontari con un interprete a disposizione

 

Resistenza civile – Lorenzo Guadagnucci

Fra i tanti paradossi del non-dibattito sulla guerra in Ucraina e sulle scelte che abbiamo compiuto o stiamo per compiere e su ciò che ne può conseguire (questo aspetto, in particolare, è pressoché inesistente nel discorso pubblico), c’è un piccolo ma rivelatore paradosso. Molti, fra quanti sostengono la necessità di inviare armi da guerra al governo ucraino, fanno un parallelo con la resistenza italiana durante la seconda guerra mondiale: partigiani allora contro l’occupazione nazifascista, partigiani oggi contro l’invasione russa; il paradosso è che gli eredi dei nostri partigiani, cioè l’Anpi, respinge tale accostamento ed è scesa in piazza per la pace e contestando l’opportunità di gettare benzina, cioè armi, sul fuoco della guerra. Paradosso nel paradosso: fra chi sostiene il parallelo Italia ’43 – Ucraina ’22 non sono pochi i detrattori della resistenza italiana, sempre sminuita nella sua importanza, se non attaccata per le sue attitudini politiche e le sue azioni.

Proprio un’analisi storica ci permette di avviare un ragionamento attorno alle scelte che stiamo compiendo e alle prospettive che ne conseguono. È pacifico, sul piano storico, che i nostri partigiani durante la seconda guerra mondiale furono un supporto – prezioso e di enorme spessore morale, un viatico all’insediamento della repubblica antifascista, ma un supporto – alle forze armate alleate, vere protagoniste sul piano militare della liberazione d’Italia e della sconfitta dell’esercito tedesco. Mutatis mutandis, la scelta di armare l’Ucraina è stata presa senza prefigurare alcunché: gli esperti militari sostengono che per fermare e sconfiggere l’invasore russo non basterà distribuire armi alla cittadinanza, ma servirebbe un intervento militare esterno, cioè cacciabombardieri e tutto il resto, quindi una guerra aperta contro la Russia da parte della Nato, dell’Unione europea o almeno di una coalizione di stati. Se questa fosse la strategia, l’impulso alla resistenza ucraina avrebbe un senso diverso – cioè più senso – da come si prospetta attualmente, sia pure al prezzo di scatenare – sostanzialmente – una terza guerra mondiale.

Altrimenti, qual è l’obiettivo dell’invio di armi? Nessuno si è sentito in obbligo di chiarirlo, nell’assenza di un vero dibattito sulla guerra in corso e sulle opzioni che abbiamo a disposizione. Se non vogliamo la terza guerra mondiale – e tutti dicono di non volerla – e se non è possibile fermare altrimenti l’invasione russa, perché inviamo armi? Per aiutare la giusta resistenza ucraina, si dice. Ma con quali obiettivi? In vista di che cosa? Di quale via d’uscita, cioè di quale soluzione che possa far tacere le armi? E a che prezzo? Nessuno ne parla.

Una resistenza armata?

È possibile che si pensi di rallentare l’invasione, sperando che nel frattempo succeda qualcosa a Mosca: una rivolta popolare, un golpe a opera degli oligarchi… Mah. O forse si ipotizza di convincere Putin, attraverso una resistenza più forte del previsto, a limitare i propri obiettivi e magari “accontentarsi” di occupare solo una parte del paese. O forse altro ancora, ma nessuno menziona ipotesi e prospettive; nessun giornalista incalza i governi europei su questo punto, né un dibattito si è aperto nel mondo politico: tutti sembrano accontentarsi delle decisioni prese finora, senza spingersi oltre, senza offrire alcuna prospettiva. Il dubbio dunque è legittimo. Davvero una resistenza armata in Ucraina è la soluzione migliore per l’avvenire del popolo ucraino e di tutti gli europei? Non c’è il rischio che tutto si risolva in una carneficina ancora più cruenta senza il minimo avvicinamento a una soluzione?

In questa paralisi del pensiero chiunque voglia mettere la guerra in Ucraina in una prospettiva storica e sul più ampio scenario geopolitico globale, viene messo sotto attacco e accusato di fare il gioco del nemico, se non si trova addirittura inserito nel girone infernale dei “putiniani” (metodo violento e volgare praticato sia da modesti esponenti politici sia da supposte grandi firme del giornalismo). Eppure, non è possibile affrontare politicamente la guerra ucraina, senza gli strumenti della politica e quindi senza prospettiva storica. Il movimento pacifista italiano ha messo a disposizione le sue conoscenze e la sua esperienza pluridecennale – a questo è servita la manifestazione del 5 marzo – ricordando, fra le altre cose, gli errori compiuti nell’ultimo trentennio: è dal 1989, quando il blocco sovietico cominciò a dissolversi, e non dal febbraio scorso che pacifisti e nonviolenti indicano la necessità di immaginare un futuro di pace in Europa attraverso la collaborazione con la Russia e i paesi limitrofi, liberando il continente dai missili ereditati dalla guerra fredda (“dall’Atlantico agli Urali”, si diceva); rispettando l’impegno a non allargare la Nato verso est; dismettendo le testate atomiche.

È un fatto storico che siamo andati in direzione opposta, con sicumera da apprendisti stregoni, favorendo pericolosamente lo sviluppo dei nazionalismi nell’est europa e l’ansia russa di accerchiamento, come detto e scritto infinite volte da innumerevoli osservatori e diplomatici. La guerra un corso potrà finire solo riprendendo il filo di questo ragionamento, ma toccherà farlo con un’occupazione in corso, una minaccia di guerra globale incombente e migliaia di morti in più.

La resistenza armata oggi è descritta e concepita come una scelta ovvia, oltre che opportuna, nell’Ucraina soggetta a un’invasione, ma perché scartare a priori altre strade? Perché non domandarsi se non stiamo rischiando di incrementare distruzione e morte, col carico di odio aggiuntivo che ciò comporta, senza un vero motivo, in assenza di obiettivi politici percepibili, cosicché fra qualche settimana e con qualche migliaia di morti in più, si presenti comunque la necessità di confrontarsi con un’Ucraina occupata dai russi e la necessità di trovare un equilibrio geopolitico.

Una resistenza popolare

Perché allora non incoraggiare una resistenza civile del popolo ucraino? Sarebbe meno cruenta e probabilmente più efficace. Certo, non potrebbe fermare l’invasione, ma nemmeno la resistenza armata sembra in grado di farlo e non a caso il presidente Zelenski ha già chiesto un intervento diretto dell’occidente, quindi la terza guerra mondiale. L’occupante, una volta terminata l’invasione, dovrà “governare” in qualche modo l’Ucraina, e una resistenza popolare con forme di non-collaborazione e boicottaggio potrebbe col tempo cambiare lo scenario, nonostante gli sfavorevoli rapporti di forza in ambito militare. Una resistenza civile renderebbe anche più plausibile e più concreto l’intervento di un mediatore internazionale, potrebbe ridare smalto all’Onu, fondata a suo tempo per impedire il ricorso alla guerra come metodo di regolazione dei rapporti fra stati – il metodo, non dimentichiamolo, che nel secolo scorso ha trasformato l’Europa in un cumulo di macerie e in un immenso cimitero.

In un documento dei giorni scorsi, i pacifisti tedeschi suggeriscono questa strada: chiedono il cessate fuoco russo, una conferenza internazionale su tutti i conflitti in corso, un’azione diplomatica per una nuova architettura di sicurezza ma anche la rinuncia ucraina alla lotta armata e il passaggio alla resistenza civile, nonché l’accoglienza per gli obiettori di coscienza ucraini, e poi il sostegno di lungo periodo ai cittadini ucraini nella ricostruzione di spazi di democrazia anche in condizioni di temporanea occupazione russa.

Verso l’irrimediabile

Conosciamo già la reazione immediata del Palazzo e dei media mainstream: roba da sognatori, mentre i tank russi avanzano; Putin va fermato e basta. È per via di questo riflesso pavloviano – il rifiuto delle riflessione a mente aperta con profondità storica – che le manifestazioni pacifiste di questi giorni vengono ignorate, sbeffeggiate o messe esplicitamente sotto accusa, ma qui si torna al punto di partenza. Se l’obiettivo è davvero fermare l’invasione, come ignorare le richieste di escalation che arrivano dal presidente Zelenski? E come evitare, allora, la terza guerra mondiale?

Nessuno ha certezze di fronte agli orribili avvenimenti di questi giorni, ma senza un dibattito serio, senza mettere i fatti in una prospettiva storica, senza immaginare una soluzione di medio e lungo periodo che consideri e includa gli interessi geopolitici russi (nonostante i crimini di Putin e dei suoi generali, che forse un giorno saranno puniti), il rischio incombente è uno scivolamento progressivo, passo dopo passo, verso l’irrimediabile.

da qui

 

 

Chi pensa “concretamente”? Le riflessioni pacifiste – Marco Maurizi

C’è un saggetto di Hegel intitolato Chi pensa in modo astratto? che mostra come chi si riempie la bocca di “concreto” sia quello veramente “astratto”, in senso deteriore. Mi torna spesso alla mente questi giorni di guerra in cui da più parti ai pacifisti viene chiesto di essere “concreti”.

Ci sono due cose che insegno i primi giorni di lezione in filosofia e storia. La prima è di non usare mai la parola “concreto”. La seconda è di non rappresentarsi i conflitti storici come bisticci da asilo. Questi giorni mi confermano che tale approccio è vitale.

La parola “concreto” viene bandita dalle mie aule per almeno un paio di anni. Chi conosce gli studenti sa che quando imparano i rudimenti della filosofia quella parola risucchia come un buco nero qualsiasi rapporto concettuale e impedisce loro di acquisire una terminologia precisa: empirico, materiale, corporeo, sensibile, fenomenico, oggettuale, oggettivo, esistenziale, personale, individuale, singolare ecc. Spesso dovrebbero usare uno di questi termini e invece quel “concreto” sulle loro labbra blocca l’accesso ad un termine migliore che li introduce ad una serie di rapporti più ricca e articolata.

In secondo luogo, l’uso rozzo del termine concreto impedisce un’adeguata comprensione del termine opposto: “astratto” finisce per significare qualcosa di negativo, cioè di fantastico, indeterminato e addirittura utopistico. Ma la capacità di astrazione ha come oggetto esattamente il contrario. Tra l’altro comprendere il significato corretto dell’astrazione è una spia del fatto che si sta sviluppando la capacità corrispondente.

Consiglio sempre di leggere “Segmenti e bastoncini” di Lucio Russo che denuncia il declino del pensiero astratto nella scuola. L’astrazione è la potenza stessa del pensiero che si emancipa dall’immediato, dal dato singolare, dall’impressione casuale e costruisce relazioni ideali di senso. Senza “astrazione” non ci sarebbe sapere teorico in nessuna disciplina, né scientifica né umanistica.

Agli stessi poveri studenti chiedo anche di non parlare mai dei rapporti di potere alludendo a dinamiche personali, attraverso un immaginario che riduce tutto alle scaramucce tra bambini viziati. In modo foucaultiano pretendo che immaginino il potere non come una “cosa” ma come una “relazione”, anzi un insieme di relazioni conflittuali, fatte non solo di “forza” ma anche di parole, gesti, simboli, astuzia, alleanze, saperi.

Perché anche qui, chi conosce gli adolescenti sa che rischiano facilmente di ridurre ogni evento storico alla pura e semplice “avidità” o, peggio, ad un’indeterminata “voglia di potere”. E allora ecco che Alessandro Magno, Cesare, Costantino, Robespierre, Napoleone, Mussolini e Stalin finiscono per sembrare la stessa persona che agisce in circostanze diverse. Alla fine non volevano tutti “il potere”? E, alla fine, chi è che non lo vuole?

E qui il cerchio si chiude. Sembrano tutti la stessa persona che vuole la stessa cosa perché si sta facendo una “cattiva astrazione”. Invece di essere precisi e determinati si è vaghi e generici. Ma quanto appare “concreta” quella spiegazione alla mente adolescente rispetto a quella che invoca simboli, valori, ideali, che determina contesti, situa conflitti, possibilità e convenienze non immediate, materiali, evoca processi storici e sociali più ampi?

In nessun caso, poi, come nella spiegazione del fascismo e del nazismo questo lavoro è necessario e difficile. Perché qui, più che altrove, l’arbitro soggettivo e, nel caso di Hitler, il profilo psicologico entrano prepotentemente in scena. E dunque proprio qui occorre saper bilanciare “spiegazioni” totalizzanti e vuote che evocano la “brama di potere”, la “forza bruta” e, addirittura, la “follia”, con contestualizzazioni che diano a questi elementi, pur presenti, un significato minimamente specifico.

Questo dovrebbe chiarire perché le frequenti accuse che ho letto ai pacifisti di non essere “concreti” perché al Cremlino c’è un “pazzo” che per “brama di potere” vuole annettersi mezza Europa mi paiono poco significative. Sono discorsi da bambini che vogliono fare gli adulti.

“Concreto” qui significa tre cose, tutte e tre sbagliate. Da un lato, chiedersi: “cosa dovremmo fare per l’Ucraina ORA?”, isolando dal contesto causale ciò che accade, cioè operando una cattiva astrazione. Dall’altro, chiedersi: “cosa dovremmo fare per l’UCRAINA ora?”, operando una seconda cattiva astrazione, perché l’oggetto dell’azione in questo caso sono, confusamente, i “concreti” individui bombardati, ma anche lo Stato sovrano che è sì una realtà concreta ma che sta dentro una serie di relazioni più complesse e quindi astratte (non solo diplomatiche, economiche e militari ma anche storiche: popolazione russofona ecc.).

Last but not least: “cosa dovremmo FARE per l’Ucraina ora?” è l’astrazione più cattiva di tutte. Qui “fare” viene immaginato subito nei termini dell’azione fisica, quasi che gli stati agissero come degli individui. Le analogie col quotidiano si sprecano: “se uno da un pugno ad un altro tu che fai?”. Ovviamente, di fronte alle immagini dei profughi e delle bombe e alla reale invasione da parte dei russi, chi non vorrebbe “agire” subito? Ma per fare cosa?

L’unica risposta sensata è porre fine alla guerra che è poi quello che “concretamente” vogliono i pacifisti. Ma i guerrafondai hanno un’idea più “concreta”. Per porre “concretamente” fine alla guerra bisogna fare la guerra. Ovviamente non lo dicono ma perché sono astratti, nel senso deteriore del temine. Vediamo perché.

Bisogna “mandare le armi”, dicono. Bene, non entriamo nel merito di cosa significa questo per la democrazia degli stati che lo fanno anche se per noi pacifisti (e socialisti) è fondamentale. Facciamo finta – cattiva astrazione – che per noi “inviare armi” sia indifferente economicamente, politicamente, socialmente e culturalmente. Che tipo di armi? Quante? A che scopo?

Esiste una narrazione secondo cui l’esercito russo non può sconfiggere l’Ucraina e noi potremmo senza impegnarci troppo aiutarla a “resistere”. È un assunto indimostrabile e sinceramente contro-intuitivo. Ma anche qui, facciamo finta (cattiva astrazione), che i russi siano in difficoltà. Chi agisce “concretamente” dovrebbe come minimo misurare l’entità della sua “azione”. Fino a che punto siamo disposti ad intervenire nel conflitto? Diamo carta bianca ai governi? D’altronde, se l’idea “concreta” è mandare armi per salvare gli individui “concreti” non posiamo fare altro. Tutto il resto lo abbiamo escluso perché “irrilevante”.

I nostri amici “concreti” vogliono mandare le armi ma non ci dicono quante e fino a che punto dovremmo inviarle. Ovviamente non vorrebbero la Terza Guerra Mondiale ma non sembrano altrettanto interessati ad evitarla. L’escalation si chiama così perché ci si provoca reciprocamente. L’unico modo per evitarla è non provocare. Ma questo, per gli amici “concreti”, è un ragionamento astratto e vigliacco. Quindi andiamo alla guerra nucleare, ma con juicio.

Noi pacifisti e socialisti siamo vigliacchi, ce lo ripetono dal 1914. Ma il fatto è che non siamo abituati a considerare la storia guardandola dal punto di vista dei capi di stato e delle loro “personalità”, dei popoli e dei loro “caratteri nazionali”. Siamo materialisti e abbiamo il pallino di cercare di capire come funzionano le società industriali e cosa muove i loro rapporti. Ed ecco che improvvisamente i nostri discorsi diventano non abbastanza nobili, sono rozzi e volgari, forse troppo angustamente “concreti”…

Gli amici guerrafondai, invece, si nobilitano tutti per il loro agitarsi, anzi, la loro superiorità morale sta tutta nel non farsi troppe domande inutili e partire in quarta ad “agire”. D’altronde, anche solo invocare un minimo di comprensione del contesto in cui ci troviamo, per capire cosa stiamo facendo e cosa dovremmo e potremmo fare, diventa eo ipso una “giustificazione” di Putin e dell’invasione.

Perché, in effetti, anche questo viene interdetto. La spiegazione “concreta” che ci viene offerta è che Putin ha solo “brama di potere” o che “è pazzo”. D’altronde, non è forse “come Hitler”? Con il che, appare evidente, ogni ipotesi non dico di negoziato ma anche di speranza di mantenere il conflitto ad un livello locale e temporaneo è negata a priori. Come si fa a negoziare con un pazzo o uno che ci si immagina abbia in testa solo la conquista di tre continenti a scelta?

“Negoziare” poi viene immaginata come un’entità vaga e indefinita, una cosa da anime belle che non sanno “agire concretamente”. Perché la storia, si sa, viaggia sulle ali dei proiettili, gesti e parole non contano niente. Anche se leader che delirano pubblicamente di “libertà europea” hanno un effetto molto più grande (e pericoloso) rispetto alle armi che inviano.

Certo, è vero, negoziare in modo efficace sarebbe possibile solo se la NATO e l’UE fossero disposti a cambiare la propria prospettiva strategica in termini economici, politici e militari. Perché esattamente questo è il motivo per cui negli ultimi vent’anni non si è arrivati ad un sistema difensivo europeo diverso e a rapporti diversi con la Russia. E questo, lo riconosciamo, è qualcosa che difficilmente possiamo immaginare dagli attuali leader dell’Occidente.

Ma questo non è un buon motivo per non pretendere, come facciamo noi pacifisti socialisti, che si agisca nell’unico modo che potrebbe garantire la pace. Ovvero in modo conflittuale rispetto agli interessi delle classi proprietarie e delle istituzioni da loro abusivamente occupate.

Perché in soldoni questo pretendono da noi i guerrafondai: non solo che sposiamo il loro punto di vista infondato e assassino ma anche che smettiamo di chiedere giustizia, che ci adeguiamo allo status quo. “Non potete pretendere altro”. Ma questa non è “concretezza”: è una profezia che si auto-avvera. Ciò che, in altre stagioni, avremmo chiamato pura e semplice ideologia.

https://www.azionenonviolenta.it/qualcosa-di-concreto-le-riflessioni-pacifiste-di-marco-maurizi/

 

 

 

 

Lo scandalo eterno della guerraGianni Tognoni

L’unica cosa “vera”, cioè fattuale, attesa, pianificata, documentabile, marginale nelle cronache e nelle considerazioni politiche su quanto sta succedendo in queste ore che diventano giorni, senza una fine prevedibile, in Ucraina, sono le vittime, militari e civili, dirette e indirette. Sapendo bene, come si dice per tutte le guerre, che la prima vittima certa è la verità, da tutte le parti in causa. Ma è una guerra – quella “scoppiata”, ma sorvegliata e accompagnata negli infiniti dettagli, come un parto ad alto rischio in un luogo (enclave, regione, Stato nuovo, indipendente, neo-coloniale) – di cui si può dire solo che coincide, da tanti anni, con intervalli di altri “scoppi”, sanguinosissimi, ma interni, e non qualificabili come guerre. Ed è guerra di chi, contro chi, e per che cosa? È chiaro l’aggressore materiale: e l’aggredito (oltre alle vittime sul campo)? Il diritto internazionale? La comunità degli Stati? La “civiltà” occidentale?

Quale posto occupa questa guerra-in-cerca-di-un-nome tra i tanti scoppi, acuti e cronici, con equivalenti o molte più, o meno, vittime di cui è così ricca e variata la mappa del mondo, spesso con attori molto simili, o coincidenti, con quelli che occupano il primo piano, e soprattutto le prime pagine, delle news in questi giorni? Dagli scenari, tanti, permanenti, a singhiozzo dell’area Kurda, della Siria, della Libia, del Sahara Occidentale, dello stillicidio palestinese… solo per rimanere “dalle nostre parti”? Ma senza dimenticare il Myanmar, il Kashmir, il Mali… E se tutto quanto avviene-avverrà in Ucraina fosse solo (con costi intollerabili in termini di vite e di diritti umani: ma molto più calcolati e decisivi a livello economico-finanziario e di macroinvestimenti militari) una delle mosse – azzardate? arroganti? spiazzianti? – di una partita a scacchi permanente, giocata sui tavoli riservati di diplomazie che giornalmente “digeriscono” senza batter ciglio le guerre ai migranti da ogni guerra, i bombardamenti sul futuro dell’ambiente e delle generazioni presenti e future degli affamati-scartati, gli algoritmi neutrali che decidono ciò che è legale-permesso, e cancellano le vite concrete dei popoli, che sono disturbanti perché introducono la variante dei diritti umani di ognuna/o?

Nulla di nuovo, dunque, in Ucraina. Le domande si sono fatte più esplicite, perché geograficamente ed emotivamente vicine. Come era stata un tempo la ex-Yugoslavia e i suoi genocidi accompagnati da guerre umanitarie, che ci aveva aggiornato sulla “prossimità” di quanto era accaduto in Rwanda, e nella guerra del Golfo. Ma avevamo dimenticato presto: Irak, Isis, Sri Lanka, il genocidio lungo 70 anni della Colombia che continua nel silenzio perfetto di tutti gli attori, anche noi, dell’Ucraina…

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Siamo in guerra, nonostante l’articolo 11 della CostituzioneLoris Campetti

Così siamo in guerra. Non è la prima volta dalla Liberazione dal nazifascismo. Eppure, la Costituzione dice chiaramente che «l’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

Nel momento in cui si decide di inviare armi a un paese belligerante è ovvio che si entra a far parte dei paesi belligeranti. E poi, chi lo decide? Il presidente del consiglio. Ma non dovrebbe essere il Parlamento a decidere un atto tanto grave e impegnativo? Ricordo in passato i dibattiti appassionati sulla scelta di partecipare a un conflitto fuori dal territorio nazionale, ricordo il dramma di Pietro Ingrao, per esempio, e il suo no in nome dell’articolo 11 della Carta. Al suo funerale c’erano due bandiere, quella del Pci e quella della pace. Erano i tempi di Cocciolone. Ricordo, una decina d’anni dopo, l’ossimoro della guerra umanitaria quando D’Alema diceva e faceva cose ben diverse e peggiori – sostenuto da tutti tranne da Rifondazione comunista, mentre il Pdci di Rizzo era nel governo di guerra contro la Jugoslavia ma per non farsi mancar niente andava con la bandiera della pace a manifestare sul ponte di Belgrado – dalle cose ragionevoli che dice oggi sul conflitto in Ucraina. Già, allora le bombe erano intelligenti. E poi altre guerre, con l’ok del Parlamento.

Nella politica italiana oltre alla mobilitazione civile di massa c’era un qualche barlume di sinistra politica che resisteva al pensiero unico americano, oggi si stenta a rintracciarlo. Sarà la pandemia che ci ha anestetizzato tutti quanti, sarà il vento presidenzialista, sarà che quasi nessuno più mette in discussione l’ombrellone della Nato, fatto sta che oggi basta un premier – lo chiamano così – a decidere l’invio di armi per alimentare guerra, morti e distruzioni. Il segretario del principale erede del Pci (e della Dc) calza l’elmetto e stimola Draghi a fare di più, lancia appelli alla guerra contro la Russia del nuovo zar Putin. Renzi non trova di meglio che prendersela con l’Anpi, colpevole di accompagnare alla critica alla politica guerrafondaia di Putin l’analisi delle cause che hanno determinato la decisione criminale di invadere, o tentare di invadere, l’Ucraina.

Ho nostalgia di giganti come Gino Strada, o come Stefano Rodotà. Ma pensando alla mancata autonomia politica ed energetica dell’Italia, ho nostalgia persino di Enrico Mattei. Oggi è tutto più complicato e melmoso. Eppure, dovremmo esserci abituati, noi che abbiamo una cultura di sinistra, a opporci alla guerra senza poterci e volerci schierare con una parte in conflitto: così è stato quando sotto le bombe Usa e Nato finivano disgraziati popoli guidati ora da Milosevic, ora da Saddam, ora da Gheddafi, ora da Assad, ora dai talebani. Dittatori, certo, ma dittatori nemici o non più amici, criminali di guerra come tanti altri con cui però commerciamo amabilmente dalle parti di Ankara o di Tel Aviv. O del Cairo. È che la guerra non è mai una soluzione, ed è facile farla esplodere ma difficilissimo farla terminare. Le bombe uccidono la povera gente, uccidono i bambini che a Kiev e a Mosca, nel Donbass e a Roma piangono e ridono allo stesso modo, le bombe costringono interi popoli alla fuga. Per aiutare gli ucraini oggi, come ieri altri popoli bombardati e in fuga, o bombardati mentre fuggono come i kosovari nel treno abbattuto dalle nostre armi intelligenti, servono politica, mediazione, diplomazia. Servono bende, ospedali, medicine, cibo, accoglienza. Non altre armi.

Né con Putin né con la Nato. Né né. Provando ad andare oltre gli Ossi di seppia di Montale: «Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». Dovremmo riprendere la parola, sempre, quando la follia imperiale bombarda un popolo fratello ma anche quando le bombe cadono sugli ucraini colpevoli di parlare russo come avviene da otto anni nel Donbass. Quella parola che ci siamo risparmiati troppo a lungo quando la follia della Nato dilagava conquistando nazione dopo nazione nell’est Europa in dissoluzione e accerchiando il nemico di sempre che nel frattempo non era più l’Urss ma la Russia. Mentre la Nato è sempre la Nato, solo molto più estesa…

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Segui i soldi: come la Russia aggirerà la guerra economica occidentale – Pepe Escobar

Gli Stati Uniti e l’UE stanno esagerando con le sanzioni russe. Il risultato finale potrebbe essere la de-dollarizzazione dell’economia globale e la massiccia carenza di materie prime in tutto il mondo.

Quindi una congregazione di pezzi grossi della NATO nascosti nelle loro casse di risonanza mediatiche prende di mira la Banca Centrale russa con sanzioni e si aspetta cosa? Biscottini?

Quello che invece hanno ottenuto sono state le forze di deterrenza russe portate a “uno speciale regime di servizio” – il ché comporta che le flotte del Nord e del Pacifico, il comando dell’aviazione a lungo raggio, i bombardieri strategici e l’intero apparato nucleare russo siano tutti quanti in stato massima allerta.

Un generale del Pentagono ha fatto molto rapidamente i calcoli di base su ciò appena avvenuto, e solo pochi minuti dopo, una delegazione ucraina è stata inviata a condurre negoziati con la Russia in una località segreta a Gomel, in Bielorussia.

Nel frattempo, nei regni vassalli, il governo tedesco era impegnato a “porre limiti ai guerrafondai come Putin” – un impegno piuttosto grande considerando che Berlino non ha mai posto tali limiti per i guerrafondai occidentali che hanno bombardato la Jugoslavia, invaso l’Irak o distrutto la Libia in completa violazione della legge internazionale.

Pur proclamando apertamente il loro desiderio di “fermare lo sviluppo dell’industria russa”, danneggiare la sua economia e “rovinare la Russia” – facendo eco agli editti americani su Irak, Iran, Siria, Libia, Cuba, Venezuela e altri nel Sud del mondo – i tedeschi possibilmente potrebbero non riconoscere un nuovo imperativo categorico.

Finalmente sono stati liberati dal loro complesso di responsabilità della Seconda Guerra Mondiale nientemeno che dal presidente russo Vladimir Putin. La Germania è finalmente libera di sostenere e armare di nuovo i neonazisti – ora nella varietà del battaglione ucraino Azov.

Per capire in che modo queste sanzioni della NATO “rovineranno la Russia”, ho chiesto la succinta analisi di una delle menti economiche più competenti del pianeta, Michael Hudson, autore, tra gli altri, di un’edizione rivista dell’imperdibile Super-imperialismo: la strategia economica dell’impero americano .

Hudson ha osservato come sia “semplicemente agghiacciato dall’escalation quasi atomica degli Stati Uniti”. Sulla confisca delle riserve estere russe e sulla chiusura per la Russia dal sistema di pagamenti internazionali SWIFT, il punto principale è che “ci vorrà del tempo prima che la Russia introduca un nuovo sistema con la Cina. Il risultato porrà fine alla dollarizzazione per sempre, poiché i Paesi minacciati di “democrazia” o che mostrano indipendenza diplomatica avranno paura a usare le banche statunitensi”.

Questo, secondo Hudson, ci porta alla “grande domanda: se l’Europa e il gruppo dei Paesi del dollaro potranno ancora acquistare materie prime russe – cobalto, palladio, ecc. e se la Cina si unirà alla Russia nell’embargo di questi minerali”.

Hudson è fermamente convinto che “la Banca Centrale russa, ovviamente, ha attività bancarie estere per intervenire sui mercati valutari per difendere la sua valuta dalle fluttuazioni. Il rublo è precipitato. Ci saranno nuovi tassi di cambio. Eppure spetta alla Russia decidere se vendere il proprio grano all’Asia occidentale, che ne ha bisogno; o smettere di vendere gas all’Europa attraverso l’Ucraina, ora che gli Stati Uniti possono prenderlo”.

Sulla possibile introduzione di un nuovo sistema di pagamento Russia-Cina aggirando il sistema SWIFT e combinando il sistema russo SPFS (System for Transfer of Financial Messages) con il  sistema cinese CIPS (Cross-Border Interbank Payment System), Hudson non ha dubbi “il sistema russo-cinese sarà implementato. Il Sud del mondo cercherà di unirsi e allo stesso tempo manterrà il sistema SWIFT, spostando le proprie riserve nel nuovo sistema”…

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IL TRIPUDIO DELLE INDUSTRIE DELLE ARMI – Jonathan Ng Truthout

A febbraio, una fotografia del presidente russo Vladimir Putin seduto a un tavolo di 13 piedi con il presidente francese Emmanuel Macron ha fatto il giro del mondo. Macron è arrivato per discutere dell’escalation della crisi in Ucraina e della minaccia di guerra. Alla fine, il loro discorso sull’espansione della NATO in Ucraina è fallito, producendo poco più della bizzarra fotografia.
Ma l’incontro è stato surreale per un altro motivo. Nell’ultimo anno, Macron, il principale negoziatore di pace dell’Unione Europea, ha condotto un’ambiziosa campagna di vendita di armi, sfruttando le tensioni per ampliare il commercio francese. La stampa specializzata ha persino riferito che egli sperava di vendere i caccia Rafale all’Ucraina, irrompendo nell’”ex bastione dell’industria russa”.
Macron non è solo. Gli appaltatori della NATO considerano la crisi in Ucraina come un buon affare. A gennaio, il l’amministratore delegato di Raytheo, multinazionale americana di armamenti, Gregory Hayes, ha citato “le tensioni in Europa” come un’opportunità, aspettandosene dei benefici”. Allo stesso modo, l’amministratore delegato della Lockheed Martin ha illustrato agli azionisti i vantaggi di una “grande concorrenza di potere” in Europa.
Il 24 febbraio, la Russia ha invaso l’ Ucraina, bombardando le città e penetrandovi con le truppe, mentre i civili hanno invaso le autostrade, tentando di fuggire dalla capitale. E il valore delle azioni dei produttori di armi è salito alle stelle.
Il conflitto sull’Ucraina rende più drammatico il potere del militarismo e l’influenza degli appaltatori della difesa. Una spinta ai mercati – non solo l’imperialismo – ha fomentato l’espansione della NATO, mentre infuriano le guerre dall’Europa orientale allo Yemen.

L’espansione della Nato

L’attuale conflitto con la Russia è iniziato sulla scia della Guerra Fredda. Il calo della spesa militare ha strozzato l’industria degli armamenti negli Stati Uniti e in altri Paesi della NATO. Nel 1993, il vicesegretario alla Difesa William Perry convocò un incontro solenne con i dirigenti industriali. Gli addetti ai lavori l’hanno definita “l’ultima cena”. In un’atmosfera carica di tensione, Perry ha informato i suoi ospiti che i tagli imminenti al bilancio militare statunitense richiedevano un consolidamento dell’industria. Seguì un’ondata intensa di fusioni e acquisizioni, Lockheed, Northrop, Boeing e Raytheon si rafforzarono mentre aziende più piccole morirono per la scarsità derivante dal dopoguerra.
Mentre la domanda interna si riduceva, gli appaltatori della difesa si sono affrettati a assicurarsi nuovi mercati esteri. In particolare, hanno messo gli occhi sull’ex blocco sovietico, considerando l’Europa dell’Est come una nuova opportunità per l’accumulazione. “La Lockheed ha iniziato a guardare alla Polonia subito dopo la caduta del muro”, ha detto il venditore veterano Dick Pawlowski . “C’erano appaltatori che inondavano tutti quei Paesi”. I produttori di armi divennero i lobbisti più aggressivi per indurre a un’espansione della NATO. Il suo ombrello di sicurezza non rappresentava semplicemente un’alleanza formidabile, ma anche un mercato allettante.
Tuttavia, i lobbisti hanno dovuto affrontare un grosso ostacolo. Nel 1990, il segretario di Stato James Baker aveva promesso al leader sovietico Mikhail Gorbaciov che se avesse permesso a una Germania riunita di aderire alla NATO, tale organizzazione non si sarebbe spostata “di un pollice verso est”. Ma i lobbisti sono rimasti fiduciosi. L’Unione Sovietica si era disintegrata, prevaleva il trionfalismo della vittoria nella Guerra Fredda e i vantaggi acquisiti spingevano all’espansione. “I fabbricanti di armi vedono la fortuna nella espansione della NATO”, riferì il New York Times nel 1997. Il giornale in seguito notò che “l’espansione della NATO — prima in Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca e poi a una dozzina, se non più, di altri Paesi – avrebbe offerto ai produttori di armi un mercato nuovo ed estremamente redditizio”…

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PER FAVORE NON INDOSSATE L’ELMETTO – Domenico Gallo

Ecco gli elmi dei vinti

quando un colpo

ce li ha sbalzati dalla testa

non fu allora la disfatta

fu quando obbedimmo

e li mettemmo in testa.

Questa poesia di Bertold Brecht è il miglior commento possibile al momento drammatico che stiamo vivendo in perfetta incoscienza.
Da quando è iniziata la tragedia della guerra il 24 febbraio, non è esploso soltanto un conflitto fondato sulla violenza delle armi, è dilagato in tutt’Europa lo spirito nefasto della guerra, si è materializzata l’immagine del nemico ed è iniziata una mobilitazione bellica della comunicazione, della cultura, delle coscienze. La condanna secca e senza appello dell’aggressione russa all’Ucraina si è trasformata velocemente nell’acritica accettazione della logica della guerra. Di fronte a questo disastro, segno tangibile del fallimento della politica di sicurezza e cooperazione in Europa, le principali forze politiche, non solo in Italia, con il conforto del fuoco di sbarramento unanime dei mass media, hanno assunto il linguaggio della guerra e si sono esercitate in una guerra delle parole contro il nemico. Lo spirito di guerra comporta una divisione manichea dell’umanità, per cui tutto il male sta dalla parte del nemico e tutto il bene dall’altra. Il dissenso non è tollerato perché giova al nemico. Così l’ex deputata europea Barbara Spinelli è stata additata come filoputiniana per aver scritto sul Fatto che “il disastro poteva forse essere evitato, se Stati Uniti e Ue non avessero dato costantemente prova di cecità, sordità, e di una immensa incapacità di autocritica e di memoria” ed il corrispondente della RAI Marc Innaro è stato oggetto dei fulmini del PD per aver osservato: “basta guardare la cartina geografica per rendersi conto che chi si è allargato negli ultimi trent’anni non è stata la Russia, è stata la NATO.” Ma il linciaggio mediatico più velenoso è quello effettuato contro l’ANPI ed il suo Presidente, Gianfranco Pagliarulo, reo di aver scritto – in un comunicato precedente all’invasione russa – che “l’allargamento della Nato a Est è stato vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia”. Non sono ammesse critiche sugli indirizzi di ordine politico che ci hanno fatto passare dallo smantellamento della guerra fredda, frutto delle scelte di disarmo e di distensione della politica di Gorbaciov, ad una nuova corsa al riarmo ed al confronto politico militare con la Russia di Putin, adesso drammaticamente sfociato in una guerra “calda” con l’invasione dell’Ucraina. Anzi non solo non sono ammessi ripensamenti, ma addirittura c’è la consacrazione di quelle scelte al punto che il segretario del PD, Enrico Letta, in una recente intervista alla Stampa ha dichiarato “Quello che è successo dimostra che la Nato doveva fare entrare l’Ucraina prima. E che l’alleanza atlantica serve perché la democrazia va difesa”.
Insomma la politica ha indossato l’elmetto ed è scesa simbolicamente in guerra. Però questa settimana è stata superata un’ulteriore soglia, col passaggio dalle parole alle azioni di guerra. Il Presidente del Consiglio Draghi nelle sue comunicazioni alle Camere, il primo marzo, ha motivato la decisione di inviare armi al governo ucraino, con queste parole:
“L’Italia ha risposto all’appello del presidente Zelensky, che aveva chiesto equipaggiamenti, armamenti e veicoli militari per proteggersi dall’aggressione russa. È necessario che il Governo democraticamente eletto sia in grado di resistere all’invasione e difendere l’indipendenza del Paese.” Quindi Draghi ha aggiunto: “La minaccia portata oggi dalla Russia è una spinta a investire nella difesa più di quanto abbiamo mai fatto finora.” In sostanza la lezione che il governo trae da questi fatti è che bisogna incrementare la corsa agli armamenti. L’unica opzione esistente – secondo Draghi – è :” scegliere se farlo a livello nazionale oppure europeo.” Lo scenario che si prefigura è quello della costruzione di un’Europa come potenza militare, armata fino ai denti, che costruisce le relazioni con i suoi vicini fondate sull’intimidazione invece che sul dialogo e la cooperazione: insomma la guerra fredda permanente…

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Una dichiarazione – politica e di poetica – sul virus del militarismo nel corpo sociale – Wu ming

Nei nostri due libri del 2015 Cent’anni a Nordest e L’invisibile Ovunque riflettevamo,  con gli strumenti dell’inchiesta e della letteratura, sul centenario della Grande Guerra e su come l’Italia lo stava celebrando. Lo facevamo avendo in mente le guerre jugoslave degli anni Novanta, nonché alla luce del conflitto in Ucraina. Perché, conviene ricordarlo, in Ucraina la guerra c’è dal 2014. La conclusione era che, cent’anni dopo la prima guerra mondiale, il nostro Paese e in certa misura l’Europa tutta avevano più che mai bisogno, e sempre più avrebbero avuto bisogno, di anticorpi antimilitaristi, di esempi di diserzione, di rifiuto di ogni intruppamento. Perché quella del continente sul cui suolo non si sarebbero più combattute guerre era una fòla e nient’altro.

Da anni ci occupiamo in vari modi dello “scacco” che ha subito storicamente l’antimilitarismo. Lo ha subito in occidente e in particolare in Italia, dove uno schieramento politico-culturale trasversale ha lavorato alacremente per spargere ovunque tossine nazional-patriottiche, autoritarie, militar-feticiste (quanto sono belle le Frecce Tricolori!), guerrafondaie.

Un’offensiva culturale “sdoganante” i cui promotori, vedendo che c’erano ben poche resistenze, hanno osato sempre di più. Non si sono fermati di fronte a nulla, tra falsi storici, narrazioni tossiche sugli «Italiani brava gente» mai colpevoli di niente – si veda la propaganda revanscista incentrata sulle foibe – e celebrazioni istituzionali di presunti momenti «gloriosi» della patria: la battaglia di El Alamein (ricordiamolo: al fianco dei nazisti), la guerra marinara della X MAS (anche qui al fianco dei nazisti, e ancora nel 2007 la nostra Marina ha battezzato un sommergibile «Scirè» in onore alla X Mas), i bombardamenti illegali sulla Spagna, le bombe sull’Inghilterra (ovviamente al fianco dei nazisti) ecc.

Oggi militarismo e bellicismo sono totalmente sdoganati, non li mette in questione quasi nessuno.

Abbiamo visto due marò accusati di omicidio trasformati in eroi della patria.

Abbiamo visto l’esercito schierato nelle strade con compiti di ordine pubblico.

Lo abbiamo visto fare propaganda nelle scuole elementari.

Soprattutto, negli ultimi due anni abbiamo subito la militarizzazione spinta della gestione pandemica, con il ricorso a una retorica bellicista, il tricolore ovunque e  un generale in mimetica a rappresentare la campagna vaccinale. L’emergenza pandemica come «guerra al virus»…

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LA FOLLIA DELLE “ARMI ALL’UCRAINA” – Tiziano Cardosi

Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico (B. Brecht)

Questa rivista recita nel suo titolo “La Città Invisibile” avendo nel significato l’intenzione di dare voce a chi non l’ha o l’ha tacitata dal clamore di media mainstream. Anche se i nostri interessi sono concentrati sulla città, sul territorio, sulla difesa dei diritti civili e sociali non possiamo tacere in questo momento molto grave in cui una guerra sta devastando l’Ucraina, ma anche la politica e la vita del nostro paese. Anche in questo tempo di guerra vorremmo far sentire le voci tacitate o sovrastate dalla tempesta mediatica. Non vogliamo entrare in dettagliate analisi geopolitiche che altri meglio di noi sanno fare, ovviamente condanniamo l’invasione russa che riteniamo un crimine e un errore che si ritorcerà contro la Russia stessa.

È bene ricordare come i pacifisti russi ed ucraini hanno sempre avuto posizioni molto convergenti e proposte concrete; nessuno li ha voluti ascoltare in precedenza, oggi vengono citati solo quelli russi perché arrestati, nessuno vuol ricordare le loro convergenze. Ancora, dal basso, si affaccia qualche sintomo di speranza che si cerca di recidere.

Quello che oggi ci stupisce, ci indigna e ci preoccupa profondamente è la reazione sincrona di tutti i governi europei, dentro e fuori l’UE; ci ha lasciato stupiti che all’inizio dell’invasione non si sia subito tentato di fermare le armi e chiesto all’invasore di sedersi per capire le sue richieste e cercare una mediazione che fermasse l’orrore.

La sciagurata decisione di “aiutare” gli Ucraini, soprattutto con l’invio di nuove armi, segna l’intenzione europea ed atlantica di non voler fermare il conflitto, anzi pare volerlo con forza. Intanto aumentano vertiginosamente le spese militari ovunque, resuscitano vecchie ambizioni sopite come la decisione tedesca di riarmarsi fortemente; i fantasmi novecenteschi più inquietanti si concretizzano di nuovo.

L’impressione è che nessuno abbia voluto fermare la follia della guerra scatenata da Putin, ma subito si è creato un clima di guerra tentando di costruire un fronte interno disposto ad accettarla con i soliti strumenti: polarizzazione delle posizioni, criminalizzazione del nemico (che nel caso di Putin è fin troppo facile), demonizzazione di ogni dissenso accusando ogni posizione critica di accordo col “nemico”, vittimizzazione dell’alleato e demonizzazione del nemico, allarmismo esasperato accollandone le responsabilità al “nemico”.

Gli esempi di questo clima sono talvolta sfociati nel ridicolo come nel tentativo di impedire addirittura delle lezioni su Dostoevskij o di farle assieme ad un autore ucraino in una visione demenziale di par condicio, il licenziamento di artisti rei di non aver fatto auto da fè; ma anche l’ondata di immagini sulle condizioni dei profughi appare più uno strumento di propaganda che non una denuncia dei misfatti della guerra, visto che ci si dimentica che le vittime di altri conflitti (Libia, Jugoslavia, Iraq, Siria, Libia, Afghanistan, Yemen…) non hanno commosso e non commuovono nessuno, nemmeno adesso dove ai confini della “pietosa” Europa vengono respinti verso la guerra quelli che non hanno capelli biondi o occhi azzurri.

Quando arriva la guerra evapora ogni spirito critico, le opinioni diverse diventano tradimento, il dissenso è appoggio al nemico; succede in Russia, dove i pacifisti di quel paese stanno cercando di fermare la follia del loro governo rischiando l’arresto, accade, per ora in modo più soft, anche ad ovest, con l’ostracismo o la tacitazione del dissenso.

Il clima che gronda dai media principali è quello emergenziale che non consente dubbi, si crea un ambiente che non può che condurre alla riduzione degli spazi democratici; l’emergenza della pandemia aveva prodotto uno dei governi in cui il ruolo del Parlamento era ridotto a quello di un votificio senza alcun dibattito, adesso la guerra acuisce questa deriva, tutta l’attenzione è sulla cattiveria di Putin e sui mezzi possibili per punirlo.

Le conseguenze di questa guerra sono fuori dalle nostre previsioni, ma sicuramente saranno profonde e segneranno cambiamenti notevoli, sicuramente non buoni. La brutale follia di Putin e del suo entourage pare aver ottenuto obiettivi opposti a quelli cercati: la NATO, che pareva in stato piuttosto confusionale, si è momentaneamente ricompattata, l’Europa pagherà alti costi di questa guerra soprattutto sul piano energetico; pagheranno più di tutti gli Ucraini che si trovano tra il martello russo e l’incudine di un occidente che non cerca una tregua e vorrebbe costringerli ad una guerra di logoramento. Chi pare nella condizione di festeggiare davvero sono gli Stati Uniti che vedono uno dei loro principali competitori impantanato nelle steppe sarmatiche mentre il timore di una saldatura tra l’Europa dei capitali forti e risorse naturali russe svanisce; adesso possono affrontare con maggior tranquillità il vero nemico, la Cina, e sperare di mantenere egemonia sul sistema mondo.

Questa conflitto tra Russia e Europa è per noi uno scontro tra soggetti capitalistici oligarchici; in questo contesto si capisce come popoli e persone non contino nulla se non come masse da manovrare mediaticamente; uscire da questo incubo e costruire democrazia reale è il compito che il movimento pacifista deve darsi, oltre a fermare i carri armati e chiudere i portelli delle postazioni missilistiche. Fondare una convivenza non basata sulla potenza, il conflitto, la disuguaglianza, ma sulla cooperazione.

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Appunti di Pace – Giuseppe Bruzzone

Per prima cosa inviterei chi legge, se volete, in maniera spudorata, a riflettere su un libro “Psicanalisi della guerra atomica” di Franco Fornari, pacifista di grande levatura e storicamente orientato, nelle sue indicazioni di comportamento come cittadini di uno Stato, in tempi nucleari, appunto. C’ è la necessità di ribadire che un conflitto tra Stati, come nel passato, con le armi oggi esistenti, potrebbe decretare la fine vita, perfino di tutti i contendenti, delle opinioni di questi e una distruzione immane delle cose ? Senza contare, fatto di cui non si parla molto, quasi contasse poco, del coinvolgimento di tutti gli altri Stati non in guerra. Non sarebbe già un ulteriore motivo per rinunciare a tutte le guerre ? Considerato che gli Stati hanno dei rappresentanti che potrebbero confrontarsi tra loro di persona, prima di far parlare le armi, i cui produttori, dopo una guerra nucleare, come potrebbero impiegare i loro guadagni ed esibirne la loro utilizzazione pratica ? Non siamo alla cecità assoluta di tanti di noi che pensiamo di essere eterni e sempre “vincitori”,verso qualcuno, non considerando il periodo storico attuale ? Che, appunto, come,   in una possibile guerra nucleare tutti saremmo coinvolti, lo siamo già come abitanti della Madre Terra  con i problemi comuni che ci riguardano: clima, sociali, sanitari. Dovremmo reagire come il generale svizzero della “Difesa” che afferma che non sarebbe male che i suoi concittadini preparassero una scorta di cibo e acqua per 5 (!) giorni visto gli accadimenti del momento. E sarebbero salvi ? Anche se loro hanno sicuramente tante costruzioni anti nucleari, che comunque non basterebbero per tutti gli abitanti. E la radioattività portata dai venti non la considerano ? E’ un ragionamento logico, storico ? Non converrebbe che altri come lui, si dessero da fare per impedire qualsiasi possibilità di guerra ? Gli svizzeri non sono uomini e donne come gli altri, e un inverno nucleare non nuocerebbe anche a loro ?

In questa situazione di guerra attuale Russia-Ucraina, con vari accadimenti, mi ha colpito l’uccisione di un delegato ucraino da parte degli stessi ucraini, come presentata dai nostri giornali “seri” con più o meno alta tiratura. Sarebbe stato un “agente” di Mosca. Punto e basta. Non è che , magari , abbia presentato idee difformi da quelle circolanti, oggi, in quegli ambienti ? In questo grido continuo di guerra, di aiuti militari di vari Paesi compreso il nostro, di fotografie attestanti bombardamenti  di palazzi, uno dei quali sarebbe stato riconosciuto di Gaza bombardato dagli israeliani, e anche occorre dirlo, di sofferenza vera della popolazione. Ma quando gli  americani bombardavano la Siria, la Libia, l’ Irak, la Jugoslavia, il Vietnam ( napalm e diossina ) c’ era questa “partecipazione”alla sofferenza, nei nostri quotidiani ? Le bombe americane non uccidono i civili, bambini compresi, come quelle  russe ? Basta guerre, basta violenza generica come quella di cui sopra ! Oserei dire che siamo in epoca nucleare e che noi uomini e donne di questi giorni,  dovremmo cambiare atteggiamento verso il proprio Stato togliendogli la possibilità di fare guerre, di “convertire” le industrie di armi, se vogliamo che i  nostri nipoti, figli, possano avere una vita “umana” davanti a sé,  in armonia con una natura di cui dovremmo fermare il decadimento con certi interventi ipotizzati , ma non realizzati. Abbiamo la possibilità di aderire al trattato di Proibizione delle armi nucleari. Facciamolo, ampliando un movimento per la Pace che sta via via crescendo. Deve  esserci questa volontà di Pace , deve concretizzarsi, deve far conoscere la necessità dei tempi. Siamo nel 21 esimo secolo, capiamolo, e la vita, su questo Pianeta deve procedere, con i bisogni reali degli uomini e delle donne che vi abitano. La casacca che ognuno di noi ha, conta , non va rinnegata, ma è storicamente superata : siamo uomini e donne del mondo !

Viva le donne e l’ 8 marzo !

 

 

UNA NOTA DELLA “BOTTEGA” SUI NOSTRI DOSSIER

Ieri in  Un altro giorno è andato articoli, link e video di Pino Arlacchi, Francesca Borri, Pasquale Pugliese, Tonio Dell’Olio, Danilo Tosarelli, Marinella Mondaini, Linea d’Ombra, Roberto Vivaldelli, Enrico Euli, Alessandro Orsini, Gianni D’Elia, Matteo Saudino, Carlo Bellisai, Mauro Presini, Geraldina Colotti, Franco Battiato, Lucio Caracciolo, Alberto Sordi. E la petizione “Basta discriminare gli africani che scappano dall’Ucraina“. 

Lunedì 7 marzo in Le persone, gli eserciti, le sanzioni, i gasdotti e… (e quel che potremmo fare) articoli di Sergio Bellucci, Moreno Biagioni, Tonio Dell’Olio, Doriana Goracci e Bruno Vitale. Con una poesia di Marco Cinque e (in coda) alcuni link.

Domenica 6 marzo in Biden scrive a Putin, una guerra tira l’altra e… abbiamo ripreso articoli di Alessandro Ghebreigziabiher, Jonathan Cook, Lea Melandri, Sarah Babiker, Francesco Masala, Lorenzo Guadagnucci, Norma Bertullacelli, Fulvio Vassallo Paleologo e Mauro Armanino con un

Sabato 5 marzo testi di Franco Astengo, Giorgio Beretta con Tommaso Coluzzi, Tonio Dell’Olio, Enrico Semprini; una riflessione di Mario Agostinelli, Alfiero Grandi, Jacopo Ricci e Alex Sorokin; con un link a un testo – in inglese – di Noam Chomsky) in Ucraina-Russia: Chi lavora per la pace e… .

Venerdì 4 marzo sono apparsi in  CESSATE IL FUOCO! articoli di retepacedisarmo, Donne in Nero Reggio Emilia, Antonio Perillo, Roberto Buffagni, Ennio Remondino, Paolo Desogus, Gianni Lixi, Samed Ismail, Marinella Mondaini, Vincenzo Costa, Umberto Franchi, Michael Roberts, Thomas Mackinson, Matteo Saudino, Sara Reginella, Jeremy Corbyn, Ascanio Celestini, Ernesto Sferrazza, Marco Arturi con video e un film.

Giovedì 3 marzo Ucraina: un pezzo della guerra mondiale con interventi di Patrick Boylan, Giorgio Riolo, Gianluca Cicinelli, Olivier Turquet, Michael Brenner, Vincenzo Costa. Vale segnalare anche Censura e rete: TOR nella guerra Russia-Ucraina di Jolek78 ma anche  Nucleare e guerra: il terrore corre sui media di Giorgio Ferrari.

Domani probabilmente faremo un altro dossier.

Grazie a chi ci manda testi e link ma ovviamente sono troppi per essere pubblicati tutti in un piccolo blog come questo; perciò la redazione sceglierà solo quelli che ci sembrano più completi, articolati e “propositivi”; cercando di non ripetere cose già scritte e aggiungendo qualche link per chi vuole ulteriormente approfondire. Lo spazio dei commenti è a disposizione anche per annunciare incontri e iniziative concrete. Molto avevamo scritto intorno al drammatico nodo dell’Ucraina. Per esempio qui: La sinistra (se c’è) e la guerra permanente (che c’è) con interventi di Giorgio Ferrari ed Elio Pagani , Ucraina: quale via verso la pace? (di Umberto Franchi e di Daniele Barbieri), Catastrofe Ucraina: fra Nato e Russia (di Enrico Semprini, Gianluca Cicinelli e Umberto Franchi), Ucraina: la Storia aiuta a capire (di Giorgio Riolo), Crisi Ucraina-Nato: il ruolo dei pacifisti (di Alessandro Marescotti), Armi, la droga pesante dei terrestri… (di Francesco Masala), Fabbricanti di guerre sempre all’opera. E noi? (John Scales Avery, Tommaso Di Francesco, Antonio Mazzeo, Gregorio Piccin ) e Morire per Kiev? O per la Nato? (con articoli di Pasquale Pugliese, Elisabetta Grande, Oleksiy Bondarenko, Federico Petroni, Marinella Mondaini, Giulio Chinappi) ma vale recuperare alcuni testi meno recenti: come Ucraina: quei nazisti così coccolati (dalle democrazie) di Moss Robeson nel 2021, Per non dimenticare Odessa, 2 maggio 2014-2018 di Enrico Vigna con una ricostruzione fotografica impressionante della strage, Kiev, capitale del neonazismo europeo del 2019 (sempre di Enrico Vigna) e molti altri fra cui l’analisi storica di Rossana Rossanda nel 2014 Ucraina, genesi di un conflitto. Inoltre la “bottega” da quando esiste pubblica – in modo ossessivo? – notizie e analisi sulle spese militari crescenti, sui tragici conflitti dimenticati (o per meglio dire nascosti dalla gran parte dei media e dalla politica dei Palazzi) e sul quotidiano lavorio di chi “fabbrica” guerre nel silenzio dei “grandi” media. Lo abbiamo fatto e continueremo perchè le catastrofi non cesseranno (anzi aumenteranno inevitabilmente) se non bloccheremo un’economia e un modo di vivere che a livello mondiale si basano sulle armi e sulla sopraffazione.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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