Impoveriti, ma bellici

Bruno Lai recensisce La Nato e i misteri d’Italia, di Angelo Baracca (I Libri di Left, dicembre 2022)

Crimine di guerra

L’uso di munizionamento all’uranio impoverito va considerato un crimine di guerra. Provoca malattie e morte tra le persone esposte alle nanoparticelle rilasciate dalle esplosioni. Ce lo spiega bene un ottimo romanzo del 2008, scritto da Massimo Carlotto in collaborazione con il collettivo Mama Sabot. Il romanzo, è intitolato Perdas de Fogu (Edizioni e/o, 2008), toponimo del Comune di Perdasdefogu (scritto tutto attaccato), nel cui territorio insiste il famigerato PISQ, “Poligono Sperimentale e di Addestramento Interforze di Salto di Quirra”. In sardo “Perdas de Fogu” significa “pietre di fuoco”.

Pur essendo stato pubblicato ben quindici anni fa, il libro è ancora così attuale che lo scorso venerdì 28 luglio, a Sant’Antioco, si è tenuto un interessantissimo incontro su di esso. Organizzavano i militanti del movimento “A Foras – Contra a s’ocupatzione militare de sa Sardigna”, in collaborazione con le associazioni antiochensi “Iklos” e “The beat goes on!!!”. All’incontro ha partecipato l’autore principale, lo scrittore Massimo Carlotto, che ha dialogato con Marco Santopadre.

Come agisce, quindi, l’uranio impoverito? Ce lo facciamo raccontare da Maria Antonietta Tola, detta Nina, veterinaria e personaggio del romanzo Perdas de Fogu. Nina studia «gli effetti delle nanoparticelle sugli ovini». «L’uranio impoverito – spiega – di per sé non è così radicalmente radioattivo da essere dannoso per la salute. Il problema nasce quando viene sparato». «I proiettili all’uranio raggiungono temperature elevatissime e per questo hanno una capacità perforante straordinaria». Massimo Carlotto ed il collettivo Mama Sabot hanno compiuto un’accurata indagine giornalistica, per poter scrivere il romanzo, che è stato preparato da circa milleduecento pagine di resoconto.

Ma leggiamo il seguito della spiegazione di Nina: «In questo modo raggiunge i tremila gradi e non ha difficoltà a penetrare corazze di carri armati e autoblindo». […] «A quelle temperature però il materiale si polverizza, trasformandosi in un composto di veleni che una volta respirati si depositano nelle ossa, nei reni, nel fegato, nei polmoni, nel grasso e nei muscoli delle persone. Il termine corretto è sublimazione. I bersagli passano direttamente dallo stato solido a quello gassoso, senza prima diventare liquidi. Goccioline finissime, che agiscono come un vero aerosol, si diffondono nell’ambiente e, una volta respirate, impiegano sessanta secondi a raggiungere il sangue, superando come niente la barriera dei polmoni. Dopo sessanta minuti hanno già invaso il fegato».

«Sono queste nanoparticelle a far ammalare i soldati?», le chiede Pierre Nazzari, il protagonista del romanzo.

«Esattamente. Sono fonti eterne di malattie perché il corpo non è in grado di eliminarle. Intorno a ognuna si crea una granulomatosi, sì, insomma, una minuscola infiammazione che può rimanere così per sempre oppure degenerare in forma tumorale». Fin qui la spiegazione, poi il romanzo prosegue, avvincente come gli altri noir di Massimo Carlotto.

Le nanoparticelle colpiscono gli animali e le persone che si trovino anche solo temporaneamente nei territori contaminati. Colpiscono, quindi, sia i militari, sia i civili. In pace ed in guerra, con conseguenze devastanti che durano molto più a lungo delle stesse guerre.

E qui mi torna in mente la strofa iniziale di un significativo brano del gruppo sardo Dr. Drer e Crc Posse, (feat. Gionata Mirai), intitolato Generale, del 2019:

«Generale da quell’altopiano il fumo nero si alzava lontano

dove c’era corbezzolo e grano ora c’è fango arsenico uranio.

In quel demanio fosse profonde sotterravate proiettili e bombe

per farle esplodere e in pochi secondi un fungo di fumo saliva dal monte.

Se soffiava dal Tirreno portava in un baleno

piombo torio e tungsteno sopra i balconi sopra il terreno.

E le nanoparticelle passando attraverso la pelle

il cielo pioveva scintille i bimbi cercavano di acchiapparle.

Sembrava neve una polvere bianca pesante come interessi di banca

che poi arriva a distanza di anni e porta malanni grazie agli inganni

che la colpa l’han data al vento e a una vecchia miniera di argento

generale che fai giuramento, per me ci sei dentro al 100 per 100».

Per chi volesse ascoltare il brano, il bel video realizzato da Alberto Badas è qui: https://www.youtube.com/watch?v=ymVvWbz9wIM.

 

Pandemia tumorale

La questione dei danni delle armi all’uranio impoverito da noi, in Sardegna ed in Italia, è già abbastanza nota, perché abbiamo 8mila veterani vittime di malattie dovute all’esposizione a metalli pesanti, nonché circa 400 morti. L’esposizione agli effetti letali dell’uranio impoverito è avvenuta nelle guerre della Nato, ma anche nei poligoni militari, soprattutto in Sardegna, a Teulada ed a Quirra. In Sardegna, è bene precisarlo, è concentrato addirittura il 65% delle servitù militari italiane. L’uso di armamenti all’uranio ha provocato una “pandemia tumorale” che causa migliaia di vittime sia civili, sia militari. La strage dovuta all’uso di questi micidiali armamenti si configura come un crimine di guerra.

Lo denuncia Gregorio Piccin nell’introdurre il libro di Angelo Baracca, La Nato e i misteri d’Italia (I Libri di Left, dicembre 2022). Piccin chiede Verità e giustizia per le vittime di uranio impoverito. Lo scorso dicembre il Partito della sinistra europea ha deciso, in congresso, di «portare la questione delle vittime civili e militari dell’uranio impoverito all’attenzione del Parlamento europeo», perché «I crimini di guerra non vanno in prescrizione». I rossoverdi europei, a cui aderisce il Partito della rifondazione comunista, chiedono non solo verità e giustizia per le tante, troppe vittime, ma anche la totale messa al bando di queste micidiali armi.

Piccin ricorda che già la IV Commissione d’inchiesta parlamentare sull’uranio impoverito, guidata dall’allora senatore Gian Piero Scanu, era giunta a conclusioni inequivocabili sulla connessione tra l’uso di questo micidiale metallo pesante e la “pandemia tumorale” che ha colpito otto migliaia di veterani, che erano stati impegnati nei teatri di guerra della Nato o nei poligoni militari dell’Alleanza, soprattutto quelli sardi. Questa «perdurante strage, che si configura come un crimine di guerra», merita l’istituzione di un Tribunale penale internazionale. La Nato, scrive Piccin, ha «utilizzato oltre 300 tonnellate di munizionamento all’uranio impoverito nelle sue guerre illegali e nei poligoni anche italiani». Oltre alle migliaia di ammalati gravi, sono già 400 i morti, soltanto tra i militari! È più difficile stimare il numero di morti e malati tra i civili, forse più numerosi, anche perché, per esempio in Sardegna, non è stato ancora istituito un registro dei tumori.

I tribunali italiani, del resto, confermano i danni mortali dell’uranio impoverito: le cause risarcitorie vinte dalle vittime sono già diverse centinaia. Lo rivendica anche l’Anvui, “Associazione nazionale vittime dell’uranio impoverito”. «L’avvocato Angelo Fiore Tartaglia, legale rappresentante delle vittime, in vent’anni di battaglie per la verità e la giustizia è riuscito a costruire una giurisprudenza che ha stabilito il nesso causale tra l’esposizione al metallo pesante e l’insorgenza di gravi patologie tumorali mentre il ministero della Difesa è arrivato a perdere persino presso i massimi livelli della giustizia italiana».

Oltre a morti e malati italiani, vanno considerate anche le decine di migliaia di vittime, soprattutto civili, nei territori dove ha operato la Nato: Iraq, Afghanistan, Balcani (Serbia, Kosovo, Bosnia), dove sono state impiegate centinaia di tonnellate di armi all’uranio impoverito. Arriveranno poi le vittime della guerra in Ucraina, persone di ambo le parti. Anche il suolo ucraino, infatti, viene pesantemente contaminato dall’uso di armi all’uranio impoverito, oppure armi che rilasciano torio, la cui eredità letale si rivelerà nei prossimi decenni. Scrive infatti Piccin, in un altro articolo presente in questo libro: «L’Ucraina si sta quindi trasformando nell’ennesimo campo di battaglia dove la guerra, quando finirà, lascerà in “dote” una vera e propria epidemia da uranio impoverito e da altri metalli pesanti radioattivi. Un’epidemia che colpirà negli anni sia i soldati di entrambi i fronti che i civili che continueranno a vivere sui territori contaminati».

La giustizia civile fa qualche progresso. Se in Italia sono circa trecento le cause risarcitorie vinte, le vittime si stanno organizzando anche in Serbia. Gregorio Piccin ci ricorda che «Dal nostro Paese sono decollati i caccia bombardieri della Nato che per tutti gli anni Novanta e con migliaia di sortite sulla Bosnia e sulla ex-Jugoslavia hanno disseminato almeno 16 tonnellate di uranio impoverito». In conseguenza di questi bombardamenti, in Serbia «l’incidenza tumorale tra i civili nelle aree contaminate è aumentata del 200% con un drastico abbassamento dell’età di insorgenza dei tumori e un picco di casi tra la popolazione sotto i 50 anni».

Sulla scia di quanto l’avvocato Tartaglia ha compiuto nei tribunali italiani per le vittime militari, in Serbia un pool di legali coordinati dall’avvocato Srdjan Aleksic’, con l’aiuto del collega italiano, «ha così imbastito le prime cause contro la Nato presso l’Alta corte di Belgrado». Le cause riguardano migliaia di vittime civili dovute al disastro ambientale provocato dall’Alleanza. La Nato, dal canto suo, pretende l’immunità, ma i legali delle vittime insistono. «Secondo l’avvocato [Tartaglia] è irricevibile il fatto che la Nato chieda l’immunità per una serie documentata di crimini di guerra: “Ci pare segno di grande arroganza il fatto che la Nato pretenda dal governo serbo un intervento presso il tribunale per insabbiare tutto. Noi andiamo avanti, qui si gioca la cultura giuridica europea…”».

Ma, viene da domandarsi, da quanto tempo si conoscono i rischi che l’uso di proiettili all’uranio impoverito comporta? La risposta è sconcertante. L’apprendiamo da altri due contributi presenti in questo libro e firmati da Mary Tagliazucchi e da Checchino Antonini. Ebbene: tra il 1977 ed il 1978 l’Aeronautica Usa fa dei test al poligono di Eglin, in Florida. Si scopre così che «nell’impatto i proiettili sprigionano nanoparticelle di metalli pesanti non biodegradabili». Ne segue un rapporto che stabilisce anche tre livelli di rischio. Si sa da quasi mezzo secolo, quindi! «Il primo vademecum [Usa] sui rischi è pronto a marzo ’91 ma non verrà mai distribuito ai marines. Solo cinque anni dopo verrà reso pubblico da una rete civica americana».

 

Subalternità atlantica

La questione dei danni dell’uranio impoverito è strettamente legata al contenuto principale del libro di Angelo Baracca. Il fisico e militante ecopacifista, tra i fondatori di Scienziati contro le guerre, ci ha lasciati da poco e questo libro è ancora più prezioso perché è uno dei suoi ultimi contributi, quasi un testamento spirituale. Angelo Baracca intende ricostruire il «ruolo, nefasto, che ha rappresentato, e rappresenta, per il nostro Paese l’appartenenza all’Alleanza atlantica, e la “fedeltà atlantica” che essa sottende, che per l’Italia è stata, ed è, propriamente una “subalternità atlantica” che suggella la totale “sottomissione” ai voleri di Washington».

L’Autore rimprovera alla sinistra, ed al Pci di mezzo secolo fa, di aver accettato l’«ombrello della Nato». (L’espressione “ombrello della Nato” si riferisce ad una dichiarazione di Enrico Berlinguer, allora segretario del Pci, che nel 1976 preferiva l’adesione alla Nato piuttosto che al Patto di Varsavia: «Mi sento più protetto sotto l’ombrello della Nato»). Baracca non fa sconti: «L’Alleanza atlantica è indiscutibilmente controllata dagli Stati uniti, molte delle cui amministrazioni si sono rese responsabili di crimini verso l’umanità di portata storica: esserne stati e rimanerne devoti sudditi significa essere complici di autentici crimini di guerra».

Ma i crimini Nato non riguardano soltanto la politica estera. L’Italia del secondo dopoguerra, sostiene Baracca, ha avuto una sorta di “Stato duale”, in cui un “potere occulto” (ad esempio i cosiddetti “servizi deviati”) ha agito indipendentemente dai poteri stabiliti dalla Costituzione formale, sottoposti alla legge ed a qualche forma di controllo democratico. Se già ai tempi dello sbarco in Sicilia l’Oss, Organization of strategic services, prese accordi decisivi con esponenti della criminalità organizzata e della mafia, con la nascita della Cia, nel 1947, gli Usa seguitarono a fornire armi e finanziamenti a formazioni paramilitari anticomuniste, neofasciste e perfino monarchiche. L’adesione italiana alla Nato, nel 1949, portò poi a vere e proprie «cessioni di quote di sovranità». «La “cessione di quote di sovranità” è stata una delle conseguenze più gravi dell’adesione alla Nato per il nostro Paese, che conta il maggior numero di basi e strutture militari statunitensi tra i Paesi occidentali dopo la Germania».

L’intera “strategia della tensione”, che ha comportato una lunga serie di stragi neofasciste (attentati ai treni dell’agosto 1969, Piazza Fontana, Piazza della Loggia nel 1974) e di tentativi di golpe (Piano Solo di Giovanni de Lorenzo, 1964, Junio Valerio Borghese, 1970, Edgardo Sogno, 1974), è stata orchestrata da strutture afferenti ai comandi Nato. Già nel 1974 Pier Paolo Pasolini denunciava sul “Corriere della sera”: «Io so. Ma non ho le prove». Undici mesi dopo sarebbe stato assassinato, mentre lavorava ad un libro, Petrolio, che prometteva di essere “esplosivo”, di cui sparì un intero capitolo!

Nel 1974 la strategia Usa di contrasto al comunismo sarebbe cambiata. L’appoggio ai regimi fascisti europei (Portogallo, Grecia, Cipro) fu tolto e, guarda caso, cominciò il presunto “terrorismo rosso”. In proposito Baracca cita lo storico Giuseppe De Luttis: «Molti indizi lasciano ritenere che vi sia stata quanto meno una tutela esterna del terrorismo, la cui attività era perfettamente funzionale ai disegni di chi intendeva opporsi con ogni mezzo allo spostamento a sinistra dell’asse politico italiano». Perfino il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro rientrerebbero in questa nuova strategia anticomunista: Moro era infatti favorevole ad un’apertura a sinistra della Dc.

Un tragico filo nero collega le stragi sopra citate a quelle dei decenni successivi: la strage di Ustica del 1980, quella di Bologna nello stesso anno, il rogo della Moby Prince nel 1991, nonché l’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin nel 1994. Con la fine della Guerra fredda, scrive Baracca, la Nato perse il suo ruolo difensivo nei confronti del blocco sovietico per acquisirne uno esplicitamente aggressivo, con «effetti disastrosi» per l’Italia, come la partecipazione alle guerre nella ex-Jugoslavia e poi contro la Libia di Gheddafi.

Questa «nuova Nato» si è resa responsabile di un ulteriore imbarbarimento della guerra, con sempre più vittime tra i civili. La guerra all’Iraq nel 2003, per esempio, ha comportato un tragico record di morti civili e militari, stimato tra mezzo milione ed un milione di vittime. Inoltre, e torno al tema con cui ho aperto, le guerre più recenti provocano «conseguenze sanitarie ed ambientali che graveranno sulle generazioni future».

La subalternità atlantica non riguarda soltanto l’Italia, ma l’intera Ue, di cui Baracca denuncia il fallimento storico: l’Europa avrebbe dovuto «edificare un continente di pace e cooperazione, che includesse anche la Russia». Invece ha operato subordinando le proprie scelte a quelle della Nato. Tra le conseguenze ci sono l’aumento delle spese militari, l’acquisto di gas liquido dagli Usa, con conseguente ulteriore incremento dell’inquinamento, ed una crescente militarizzazione dell’Europa, che non promette niente di buono. Mentre per decenni politici di diversi colori ci hanno preso in giro, sostenendo che mancavano i soldi per investire sulla sanità, sulla scuola o sulla previdenza sociale, oggi la subalternità atlantica ci porta ad un ulteriore aumento dello sperpero per spese militari, che passeranno dagli attuali 80 milioni al giorno ai 100 milioni. Al giorno! (Lo denuncia ancora Gregorio Piccin in uno degli articoli che arricchiscono questo volume).

La ricostruzione che Angelo Baracca fa delle nefaste conseguenze della sudditanza atlantica dell’Italia può essere incompleta, l’Autore lo ammette. Ma si avvale di una vasta pubblicistica. Chi voglia approfondire questi aspetti della nostra storia, trova una ricca bibliografia citata nelle note che accompagnano il testo. L’intenzione dichiarata da Baracca è di far conoscere maggiormente all’opinione pubblica, e soprattutto alle giovani generazioni, «eventi che hanno segnato in modo determinante la storia del nostro Paese». E proprio ai giovani dedica il suo contributo l’ex docente universitario di Fisica e di Storia della Fisica.

Completano il libro diversi interessanti articoli, di vari autori, comparsi su “Left” e relativi alla Nato ed alle politiche atlantiste della Ue.

 

Postilla

Lessi Perdas de Fogu diversi anni fa. L’ho riletto la settimana scorsa, dopo l’incontro di Sant’Antioco. Ho avuto nuovamente la conferma che «il noir è un modo di fare inchiesta». Una lettura fondamentale per capire quel che accade nella nostra bella isola.

Scrivendo queste righe mi tornano alla mente alcuni brani musicali. Oltre a Generale, sempre di Dr. Drer & Crc Posse: Dammi una mano, 2010, https://www.youtube.com/watch?v=AU1bZP3SuvI; di Piero Marras, Quirra, 2013, https://www.youtube.com/watch?v=FDRKysFkQaA.

Ci sono almeno due film che collegherei ai temi accennati in queste pagine. Uno è il docufilm The Wash. La lavatrice, di Tomaso Mannoni, 2018: racconta la storia vera di una famiglia, che gestiva una lavanderia in cui si lavavano le divise dei militari della base Nato di Capo Teulada. Cinque dei sei familiari si sono ammalati di tumori maligni o gravi disfunzioni tiroidee. L’unico che si è salvato vive in Brasile e non ha avuto a che fare con abbigliamento militare da lavare. (http://www.popcultdocs.com/portfolio-articoli/the-wash-la-lavatrice/)

L’altro film è L’agnello, di Mario Piredda, 2019, in cui recita anche Michele Atzori, il “Dr. Drer” del gruppo sopra citato. Con lo pseudonimo di “Su Dotori”, “il dottore”, Atzori ha appena pubblicato un cd solista, intitolato Raju!. Apre il cd il brano Est ora (È ora; possibile riferimento all’inno indipendentista O Sardigna, custa est s’ora, di Anzelu Caria) (https://www.youtube.com/watch?v=F63buOHaBTY). Ad un certo punto, nel brano di Su Dotori, si sente la voce di Nora Stassi, protagonista femminile del film L’agnello, che vive in prossimità di un poligono militare in Sardegna. Il padre è gravemente malato e la figlia gli dice: «Perché, loro le rispettano le regole? Vi stanno ammazzando uno a uno, e voi tutti muti state. Tutti zitti»! Il trailer del film è qui: https://www.youtube.com/watch?v=D_rj1FEJYqA; essendo stato trasmesso da Rai5, lo si può vedere su RaiPlay: https://www.raiplay.it/video/2022/06/L-agnello-99e66693-d4b8-4cc3-8b5b-c2b028aa3600.html.

Ultima curiosità. Chi sono i componenti del collettivo Mama Sabot? Eccoli: Francesco Abate, Ciro Auriemma, Alessandro Castangia, Marcella Catignani, Michele Ledda, Andrea Melis, Piergiorgio Pulixi, Vincenzo Saldì e Renato Troffa.

 

Perdas de Fogu, 2008

Raju!, 2023

 

Redazione
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