Sanità: la maledizione delle privatizzazioni

interventi di Giancarlo Addonisio, DocD, Giovanni Caprio (ripreso da pressenza.it), e di Matteo Saudino, sulla privatizzazione delle spiagge

Da un post del dottor Giancarlo Addonisio

“Una notte di molti, molti anni fa, ero di guardia notturna nel mio ospedale. Mi avvisarono alle 22 dell’arrivo di un traumatizzato stradale: condizioni disperate, dissero, stai pronto. Io sono nato pronto, risposi con la mia deprecabile grinta giovanile.

Partii dall’ecografia nella sala trauma. Poi lo portarono in Tac. C’erano tutti: anestesisti, ortopedici, chirurghi generali, chirurghi vascolari, otorini. L’uomo era sfasciato dappertutto, ma proprio dappertutto. Mentre sul monitor scorrevano le immagini della TC stavano tutti dietro di me, zitti, ad ascoltare la litania di accidenti che poi, di lì a poco, avrei trascritto nel mio referto. Ma a quel punto il referto sarebbe stato inutile: avevamo già fatto il punto della situazione, ci eravamo parlati. Ognuno di noi adesso sapeva cosa fare. Eravamo una squadra, un gruppo di persone che si fidavano gli uni degli altri, ciecamente. Quell’uomo era nelle migliori mani possibili, ve lo giuro su quello che ho di più caro al mondo.

Il Paziente andò in sala. Gli passarono sopra tutti, a turno: chirurghi, ortopedici, otorini. Gli anestesisti in seconda fila, a tenerlo vivo. Intorno alle cinque della mattina il lavoro grosso era stato fatto. Mi chiamarono per dare un’ultima occhiata in ecografia: in sala operatoria c’era sangue ovunque, sembrava ci fosse appena transitata Beatrix Kiddo di Kill Bill. L’uomo, l’omone anzi, perché era grosso come un armadio a tre ante, era disteso ancora sul letto operatorio. Sembrava che dormisse.

La mattina, alle otto, il momento dello smonto, telefonai in terapia intensiva. Mi rispose la collega della notte, con la voce stravolta dalla stanchezza. Disse: È vivo, è stabile, abbiamo fatto un buon lavoro. Tornai a casa carico di adrenalina: i bambini erano all’asilo, mia moglie al lavoro, avevo tutta la mattina per me. Non riuscii a prendere sonno: tutta quell’adrenalina accumulata mi girava ancora in corpo, vorticosamente. Quell’uomo era vivo grazie all’equipe di medici che avevano passato la notte in bianco per lui. È poco, dite? Può essere. Ma se quell’uomo fosse stato vostro marito, vostro figlio, vostro padre, allora sì che avrebbe fatto la differenza. Tutta la differenza di questo mondo.

Da quella notte sono passati vent’anni ed è cambiato quasi tutto nel modo di intendere la vita ospedaliera. I medici sono diventati carne da macello. La sanità si è trasformata in un’azienda che deve fabbricare utili, dividendi e consenso elettorale. Però, siccome costa troppo, deve anche tramutarsi in qualche altra cosa, lasciare spazi, cedere terreno. Mutare natura. Ma in silenzio, senza fare troppo rumore.

E di quel gruppo di medici cosa è rimasto? Qualcuno è andato in pensione, qualcun altro è rimasto dov’era, a svolgere il suo ottimo lavoro, qualcun altro ancora ha avuto il privilegio di trovarsi a dirigere un reparto tutto suo nella pia illusione di costruire qualcosa di buono. Nel mentre, dicevo, è cambiato quasi tutto. La politica ha preso il sopravvento e tirato i cordoni della borsa. Ai nuovi medici, giunti via via a sostituire i vecchi, non piace passare le notti in bianco nel pronto soccorso o nelle sale operatorie. Meglio un lavoro impiegatizio. Meglio un lavoro da casa, se possibile. Meno responsabilità, meno rotture di scatole, più soldi in tasca. Chi è rimasto delega: meglio una Tac in più, anche se non necessaria, che una in meno. Pazienza se tra vent’anni quella Tac causerà un tumore da qualche parte. La medicina ha smesso di essere un’arte, insomma, e le manca ancora troppo per diventare una scienza esatta. Meglio non rischiare. Meglio farsi i fatti propri.

Così, adesso io mi ritrovo in piena notte con un’urgenza addominale, e spesso sono da solo. Io, il tecnico e la Tac, nel silenzio più attonito che si possa immaginare. E non dovrei nemmeno essere lì, in quel momento, perché non è più il mio ruolo, quello. Così, mentre attendo le immagini sul monitor, mi domando perché quasi tutto è cambiato, perché certa politica ha fatto fuggire i medici dagli ospedali, cosa ha fatto perdere loro la passione, l’entusiasmo divorante, il ricordo dei validi motivi per cui, molti anni prima, hanno scelto quella professione e non un’altra. Cosa li spinge a essere indifferenti verso i Pazienti, verso colleghi che in loro assenza dovranno svolgere il lavoro che per qualche futile motivo non hanno voluto portare a termine. Cosa spinga loro, ma alla fine spinga tutti, in senso generale, senza distinzione di sesso, età, censo, lavoro, a credere di essere in perenne credito col mondo. Di essere dalla parte della ragione, sempre e comunque.

Ve lo dico subito: non trovo la risposta, e a questo punto credo che non la troverò mai. La risposta forse verrà fuori quando vi recherete in ospedale e troverete solo medici pagati a cottimo, gente che quella notte è lì e la prossima chissà dove, a quante centinaia di chilometri di distanza. Quando non esisterà più un gruppo, un’equipe affiatata pronta a passare la notte in bianco per salvare una vita, una sola: quella di vostro marito, vostro padre, o vostro figlio. Oppure la risposta andrete a chiederla a certa politica: la quale risponderà che non è sua responsabilità, e che gli errori di programmazione, il numero chiuso a medicina, l’imbuto di ingresso nelle specialità, sono colpa di quelli di prima. Di quelli che hanno governato, male, prima.

Ma quelli di prima eravamo anche noi: il radiologo, l’anestesista, il chirurgo, l’ortopedico, il maxillo-facciale. Quella fantastica squadra di bravi medici, ognuno dei quali si fidava ciecamente dell’altro. Ci rimpiangerete, certo. Come ci rimpiangiamo già noi stessi, ogni giorno, ogni santo giorno di lavoro, finché durerà ancora.”

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Come privatizzare la Sanità, vivere felici ed essere rieletti

Riceviamo e pubblichiamo da “DocD”, medico di pronto soccorso di un importante nosocomio pubblico italiano. Buona lettura

Alcuni anni fa, all’epoca del Governo Renzi, in una serie di rapporti e/o di interventi promossi dall’Ania (acronimo di Associazione Nazionale per le Imprese Assicuratrici) e dal Censis, si evidenziava come il comparto della sanità in Italia fosse un potenziale mercato multimiliardario, sottosfruttato, per esempio, dal ramo assicurazioni in quanto a copertura delle spese sostenute dai cittadini italiani nel sistema sanitario privato (1). Quei rilievi e/o moniti ebbero scarsa risonanza nel mainstream e, comunque, furono condannati da più parti rimarcando come, la privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), sarebbe stato il più grande suicidio politico per chiunque avesse anche solo pensato di intestarsela.

Allora, come si risolve la questione? Si rinuncia alla grana? Giammai!!! Si tratterebbe di convincere i cittadini che l’SSN sia una spesa superflua, dannosa, inutile, che sia solo sperpero di denaro.

Il problema è che tutti noi siamo stati male almeno una volta nella vita, con patologie più o meno gravi, e abbiamo effettuato anche solo un banale accesso in Pronto Soccorso (PS), per cui risulta difficile convincere che si possa fare a meno di tutto ciò.

Come approdare, quindi, nella configurazione in cui siano gli stessi cittadini ad invocare la privatizzazione dell’SSN? Semplice! Basta renderlo talmente disfunzionale, insufficiente, povero di risorse ed operatori che apparirà un tale carrozzone inutile e pericoloso da costringere tutti a recarsi comunque in privato per ottenere le “cure del caso”. Questo processo è ormai in moto da anni, provocato ad arte da mancate assunzioni, da pensionamenti non sostituiti, da chiusure di servizi territoriali (i punti nascita, le urologie decentrate, ecc.) che si giustificano invocando, o l’assenza di personale qualificato, o volumi di lavoro esigui in periferia, di modo che tutto possa rimanere tale.

Sempre più spesso i cittadini sono costretti a muoversi lontano da casa, ad andare in ospedali maggiori, quando non a fissare appuntamenti in giro per la ragione onde non aspettare mesi. Inoltre, questo sistema sradica il paziente dal territorio ed impedisce un rapporto medico specialista-paziente nel tempo, spingendo così, chi può, a rivolgersi al privato, anche solo per essere visto sempre dalla stessa persona. Chi ha potuto, e può tutt’ora, si rivolge al privato, convenzionato o meno che sia, per ottenere prestazioni singole (risonanze magnetiche, visite specialistiche, tac, endoscopia, ecc.) che pagherà di tasca propria o stipulando assicurazioni mediche più o meno legate al contratto di lavoro.

Tuttavia, queste storture indotte non sono state sufficienti per far collassare il sistema, pertanto si è rilanciato oltre, si è escogitato qualcosa di più subdolo, come trovare il modo di far demordere gli operatori sanitari stessi calcandogli la mano. Si è evitato di aggiornare gli stipendi, reso aleatorio lo sblocco di carriera, così come si è praticamente tagliata la valorizzazione delle performance, con valutazioni fittizie o riguardanti briciole dello stipendio. Non è mancato neanche il blocco dell’intramoenia (i.e. attività privata intraospedaliera) per alcune categorie di specialisti (rianimatori, medici di pronto soccorso, ecc.).

Inoltre, contribuisce all’avvelenamento della situazione il tasso di litigiosità che si lascia dilagare per vie legali, senza freno. È bene ricordare che, sebbene negli ultimi anni sia stato invertito l’onere della prova, non essendo più il medico a dover provare di aver agito bene, ma il querelante a dover dimostrare il dolo, ciò vale solo per le cause civili. Perché in ambito penale, unici in questo insieme a Polonia e Messico (2), si mietono vittime di continuo, con costi elevatissimi per il medico, anche solo per la difesa in tribunale, che le polizze di tutela legale non sempre coprono integralmente e che, in caso di assoluzione, non consentono alcun indennizzo statale.

Ma, a tutto questo, la categoria ha retto fermamente, perché esisteva un’assurda regola che vincolava il dipendente SSN al sistema stesso fino alla pazzia. Infatti, si richiedeva, per la maturazione di anzianità e scatti di stipendio, la continuità di lavoro nell’SSN. Di per sé, tale principio può apparire corretto, ma negli anni ha portato ad impensabili storture. Per esempio, se un professionista, nel semplice trasferirsi da una ASL ad un’altra, per avvicinarsi a casa o per qualsiasi altro motivo, perdeva anche solo un giorno di continuità del contratto, si vedeva privato per sempre di stipendio, anzianità di servizio e possibilità di carriera.

Ovviamente, ciò appare insensato, cosicché l’ultima revisione del contratto nazionale di lavoro (2016-2018), approvato nel 2019, ha previsto di correggere tali aberrazioni disponendo però, non una discontinuità di 1 o 2 mesi, bensì di ben 5 anni, aprendo in tal modo le porte alla fuga nel privato dei medici dell’SSN. Fuga che si è materializzata con le folli cifre pagate per il covid da enti privati, a fronte dell’assenza di alcun aumento di bonus o di sostanziale vantaggio per chi rimaneva nell’SSN, in condizioni via via peggiori. Ad onor di cronaca, solo con il decreto bollette dell’ultimo Governo si è potuto arginare questa pratica (3), ma solo rivolta a chi lascia l’SSN per le cooperative, con un divieto assoluto e permanente di rientro nell’SSN, la cui efficacia e costituzionalità sarei curioso di testare dinnanzi ad un giudice.

Allo stato attuale delle cose, i servizi di emergenza sono vuoti, molti si sono licenziati rientrando con le cooperative e guadagnando cifre precedentemente impensabili, ma con la conseguenza inevitabile di un peggioramento della qualità del servizio per turni effettuati, stanchezza e scarsa conoscenza delle organizzazioni interne dei singoli ospedali. A chi è fuori da questa realtà può sembrare demenziale, ma due ospedali relativamente vicini, ma afferenti a due ASL diverse, hanno ambulatori, percorsi interni e divisioni dei compiti completamente differenti, che, se non conosciuti, possono peggiorare radicalmente le prestazioni.

Inoltre, i criteri per essere assunti in PS, o per poterci “semplicemente lavorare”, sono assai diversi. Ad un non specialista semplicemente laureato, è consentito di lavorare in un PS tramite cooperativa o alcuni bandi dell’ASL, ma non potrebbe essere assunto in quello stesso ruolo per mancanza di requisiti fondamentali. Ovviamente, credo che ciò appaia folle tanto a me quanto al lettore!

E, quindi, avremo strutture fatiscenti, pochi medici nel pubblico, per giunta di qualità inferiore e sconnessi dalla realtà locale. Con tali presupposti, quanto tempo dovrà passare prima che il sistema collassi, e che ci si senta obbligati dai fatti ad andare nel privato con l’assicurazione? Quando quel giorno avverrà, il popolo chiederà a gran voce di risparmiare i soldi delle tasse buttati per questo carrozzone. I politici, loro malgrado, li accontenteranno ed il giorno dopo aumenteranno di 10 volte i premi delle polizze sanitarie, la marchetta sarà pagata, alla lunga l’aspettativa di vita diminuirà ed i politici, come moderni Ponzio Pilato, potranno svicolare dicendo: “avete scelto voi la chiusura ed io vi ho accontentati!”.

NOTE

(1) Per un’analisi di quei rapporti e/o interventi, vedi Francesco Carraro e Massimo Quezel, Salute S.p.A. La sanità svenduta alle assicurazioni. Il racconto di due insider, Milano, Chiarelettere, 2018, in particolare i paragrafi Una prateria tutta da conquistare Game over.

(2) L’errore del medico non sarà più reato, così il Governo combatte la medicina difensiva – Il Sole 24 ORE.

(3) Si tratta dell’art.10, comma 6, inserito nel DL n. 34 del 30 marzo 2023, successivamente convertito in legge il 26 maggio.

da qui

 

 

Sai quanto dovresti pagare per curarti se non ci fosse più il Servizio Sanitario Nazionale? – Giovanni Caprio

La sanità va a rotoli, scricchiola sempre più a causa di problemi economici e di personale, il confronto con l’Europa è desolante, mentre il Governo Meloni decide di far ulteriormente scendere il valore della spesa sanitaria rispetto al Pil, spingendo di fatto la nostra salute sempre più nelle mani dei privati. L’Istat ha stimato in circa 2,5 milioni le persone che hanno rinunciato a cure necessarie per colpa delle liste d’attesa o per ragioni economiche, mentre la spesa sanitaria privata per prestazioni a carico dei cittadini sfiora ormai i 40 miliardi di euro l’anno). Siamo addirittura all’ “ambulatorio ad accesso diretto”, che altro non è che un “pronto soccorso a pagamento“, un ulteriore passo avanti della sanità privata, che ancora una volta vede pioniera la Regione Lombardia. E’ forse questa la fase più rischiosa per la tutela del diritto alla salute e per il Servizio Sanitario Nazionale.

E’ dunque arrivato il momento di porsi delle domande, che l’Anaao Assomed, l’Associazione dei Medici Dirigenti  rimanda al Governo, alle Regioni e alle Istituzioni, ma anche a tutte le cittadine e a tutti i cittadini: Vogliamo ancora un sistema sanitario pubblico e universalistico finanziato dalla fiscalità generale? Che ruolo deve avere la sanità pubblica nella scala di priorità delle politiche nazionali? Riteniamo che il Servizio Sanitario Nazionale sia un bene comune da difendere? O vogliamo optare per un sistema universalistico selettivo? Quanta parte della ricchezza nazionale prodotta ogni anno (PIL) siamo disposti a destinare alla salute delle persone?

E’ solo una questione di scelte politiche, sottolinea l’Anaao Assomed, e i cittadini devono sapere che le decisioni in tema di sanità di chi ci governa avranno inevitabili e pesanti ripercussioni sulle loro tasche.
Si, perché se non ci fosse più il Servizio Sanitario Nazionale, che oggi grava sui cittadini solo per la fiscalità generale, il conto delle cure sarebbe assai salato”.

E per rendere evidente i costi che senza un Servizio Sanitario Nazionale (o con un SSN ridimensionato fortemente) andremmo a sostenere, Anaao Assomed ha voluto fare alcuni esempi, quelli più frequenti, in base ad una ricerca condotta nel mese di giugno 2023. Vediamoli.

  1. Quanto costa al paziente un ricovero privato?

Costa da 422 a 1.278 euro al giorno. Per un ricovero che richiede da una bassa a un’alta complessità assistenziale.

  1. Quali altri costi sono a carico del paziente in caso di ricovero nel privato?

€ 1.200/ora per la sala operatoria; € 600/giorno per la degenza in un reparto chirurgico;
€ 400/giorno per la degenza in un reparto di medicina; € 165/giorno per ricovero ordinario post acuzie.

  1. Quanto costa al paziente un intervento di colecistectomia nel privato?

3.300 euro per Colecistectomia laparoscopica semplice; 4.000 euro per Colecistectomia laparoscopica complessa; la parcella del chirurgo invece varia da 3.000 euro a 10.000 euro.

  1. Quanto costa effettuare un Check up cardiologico presso una struttura privata?
    € 775
    (con mammografia) Donna >40anni; € 694 (con mammografia) Donna <40 anni,
    € 345 
    Uomo <40anni; €395 Uomo >40anni (le tariffe sono variabili a seconda di età, sesso ed esami previsti, di solito es. Ematici+Ecg di base e da sforzo con visita specialistica finale).

E allora, se le cose stanno così, domanda provocatoriamente l’Associazione: Vogliamo conservare il nostro Servizio Sanitario Pubblico, o siamo disposti a pagare queste cifre per curarci?”. La risposta è chiara e dovrebbe spingere tutti i cittadini a mobilitarsi per difenderlo.

Ma anche quando le prestazioni restano in ambito pubblico, il cittadino è sempre più costretto a mettere le mani in tasca per potersi curare. Nei giorni scorsi l’indagine “Urgenza sanità” realizzata dall’associazione CittadinanzAttiva ha fatto il punto sui tempi di attesa e la disponibilità di visite specialistiche nel settore pubblico e in regime di “intra-moenia”, cioè a pagamento a favore di medici del Servizio Sanitario Nazionale che agiscono da liberi professionisti (meccanismo introdotto dalla riforma Bindi nel 1999). Un solo esempio di ciò che sta accadendo: nel 2022 al Cardarelli di Napoli sono state svolte 112 visite ortopediche nel pubblico, contro 1.255 (undici volte di più) a pagamento. “Terminata l’emergenza pandemica – scrive CittadinanzAttiva – i cittadini si trovano a fare i conti più di prima con le conseguenze di scelte improvvide che durano da decenni: lunghissime liste di attesapronto soccorso allo stremomedici di medicina generale assenti in molte aree non per nulla definite “deserti sanitari”. Il ricorso alla spesa privata aumenta ed è incompatibile con un sistema universalistico, oltre a essere possibile solo se le condizioni economiche dei singoli lo permettono. Per molte cittadine e molti cittadini l’attesa si è trasformata in rinuncia”.

Qui il Rapporto di CittadinanzAttiva.

da qui

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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