Cile: come interpretare la sconfitta nel referendum

Articoli di Marco Consolo e David Lifodi

Cile: alcuni perché della sconfitta al referendum sulla nuova Costituzione

di Marco Consolo (*)

 

I numeri cileni non lasciano dubbi. La proposta di nuova Costituzione è stata respinta dal 61,87 %, contro il 38,13 % a favore. Su poco più di 15 milioni di aventi diritto, hanno votato circa 13 milioni. Una pesante battuta d’arresto nel processo di trasformazione.

Lungi dal chiudersi, la crisi politica (oltre a quella economica e sociale) continua con gravi ripercussioni sulla vita quotidiana di milioni di persone.

Gli errori della Convenzione

Secondo diverse analisi,  gli errori sistematici di alcuni Costituenti hanno alimentato gli attacchi delle destre. In mancanza di un efficace canale di  comunicazione, quasi tutti si sono concentrati sui lavori all’interno ed ignorato la distanza con cui erano visti dall’esterno. Alcuni analisti sottolineano diversi casi di goffaggine, autoreferenzialità e arroganza che hanno causato danni profondi, approfonditi dal bombardamento di falsità sul lavoro dei Costituenti e sul contenuto del testo.

La grande frammentazione, contraddittorietà e all’interno della Convenzione Costituzionale (segnata anche da una forte presenza di “indipendenti” con scarsa formazione politica) non ha aiutato a trovare accordi politici. C’è stata molta “parzialità” (difesa esclusiva del proprio spazio), con poca visione d’insieme.

Il governo e la coalizione dell’Apruebo.

Nonostante le due cose (governo e percorso costituzionale) non fossero formalmente collegate, hanno pesato sul risultato anche alcuni passi falsi da parte del governo, per ingenuità, unita all’inesperienza.

L’Apruebo ha combattuto una battaglia senza una chiara leadership politica, con un governo piuttosto debole e disposto a concessioni. Viceversa, le destre e le classi dominanti hanno avuto una strategia e un comando unico contro il processo costituente.

Il Rechazo ha saputo imporre i temi del dibattito (il frame comunicativo) e l’Apruebo ha giocato in gran parte alla difensiva, senza riuscire a far discutere degli aspetti positivi della proposta.

Il risultato indebolisce fortemente il governo (che si prepara a un drastico rimpasto) e, dopo il primo sbandamento, difficile che i movimenti stiano a guardare.

La strategia delle destre

Le classi dominanti non hanno nessuna intenzione di perdere un centimetro del loro potere, economico e sociale.

La loro campagna (ufficialmente con 100.000 euro al giorno) ha puntato allo stomaco, ed è iniziata il giorno stesso delle elezioni. Una campagna aggressiva, minacciosa, sostenuta sfacciatamente da quasi tutti i media, con un uso massiccio del Big Data. Una campagna basata sulla paura, l’odio di classe, il profondo disprezzo contro i popoli originari, notizie false, etc.

Uno dei temi caldi e controversi è stato il riconoscimento dei popoli originari (e del loro sistema giuridico) ed il dibattito sulla “pluri-nazionalità” dello Stato cileno, che ha prodotto una chiusura a riccio dello sciovinismo nazionalista, purtroppo trasversale nella società.

E nell’ Araucanìa, regione teatro del “conflitto” tra Stato e Mapuche, dove la destra è da tempo maggioritaria, il Rechazo ha vinto quasi con il 75%. E’ un dato che deve far riflettere sulla posizione di una parte dei popoli originari (Mapuche) che forse hanno usato il “voto castigo” contro il governo Boric (e le misure prese), più che contro la proposta costituzionale che li favoriva in molti aspetti. E i recenti appelli alla lotta armata di alcuni settori dei Mapuche non hanno certo aiutato la campagna.

Nel blocco sociale reazionario, le denominazioni religiose evangeliche (visceralmente) e la parte pinochetista della chiesa cattolica si sono mobilitate contro l’interruzione di gravidanza, le tematiche di genere, e per la difesa dell’educazione privata in cui hanno interessi diretti.

Le destre hanno nascosto dietro le quinte il ciarpame “pinochetista”, proiettando un’immagine di “società civile” mobilitata contro la “minaccia del caos”.

In parte hanno anche pesato diverse figure del centro-sinistra (alcune molto emblematiche) passate armi e bagagli con le destre (contro la decisione dei loro stessi partiti), mandate avanti per convincere gli indecisi.

Il fascismo cileno (ma non solo) mentre mostra la “faccia buona”, si riorganizza territorialmente e si arma. Occorre tenere gli occhi aperti su quanto avverrà nei prossimi giorni e mesi in cui cercheranno di far cadere il governo.

Il ritardo e la mancanza di coordinamento dell’Apruebo

Le destre hanno iniziato la loro campagna nel luglio 2021, dalla prima sessione della Costituente. Viceversa, la campagna dell’ Apruebo è partita solo 2 mesi fa. Ha voluto proiettare ottimismo e allegria, si è concentrata sul cambio e sul futuro, mettendo al centro un messaggio di speranza, che parlava alla ragione.

I partiti sono sempre meno organizzati su base di massa, e il Partito Comunista è tra i pochi a contare su una militanza a livello nazionale. Le vere protagoniste sono state migliaia di persone mobilitate spontaneamente, settorialmente, in modo poco coordinato (anche come messaggio), sia sulle “reti sociali”, che sui territori.

Praticamente inesistente è stata l’articolazione tra i partiti dell’Apruebo e i movimenti sociali e popolari, per una distanza dei primi e per una chiara diffidenza di questi ultimi.

Altri elementi in gioco

Con l’ultima legge elettorale, tutta la popolazione è registrata e il voto è obbligatorio. In mancanza di una disamina approfondita del voto, è difficile attribuire intenzioni di voto di quella consistente parte dell’elettorato che non è andata alle urne per tanti anni. Molti analisti, però, segnalano che la quantità di voti per l’Apruebo (4.859.039) è praticamente uguale a quella ottenuta da Boric alle elezioni (4.620.671) e che sono i nuovi elettori, spesso spoliticizzati, che hanno spostato la bilancia. In questo senso, colpisce il dato dei quartieri popolari dove nel primo referendum c’era stata una maggioranza schiacciante a favore del percorso di nuova Costituzione, mentre oggi i numeri sono totalmente ribaltati.

Crisi economica (con pandemia in mezzo), problemi migratori (non solo al Nord), e una recrudescenza della criminalità organizzata (in parte lasciata agire strumentalmente) sono stati altri importanti fattori da tenere in conto.

E ora ?

Dopo vittoria del Rechazo, il presidente Boric ha già annunciato che continuerà il percorso costituente e, subito dopo il voto, i partiti dell’Apruebo hanno firmato una dichiarazione di appoggio al governo.

Certo, con un parlamento dove il governo non ha la maggioranza, ci sono pochi margini per fare le necessarie riforme strutturali.

D’altra parte, né la sconfitta, né la vittoria, significano un cambiamento delle condizioni delle numerose crisi che il Paese sta attraversando: crisi nazionale, crisi internazionali e grandi punti interrogativi sul proprio destino.

Il punto rilevante e strategico è la disputa sulla nuova Costituzione, come base per la restaurazione dell’egemonia del modello neoliberale dominante ferito (ma, come si vede, non certo defunto), versus la possibilità di avviarne lo smantellamento attraverso il recupero della sovranità popolare e la disputa sul carattere stesso della democrazia.

Sarà questo l’asse del conflitto politico e di classe in Cile nel prossimo lungo periodo.

(*) Link all’articolo originale: http://marcoconsolo.altervista.org/cile-alcuni-perche-della-sconfitta-al-referendum-sulla-nuova-costituzione/

 

Cile: alcune ragioni del no alla nuova Costituzione

di David Lifodi

Chile rechazó!”: è stato questo lo slogan che, sorprendentemente, ma solo fino ad un certo punto, ha fatto da contraltare allo slogan Chile despertó!”, che ha caratterizzato la campagna a favore dell’Apruebo della nuova Costituzionale cilena.

La netta vittoria di coloro che hanno votato per mantenere vigente la Costituzione attuale, quella risalente al regime militare di Pinochet, purtroppo, non ammettere repliche. El rechazo ha guadagnato circa il 61% dei consensi rispetto al 38% degli elettori che si sono espressi a favore dell’Apruebo.

Era difficile immaginarsi una sconfitta di queste proporzioni, ma sembra evidente che il voto espresso dalla maggioranza dei cileni, più che verso la nuova Costituzione, contro la quale la destra ha scatenato la solita campagna volgare all’insegna dei peggiori pregiudizi contro le comunità indigene e lgbt, è stato contro il giovane presidente Gabriel Boric, il cui mandato, a questo punto, si preannuncia ancor di più in salita.

Nelle urne, il 4 settembre scorso, è emerso il voto contro un modello, quello del Cile di Boric, che in molti si auguravano essere all’insegna di un significativo cambiamento sociale, ma che invece, con il passare dei mesi, ha finito per avvicinarsi troppo ai metodi della vecchia Concertación. In più, ha pesato fortemente la militarizzazione imposta al territorio mapuche, a partire dagli arresti di parte dei loro leader.

Si tratta indubbiamente di un’occasione persa soprattutto perché, da quell’estallido social dell’ottobre 2019 sembrava veramente essere giunto il momento giusto per il cambiamento di uno dei paesi più diseguali al mondo. Progressivamente, il governo Boric ha finito per seguire sempre più una strada istituzionale, come dimostra, dopo la sconfitta dell’Apruebo, l’appello del presidente a tutte le forze politiche per proseguire nel segno dell’ Acuerdo por la Paz Social y la Nueva Constitución, da cui però si è già sfilata non solo la destra, ma anche la maggioranza dei movimenti sociali cileni.

L’esito del referendum rappresenta un’occasione che difficilmente si ripresenterà nel breve periodo, dopo gli anni della dittatura militare ed un trentennio di democrazia sorvegliata dai grandi poteri economici.

Sulla campagna elettorale, e forse anche sull’atteggiamento di almeno una parte dei movimenti sociali verso Boric, ha pesato l’arresto, a fine agosto di Héctor Llaitul, portavoce della Coordinadora Arauco Malleco, che ha definito il presidente come “nemico pubblico numero uno” dopo la nuova militarizzazione dell’ Araucanía, trasformata in “macro zona sur”.

Al pari della Cam, che ha scelto di non riconoscere alcun politico come interlocutore valido, in molti hanno percepito Boric, nonostante la sua provenienza dal movimento studentesco, per quanto ormai da anni piuttosto lontano da quell’area, come un politico simile agli altri perché, di fatto, non è riuscito realmente ad adoperarsi, almeno finora, per porre un freno allo strapotere del mondo imprenditoriale, sia in territorio mapuche sia nel resto del paese, a partire dal grande business dell’industria forestale.

La destra ha saputo approfittare nel migliore dei modi delle contraddizioni insite nel governo Boric e, in più, è stata abile nell’accusare il presidente di non muovere un dito proprio in relazione alla questione mapuche. È derivata probabilmente da qui la scelta di militarizzazione dell’Araucanía del governo, percepito sempre più come “riformista” o socialdemocratico” e non così propenso verso un cambiamento radicale.

Ad un mese dal voto ha iniziato a crescere l’incertezza sull’esito del referendum, nonostante la Convenzione Costituzionale fosse composta in maniera paritaria da uomini e donne, compresi i popoli originari. Inoltre, va ricordato che la nuova Costituzione avrebbe riconosciuto i diritti sociali, quelli delle minoranze sessuali e, secondo numerosi analisti politici, minacciava gli interessi delle multinazionali minerarie.

Sull’esito favorevole alla nuova Costituzione erano in molti a sperare, sia sull’onda delle Costituzioni plurinazionali e democratiche già approvate in Venezuela (1999), Bolivia (2006-2007) ed Ecuador (2007-2008), sia perché un risultato positivo avrebbe potuto indirizzare altri difficili processi politici, a partire dal Brasile, dove si voterà il prossimo 2 ottobre per eleggere il nuovo presidente. Si el pueblo de Chile decide aprobar su nuevo contrato social, será un gran paso en esa dirección. Y será hermoso, aveva scritto con fiducia Javier Tolcachier, comunicatore sociale dell’agenzia internazionale di notizie Pressenza e, in un’articolo di Emanuele Profumi per pagineesteri.it, si ricordava che “il nuovo progetto di costituzione ha tutte le carte in regola per essere una delle Carte Magne più avanzate del mondo in materia di diritti umani, parità di genere, diritti della natura, ordinamento plurinazionale, come si può leggere sin dal primo articolo: il Cile è uno Stato sociale e democratico di diritto. È plurinazionale, interculturale, regionale ed ecologico. L’impianto complessivo è volto alla creazione di una nuova forma di Welfare State, dove l’educazione, la sanità e il sistema pensionistico diventino pubblici e di qualità, arricchito da nuovi diritti, nati dalle ultime grandi questioni epocali sostenute da profondi e ampli movimenti della società. Soprattutto la crisi ecologica e la richiesta di una reale parità di genere. Si introducono, infatti, per esempio, il diritto all’eguaglianza di genere (art.25) e il diritto all’aborto (art. 61), oppure il diritto alla giustizia ambientale (art. 108) e quello ai beni comuni naturali (art. 134-39)”.

Eppure, lo stesso Profumi già evidenziava il timore che el rechazo potesse vincere, come poi è realmente accaduto. Non è semplice analizzare l’esito delle urne, ma, come ha evidenziato anche Raúl Zibechi, sul voto ha pesato la “profonda disconnessione del governo e della Costituente con i sentimenti di gran parte della popolazione”. Le fake news della destra, unite al complesso scenario del conflitto politico e sociale in corso, hanno fatto il resto, determinando una delle più catastrofiche sconfitte per la democrazia cilena post Pinochet.

È di queste ore il rimpasto del governo Boric, voluto dal presidente in persona, che così si sposta più a destra. In questo scenario, a rafforzarsi, saranno solo il neoliberismo e quell’oligarchia che ancora oggi continua a guardare alla dittatura militare in un futuro immediato che non lascia presagire nulla di buono. In definitiva, il voto contro La Costituzione può essere interpretato come un voto contro Gabriel Boric.

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David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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