Cartoline dal Festival Alta felicità

Nonostante le intimidazioni, anche quest’anno l’evento in Val di Susa ha riscosso una grande partecipazione.

di Maria Teresa Messidoro

 

Nonostante i tentativi di bloccare il Festival Alta Felicità intimidendo il sindaco di Venaus con false accuse ed inutili allarmismi, nonostante i lacrimogeni lanciati contri i manifestanti, nonostante alcuni giorno dopo la chiusura del festival ci sia stato l’arresto di Giorgio, che era stato sottoposto a fine giugno alla misura della sorveglianza speciale, per aver contravvenuto all’obbligo di dimora, nonostante le successive perquisizioni nel presidio di Venaus e in quello di San Didero, anche quest’anno il Festival Alta Felicità si è svolto, con grande successo.

Ne parliamo attraverso la testimonianza di Caterina, volontaria al Festival, le riflessioni di Chiara Sasso e Alberto Poggio, pubblicate su Volere la luna, quella di Ivan Basadonna, apparsa sul sito del Centro Sereno Regis di Torino e infine il comunicato di Amnesty International Italia, dopo aver monitorato la manifestazione di domenica 30 luglio

 

Siamo i ribelli della montagna

di Caterina

L’eco del movimento no tav riecheggia ben oltre la valle, raggiungendo luoghi e latitudini ben diverse da quelle all’ombra del Moncenisio.
L’esperienza della Val di Susa è rara e preziosa, di quelle che è ormai difficile trovare per longevità e coesione. È difficile, forse impossibile riassumere questa esperienza di lotta con poche parole, ma si possono forse individuare delle parole chiave, come dei punti luminosi di una costellazione che uniti hanno un senso: la giustizia, la trasversalità, la differenza, la cura.
È, questa, una lotta emblematica di un territorio ben preciso e di chi lo abita, ma non è difficile sentirsi parte di questa lotta. È come sentire nel più profondo di sé questa ingiustizia come se fosse propria.
Esistono, forse, pochi esempi di un movimento come quello No Tav. Convivono, qui, diverse anime a costruire una certa convivialità delle differenze.

C’è un’Italia intera in questa valle rappresentata dalle esperienze di ogni singola persona. Ogni singola esperienza ricompone un tessuto fatto da una trama sottile e delicata e intessuta di politica, di militanza, di credi, di giustizia.

Per raggiungere Venaus abbiamo percorso quasi l’Italia intera tagliandola in diagonale, lasciando il mare a destra per dirigerci a ovest tra le montagne. Alla vigilia del Festival dell’Alta Felicità, il nostro Paese, come a ripercorrere quella diagonale immaginaria, era vessato da nord a sud da eventi che, seppur molto diversi, sembravano avere un unico comune denominatore: il lassismo e l’incuria.
Dalle grandinate del Veneto, ai nubifragi della Lombardia e gli incendi in Sicilia e Puglia, tutto sembra assumere ormai la forma della catastrofe nell’indifferenza della politica e del potere costituito.
I nostri territori, spesso fragili, hanno bisogno di cura e attenzione. Molti di questi episodi, sono figli di una politica che si prende poca cura dei luoghi e dei suoi cittadini, incapace di avere un pensiero lungo e ancor meno di mettere in pratica azioni concrete. Vediamo troppo spesso territori sgretolarsi, perdere forma, bellezza e storia.
Esistono posti che rappresentano le vene aperte di questo Paese, ferite dalle quali trasuda l’incapacità non solo di prevedere le fratture, ma anche di essere in grado di costruirci sopra, una volta aperte.
Basterebbe prestare attenzione, ascoltare i luoghi, ascoltare i bisogni di chi in quei luoghi ci vive ogni giorno, per chi ci è nato e per chi ha scelto di viverci.
E insisto sulla cura perché ne ho fatto un manifesto personale: bisognerebbe avere a cuore tutto, interessarsi anche delle piccole cose. Questo mondo è una somma di piccole cose.
Per certi versi, ma con le opportune differenze, il movimento mi ha ricordato quello dei Cittadini e Lavoratori liberi e pensanti di Taranto, un movimento decisamente più giovane, ma che coinvolge una popolazione in maniera trasversale e anch’esso impegnato in una riflessione su lavoro e salute, sulla tutela di un territorio ormai ricoperto da una patina rosa, e dove non si riesce a sbrogliare la matassa che intreccia, appunto, la salute e il lavoro.

A volte penso che la mia generazione, è una generazione sfortunata, che si sente beffata dalla storia. Figlia di quella generazione che ha visto nella contestazione degli anni settanta, la possibilità di cambiare l’esistente e che si ritrova, oggi, senza strumenti per costruire, a volte completamente incapace di farlo, a volte senza nemmeno il tempo per farlo.
In questo luogo le generazioni si incontrano, con i loro fallimenti, le loro fragilità, ma anche con la loro forza dettata da quella diversità che è così evidente. Siamo capaci di essere fragili e forti insieme e pensare alla fragilità come punto di partenza, più che di arrivo.
Un giorno del festival, Pio si è messo a distribuire prugne a tutti i ragazzi e le ragazze che arrivavano con il bus a Venaus, li ha aspettati al “varco”, con questa scenetta un po’ comica, un po’ estemporanea ma che io ho trovato molto simbolica. L’ho preso in giro dicendogli che mi sembrava che stesse distribuendo la comunione e in quel momento ho realizzato il senso di tutto questo. Si sta al mondo per essere in comunione, spezzare il pane con gli altri. Essere compagni e compagne (cum panis) significa condividere il pane con gli altri, mangiarne insieme, sedersi alla stessa tavola. Occorre recuperare anche le parole nel loro significato più profondo, a volte dimenticato.
Siamo punti dai quali passano infinite rette. Infinite le combinazioni possibili. A noi sta scegliere una direzione, unire i punti, delineare una traccia. Scegliere da che parte stare, dove sedersi.
Essere i ribelli della montagna.

Tav in Valsusa: la Felicità fa rumore

 di: Chiara Sasso e Alberto Poggio

https://volerelaluna.it/tav/2023/08/03/tav-in-valsusa-la-felicita-fa-rumore/

 

Non si sa da dove cominciare per raccontare. Festival ad Alta Felicità. Se fosse un video si farebbe una lunga carrellata delle centinaia e centinaia di tende montate nei prati. Se fosse uno Chef potrebbe descrivere i tanti punti di ristoro dove si sfornavano panini, paste, sangria, macedonia, prelibatezze da fornelli in lotta (cibo preparato da un esercito di persone che hanno dato la loro disponibilità a lavorare – gratis – con turni massacranti). Se fosse un elettricista potrebbe vantarsi dei punti luce, tutti perfettamente a norma. Così come il lavoro di falegnami, carpentieri montatori. Se fosse un addetto alla sicurezza saprebbe quanti steward con il patentino regolari erano presenti (fra questi molti vigili del fuoco in pensione che conoscono bene il mestiere). Un antropologo potrebbe analizzare la contaminazione fra persone diversamente giovani e giovanissimi, insieme a lavorare, spostare, tagliare e chiacchierare.

Se fosse un geografo potrebbe divertirsi a contare quante città d’Itala sono presenti con ragazzi, famiglie, persone provenienti da Catania, Parma, Milano, Pisa, Brescia, Roma, Napoli, Firenze, dalla Francia dalla Spagna eccetera. Venute non solo per seguire il festival, ma per “lavorare”. Un sociologo avrebbe annottato i diversi momenti di confronto, dal clima al lavoro, dai migranti alle disabilità alle questioni di genere… Uno spazio libero, ma allo stesso tempo protetto, dove potevano transitare giochi in libertà di bambini, carrozzine per disabili, rugbisti, giocolieri e senza paura di giudizi, teneri amori fra ragazze e innamoramento fra ragazzi mano nella mano.

Se fosse un discografico sarebbe sorpreso dalla diversità di proposte musicali da Miss Keta al Coro degli Alpini di Rivoli. Fino a Diodato con il suo “Fai rumore”. E, in effetti, domenica un po’ di rumore è stato fatto, al cantiere di Chiomonte e al nonluogo di San Didero, tanto per ricordare la contrarietà a questo progetto. Come sempre i no Tav sono stati accolti con pioggia di lacrimogeni tanto che Amnesty ha voluto ricordare gli standard di diritto internazionale: «una protesta pacifica, seppur attraversata da circoscritti atti di violenza, resta pacifica e le forze di polizia devono garantire che possa proseguire tutelando anche le persone che vi partecipano».

Se fosse un filosofo darebbe per raggiunto l’obiettivo presentato da Andrea in conferenza stampa: «il raggiungimento del sogno visionario». Per essere liberi c’è bisogno di verità – è stato detto – e anche per questo non c’era posto migliore dove ricordare Andrea Purgatori, esprimendo l’immenso senso di gratitudine «per l’ostinazione, per la ricerca instancabile di verità nascoste. Purgatori ha scelto da che parte stare senza mai abbandonare arte talento e ironia». Non cambierà il mondo, quel testo di saluto scritto da Tiziana e letto da Antonietta dal palco di un piccolo paese come Venaus, dove si svolgevano gli incontri “culturali”. Ma l’applauso dirompente ha fatto bene al cuore di tutti.

Non cambierà il mondo questo festival fatto da tante persone provenienti da mondi diversi. O forse lo sta già cambiando. Un fiume carsico di energie che esiste tutto l’anno. Persone che si occupano e organizzano in valle altri eventi, piccoli e grandi: pro loco, sagre, biblioteche, feste di paese e che poi confluiscono nell’evento di luglio ognuno portando la sua specificità.

Hanno tentato in ogni modo di bloccare l’ottava edizione del Festival ma ad ogni articolo di giornale saliva la consapevolezza che quello spazio andava difeso. Nella notte fra il 5 e 6 dicembre 2005 era stato il parroco di Venaus a suonare le campane per chiamare a raccolta la popolazione e difendere il presidio. Questa volta le campane le hanno suonate i giornali. Una pubblicità enorme ha permesso di trasformare la Borgata 8 dicembre (il nome per ricordare la memorabile giornata della liberazione di Venaus), ancora una volta in un grande palco a cielo aperto di persone che hanno intenzione di prendere in mano il loro futuro e lottare per il bene comune.

La felicità e la lotta della Valle fanno sempre più rumore. Ora riecheggiano al di qua e al di là di quelle Alpi che qualcuno si ostina a voler traforare da parte a parte. In Italia come in Francia sono in tantissimi ad aver capito che questo mega tunnel inutile e dannoso deve essere fermato. La pensa così Éric Piolle, sindaco di Grenoble che ci ha fatto una grandissima sorpresa venendo al Festival e salendo sul palco per ribadire la contrarietà a questo progetto anacronistico. È una ventata di aria fresca quella che arriva dalla Francia, che coinvolge città, associazioni e cittadini in movimento che hanno animato i dibattiti del Festival. Speriamo possa soffiare fino a Torino e a Roma, per spazzare via le idee stantie con cui ci ammorba da anni la politica inconcludente delle grandi opere. Nella Valle che resiste clima, diritti, acqua, comunità sono al centro del dibattito. Perché se fosse una tromba, l’Alta Felicità ci suonerebbe la sveglia. E suonerà ancora e ancora.

(Le foto sono di Luca Perino)

https://volerelaluna.it/tav/2023/08/03/tav-in-valsusa-la-felicita-fa-rumore/

 

Venaus: un amore che nasce dalla rabbia e una rabbia che nasce dall’amore.

Ivan BasadonnaIvan Basadonna

https://serenoregis.org/2023/08/02/venaus-un-amore-che-nasce-dalla-rabbia-e-una-rabbia-che-nasce-dallamore/

 

Forse non tuttə conoscono la storia e il portato simbolico dell’area di Venaus dove da ormai 7 edizioni si svolge il festival alta felicità.

A Venaus, lungo un pezzo del prato su cui vengono montate le tende e nell’area dell’arena, doveva sorgere il primo mega cantiere del tunnel di base del TAV nel 2005.

Il movimento notav, che fino a quel momento era ancora un movimento d’opinione che cercava di assumere una legittimità politica, attuava qualche piccolo atto di sabotaggio e si dedicava allo studio del progetto facendo controinformazione, decise così di occupare con delle tende e un container questa piccola area adiacente alla statale facendo per quasi un mese socialità e assemble nel freddo inverno di montagna.

Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre qualcosa cambiò, per la prima volta lə solidali in un pacifico e festoso presidio provarono quella che a tutti gli effetti fu la prima e feroce violenza di uno stato, con cui fino a quel momento si era provato a dialogare ma che mai ci aveva veramente ascoltato. Una violenza di stato che da quel momento in avanti divenne ritualità in val di susa.

Centinaia di forze dell’ordine in assetto antisommossa arrivarono all’improvviso in piena notte, sgomberando l’area e attuando ciò che a tutti gli effetti era stato il metodo Diaz di qualche infame anno prima: sfondarono con delle ruspe le barricate, ed entrarono picchiando selvaggiamente tutte le persone a ridosso di queste e coloro che ancora dormivano nelle tende prima di accorgersi del loro arrivo, bloccarono le ambulanze sulla strada, tagliarono le tende e distrussero quanto dei no TAV ci fosse in quella zona anche pisciando a sfregio sui vestiti e i sacchi a pelo di chi era scappato. Le persone si rinchiusero così, dentro la proloco circondate, senza la possibilità di essere medicate e sotto le continue intimidazioni psicologiche delle forze dell’ordine che per diverse ore avevano circondato la zona e minacciavano di entrare a finire il lavoro.

In quella notte purtroppo per loro, in quell’area non trovarono però soltanto militanti o anarco insurrezionalisti di cui la collettività si sarebbe potuta dimenticare il giorno seguente, ma gli abitanti della val Susa, il panettiere, la maestra della scuola elementare, i miei vicini di casa, gli assessori e i sindaci dei paesi.

Ora tutti sapevano chi era il nemico e di cosa era capace.

La rabbia era tanta e collettivamente si decise di indire una manifestazione 2 giorni dopo con l’obbiettivo di riprendersi Venaus e l’8 dicembre e così andò. Migliaia di persone incazzate e a volto scoperto sotto la neve circondarono il paese e scendendo dai boschi e avanzando un metro alla volta sulla strada asfaltata riuscirono ad arrivare fino alle reti, abbattendole e riconquistando tutta l’area che dopo ore di assedio, senza possibilità di far arrivare ricambi e viveri era diventata per le forze dell’ordine ormai indifendibile. Le camionette di invasori furono così costrette ad andarsene, scappando con la coda tra le gambe tra insulti e sputi lungo 2 lunghissimi corridoi fatte dalle persone presenti.

L’ultimo cordone ad andarsene fu proprio quello posto a proteggere esattamente il luogo in cui ora c’è l’arena dei concerti.

TELT capí che quel luogo non si sarebbe mai più potuto riprendere e decise di cambiare radicalmente il progetto e ripartire da zero spostando il tunnel di base a Chiomonte.

Venaus era libera, il movimento notav aveva vinto.

Perché ancora oggi, la valle di Susa e il festival di Venaus fanno ancora così paura?

Perché ci ricordano anche questa storia, ci ricordano che anche una valle di pochi montanari può vincere e resistere anche al più tiranno degli stati o dei governi. Fa paura perché rappresenta ad oggi l’unica zona franca in Italia che riesce a dimostrare che il sistema capitalistico e predatorio in cui viviamo ha un’alternativa, ed è attuabile e migliore per tuttə . Rappresenta la nostra visione di come vorremmo fosse organizzata la società e il mondo che la circonda, mettendola in pratica.

Perché in quei giorni questo piccolo paese di montagna diventa una realtà a sé, distante e totalmente diversa da qualsiasi altra esperienza si possa fare o trovare in qualsiasi altro luogo in cui il capitalismo e la globalizzazione siano arrivati.

Perché nel mondo che vorremmo non si segue la logica del profitto, ma del benessere delle persone e dell’ambiente.

Perché nel mondo che vorremmo ci si basa sul rispetto e sulla fiducia reciproca in cui anche se si chiede ad esempio di non portare alcolici esterni, nessuno ti aprirà mai lo zaino per controllare che rispetti questa regola se tu non puoi permetterti di comprarlo lì o decidi di non corrispondere questa cortesia.

Perché nel mondo che vorremmo la socialità e la cultura dev’essere accessibile a tuttə, e se in altre situazioni per assistere a concerti o eventi del genere per vedere il tuo artista preferito dovresti spendere centinaia di euro, qui non viene chiesto nulla, perché tutti dovrebbero aver modo di divertirsi senza che sia la tua classe sociale ad impedirtelo.

Perché nel mondo che vorremmo le scelte su ciò che avviene nel tuo territorio devono essere prese confrontandosi collettivamente in delle assemblee tra chi in quei luoghi vive e non tra pochi manager o politici assetati di denaro.

Perché nel mondo che vorremmo non esiste individualismo e meritocrazia, ma che ognunə dia qualcosa nella maniera in cui può farlo. in quanto il festival è fatto da studenti, lavoratori e chiunque sia disposto a dare una mano, spesso persone comuni che magari prendono ferie 2 settimane a fine luglio passando comunque 10 giorni a lavorare 15 ore al giorno per montare, smontare e organizzare tutto questo, collaborando tra loro, senza chiedere nulla in cambio e spesso senza che nessuno se ne accorga.

Perché nel mondo che vorremmo ognunə dev’essere libero di vestirsi ed esprimersi come cazzo gli pare senza la paura di essere giudicatə per il proprio colore della pelle, il proprio orientamento sessuale, i propri capelli azzurri, verdi o la propria personalità eccentrica.

Perché nel mondo che vorremmo l’ambiente e le cose immateriali devono essere tutelate quanto quelle materiali, e ognuno deve poter esprimere la propria rabbia e indignazione nei luoghi in quei questi sono stati calpestati e martoriati in nome di interessi superiori.

Ogni giorno di festival è una rivoluzione.
Ogni giorno in cui il nostro movimento non muore è una rivoluzione.
Ogni persona che viene per la prima volta, ascolta quanto abbiamo da dire, e riesce a cogliere anche solo un pezzetto di ciò che c’è al di fuori dei concerti è una rivoluzione.
La nostra rabbia per le ingiustizie e l’amore per la nostra terra che ci ha portato a creare tutto ciò è una rivoluzione.

Anche con tutte le armi, i soldi e la repressione che potete provare ad usare, resisteremo sempre un metro in più di voi.

Con la rabbia e con l’amore finché tutta l’Italia non sarà Valle di Susa, a presto.

https://serenoregis.org/2023/08/02/venaus-un-amore-che-nasce-dalla-rabbia-e-una-rabbia-che-nasce-dallamore/

Comunicato di Amnesty International Italia –  Protesta No Tav in Val di Susa: uso indiscriminato di gas lacrimogeni

Protesta No Tav in Val di Susa: uso indiscriminato di gas lacrimogeni

31 Luglio 2023

“Gli standard del diritto internazionale parlano chiaro: una protesta pacifica, seppur attraversata da circoscritti atti di violenza, resta pacifica e le forze di polizia devono garantire che possa proseguire, tutelando anche le persone che vi stanno partecipando. Ieri, in Val di Susa, è stata persa un’occasione per far rispettare quel principio”, ha commentato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, all’indomani della manifestazione presso i cantieri dell’Alta velocità di San Didero e Chiomonte.

“I nostri osservatori hanno verificato un uso massiccio, indiscriminato e non necessario di gas lacrimogeni, anche ad altezza umana, i cui effetti si sono propagati in luoghi distanti dagli scontri”, ha aggiunto Noury.

“L’estensione della zona rossa, decisa pochi giorni prima della manifestazione di ieri, è sembrata frutto del pregiudizio che l’intera protesta potesse essere violenta ed è parsa un provvedimento non necessario e limitante nei confronti del diritto di protesta pacifica”, ha concluso Noury.

https://www.amnesty.it/protesta-no-tav-in-val-di-susa-uso-indiscriminato

Teresa Messidoro

Un commento

  • Queste raccolte/racconti sono la magia di quei giorni. Impressionante la presenza di tantissimi giovani e di intere famiglie. Ho avuto l’opportunità di conoscere una famiglia che arriva da Destra (Germania) che non veniva in vacanza ma per partecipazione al Festival! Come sempre un organizzazione perfette e integrata fra tutti i volontari! Quest’anno ha spopolato “la sangria”….grazie a tutti e…..al prossimo anno!

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