Dilemmi della transizione ecosociale

dall’America Latina. Terza parte.

di Maristella Svampa (*)

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4. Transizioni su scala nazionale

È noto che la pandemia di COVID-19 ha ulteriormente ampliato i divari di disuguaglianza a livello globale, accelerando al contempo la tabella di marcia della transizione energetica. In America Latina, secondo un rapporto Oxfam, le élite economiche e i super ricchi hanno aumentato la loro ricchezza di 48,2 miliardi di dollari, il 17% in più rispetto a prima della comparsa del COVID-19, mentre la recessione economica ha fatto cadere in povertà 52 milioni di persone e perdere il lavoro ad altri 40 milioni, provocando una regressione di 15 anni per la regione 9.
Ciò non ha fatto altro che rilanciare l’immaginario sviluppista/estrattivista in quasi tutti i Paesi, come chiave di rilancio economico e come risposta alla necessità di rispettare gli impegni esterni, cosa che ha trovato nuovo impulso nella febbre della crisi energetica generata dalle conseguenze della guerra in Europa (invasione russa dell’Ucraina).

Di seguito si farà una riflessione sulle vicissitudini della transizione energetica in Argentina e Uruguay, per concludere questa sezione con una rapida presentazione della proposta di Gustavo Petro, recentemente eletto presidente della Colombia.

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4.1. Argentina, fracking e prospettiva alla ‘el dorado’

In termini energetici, le differenze tra Argentina e Uruguay sono enormi. Mentre l’Argentina ha una memoria fossile ancorata all’abbondanza di petrolio e gas, l’Uruguay non ha mai avuto risorse fossili, motivo per cui ha dovuto ricorrere alle importazioni. Tuttavia, nel 2007, dopo un periodo critico nell’esplorazione e nello sfruttamento del petrolio da parte delle compagnie transnazionali, in primis Repsol, l’Argentina ha perso la capacità di autoapprovvigionamento di energia per diventare un importatore di risorse. Ciò ha generato uno scenario critico in cui il problema energetico è salito alla ribalta del dibattito pubblico come dimensione di prim’ordine della sovranità, non solo in quel paese, ma anche in Cile e Uruguay, che importavano gas dall’Argentina 10.

La matrice energetica argentina è fortemente dipendente dai combustibili fossili, in particolare il gas (53%), seguito dal petrolio (34%), nonostante in precedenza il rapporto tra petrolio e gas fosse inverso. Nel 1970 il 71% proveniva dal petrolio, mentre il 18% dal gas naturale e il 3% dal carbone 11. Sebbene il processo abbia una durata più lunga, la matrice energetica è cambiata a partire dagli anni Ottanta, con la scoperta e lo sfruttamento dei giacimenti di gas di Loma de la Lata, nella provincia di Neuquén, operando così una transizione all’interno del fossilismo, dal petrolio al gas naturale, che ha comportato lo sviluppo di un’infrastruttura del gas, che di solito è costosa e ha bisogno di essere ammortizzata nel tempo. La promozione degli idrocarburi non convenzionali, di pari passo con tecniche tanto messe in discussione come il fracking, promosse dagli Stati Uniti e dall’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), a partire dall’anno 2000 e la scoperta di giacimenti non convenzionali a Vaca Muerta, dal 2010, hanno dato una svolta a questa transizione intrafossile, con investimenti più capital-intensive e infrastrutture più costose, fattori che hanno ulteriormente intrappolato l’Argentina, rallentando ogni possibilità di uscita verso una società post-carbone.
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L’inizio dello sfruttamento su larga scala del fracking e la promessa di una sorta di El Dorado nel trasformare il paese in una potenza esportatrice di energia globale, ha plasmato i dibattiti energetici, segnandone i limiti e blindando i termini di discussione (Gutiérrez Ríos, 2022). Non a caso l’Argentina è diventata la punta di diamante del fracking a livello regionale, allineando destra e progressismo, neoliberismo e neosviluppo in una stessa posizione, a difesa di una energia estrema, in termini di politiche pubbliche (enormi sussidi alle compagnie petrolifere), minimizzando le questioni ambientali che caratterizzano la conflittuale cartografia globale per quanto riguarda il fracking 12.

Pertanto, diversi settori economici e politici intendono la “transizione energetica” da una prospettiva fossilista. Il nocciolo duro di questa posizione pro-estrattivista è l’affermazione che il gas naturale costituisce un “combustibile ponte” per la transizione, così come sostengono diversi attori imprenditoriali, inclusa la British Petroleum (BP) 13, dal 2010-2013.
Questa lettura è tuttavia molto controversa. Sebbene i rapporti dell’Aie confermino la maggiore partecipazione del gas naturale nella matrice energetica globale, non è chiaro se questa sia intesa come “combustibile ponte” da una transizione energetica “duale”.
In realtà, sebbene il gas di fracking emetta meno GHG per unità di energia consumata rispetto a petrolio e carbone e, quindi, possa essere concepito come combustibile di transizione, è molto controverso ipotizzare che possa essere un’alternativa di fronte all’aggravarsi della crisi climatica.
Da un lato, perché, in termini generali, se si sfruttasse il gas che rimane nel sottosuolo, questo farebbe fallire ogni bilancio del carbonio, accelerando il riscaldamento globale oltre 1,5 gradi. D’altra parte, non dimentichiamo che il gas del fracking è un esempio di energia estrema, i cui costi economici, ambientali e sanitari sono superiori a quelli del gas convenzionale e delle altre fonti energetiche. Infatti, lo shale gas e il tight gas generano emissioni di GHG più elevate rispetto al gas convenzionale durante la loro fase di produzione, poiché sono necessari più pozzi per metro cubo di gas prodotto; le sue operazioni utilizzano energia generalmente da motori diesel, il che aumenta le emissioni di CO2 per unità di energia utile prodotta; e la fratturazione idraulica (che non viene eseguita nel caso del gas convenzionale) richiede un maggiore consumo di energia e persino un volume maggiore di gas venting o flaring durante la fase di completamento del pozzo (Honty, 2014).
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Vista così, Vaca Muerta può essere considerata una potenziale bomba al carbonio. Nel 2018, il Comitato delle Nazioni Unite per i
Diritti Economici, Sociali e Culturali (ESCR) ha avvertito che, se il progetto Vaca Muerta dovesse avanzare, “il pieno sfruttamento, con la fratturazione idraulica, di tutte le riserve di gas di scisto consumerebbe una percentuale significativa del bilancio mondiale di carbonio necessario a raggiungere l’obiettivo di riscaldamento (non superiore) a 1,5 gradi Celsius, stipulato nell’Accordo di Parigi” (OHCHR, 2018), e pertanto ha raccomandato allo Stato argentino di riconsiderare lo sfruttamento a Vaca Muerta, alla luce degli impegni adottati. Insomma, l’idea che il gas naturale da fracking sia un “combustibile ponte” è un discorso opportunistico, associato alle imprese del settore e agli attori nazionali e internazionali che dovrebbero decidere, un discorso che non resiste all’analisi scientifica per il suo rapporto con il cambiamento climatico e per le sue conseguenze, né il confronto sui suoi presunti vantaggi con altre energie sporche.

Insomma, rispetto ad altri paesi della regione, l’Argentina ha affrontato tardivamente un’agenda legata alla promozione delle energie rinnovabili. Questa è iniziata sotto la gestione del governo Cambiemos (2015-2019), che ha realizzato il Piano RenovAr in due turni e ha gettato le basi per l’espansione di progetti di energia solare ed eolica su larga scala, secondo un modello di business che andrebbe a beneficio delle grandi aziende nazionali ed estere, escludendo gli attori più piccoli (Kazimierski, 2022: 213).
Di conseguenza, la quota di energia rinnovabile nel mercato elettrico è aumentata dall’1,9% nel 2018 al 12% alla fine del 2020.

Sebbene la prima fase abbia avuto successo, sono emersi problemi nel 2018 con la seconda fase, che si è svolta in un contesto di crisi economica generando un notevole sforamento del finanziamento. Contemporaneamente, il governo neoliberista di Cambiemos non solo promosse la commercializzazione di progetti che lasciavano ampi margini di profitto alle società intermediarie (alcune anche legate alla famiglia Macri, allora presidente), ma diede anche impulso a processi di deregolamentazione finanziaria e modifiche normative che lasciarono grandi profitti ai settori privati. Infine, la crisi iniziata nel 2018, nonché l’instabilità macroeconomica, hanno fatto sì che le aziende cercassero di giustificare i default attraverso la formula “cause di forza maggiore”. Verso la metà del 2021, sotto il governo Fernández, il Segretariato per l’Energia valutava la possibilità di rescindere i contratti, sebbene la situazione fosse finanziariamente complessa (Kazimierski, 2022: 220-221).

Nel 2021 i dati forniti dal governo indicano che il 13% della domanda totale di energia elettrica è stata fornita da fonti rinnovabili, in significativo aumento rispetto al 2020, quando tale origine rappresentava il 10% della domanda del Mercato Elettrico all’Ingrosso (MEM). In questo modo il settore intende raggiungere il 20% della fornitura elettrica entro il 2025 con fonti rinnovabili. La tecnologia che ha contribuito maggiormente alla generazione è stata quella eolica (74%), seguita dal solare fotovoltaico (13%), dai piccoli progetti idraulici (7%) e dalla bioenergia (6%), secondo i dati della Compañía Administradora del Mercado Mayorista Eléctrico Sociedad Anónima (CAMMESA) (Ministero dell’Economia, 2022).

Anche il Ministero delle Attività Produttive ha presentato un “Piano di Sviluppo Produttivo Verde” per combattere il cambiamento climatico (2021). Tuttavia, anche se questo includerebbe “un insieme di iniziative per implementare nei sistemi produttivi un nuovo paradigma sostenibile, inclusivo e ambientalmente responsabile” (Ministero dello Sviluppo Produttivo, 2020), di fatto il discorso appare del tutto dissociato da qualsiasi proposta di riduzione dell’estrazione di combustibili fossili.
Inoltre, Vaca Muerta e, in termini generali, il “mandato exportatore” (Cantamutto e Schorr, 2021) appaiono come la chiave per moderare il deficit esterno, e la situazione di sovraindebitamento ereditata dal governo neoliberista di Cambiemos 14.
Più semplicemente, nonostante il paese abbia promesso di ridurre le emissioni di gas serra del 26% entro il 2030 (Telam, 2020), questa proposta appare avulsa dalle sue politiche pubbliche, che promuovono l’allargamento della frontiera degli idrocarburi attraverso il fracking (ampliamento dei pozzi di Vaca Muerta e costruzione di gasdotti) e, dal 2022, un incremento dell’esplorazione petrolifera in acque profonde, attraverso l’offshore nel mare argentino 15.
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Insomma, in Argentina, l’agenda della transizione energetica ha cominciato a essere discussa, sia in campo politico che mediatico, a partire dagli anni 2010. Un dibattito segnato, a livello nazionale, dalla perdita dell’autosufficienza (2005-2007), dalla riconferma della dipendenza della matrice energetica dei combustibili fossili (la scoperta dei giacimenti non convenzionali di Vaca Muerta), dagli ingenti sussidi alle compagnie petrolifere (elargiti da diversi governi) e dalle tariffe elevate durante la presidenza di Maurizio Macri (2015-2019).
A livello internazionale le discussioni appaiono attraversate dalla crisi climatica e dall’Accordo di Parigi nato dalla COP21 (2015) e firmato dall’Argentina e, a livello nazionale, dall’espansione delle lotte eco-territoriali e dell’ambientalismo popolare, che includono dalle organizzazioni dei popoli originari, ai collettivi assembleari e territoriali, fino ai nuovi movimenti giovanili per la giustizia ambientale.
Tuttavia, l’esistenza di una memoria energetica legata all’abbondanza di combustibili fossili, a cui si aggiunge l’onnipresenza di Vaca Muerta, il tutto aggravato dall’enorme debito estero, ha finito per lasciare il paese intrappolato in un’agenda del passato, che ostacola l’elaborazione di una roadmap per la transizione verso l’energia pulita e la discussione di alternative reali per una transizione giusta.

4.2. La speranza uruguaiana e i suoi limiti

Nel Cono Sud latinoamericano, Cile e Uruguay hanno attuato politiche per incentivare il contributo delle energie rinnovabili nella loro matrice [energetica], soprattutto a partire dalla metà degli anni 2000, quando l’Argentina ha cominciato a soffrire di una carenza di approvvigionamento interno. Come è già stato osservato, né il Cile né l’Uruguay hanno combustibili fossili e quindi molto presto il tema è stato inserito nell’agenda pubblica e politica come “problema pubblico” e non come “vantaggio comparato” (Fornillo, Kazimierski e Argento, 2022). Questa differente memoria energetica e la rapida problematizzazione pubblica, nel quadro specifico del rapporto tra Stato, attori sociali e matrice economica, hanno contribuito ad avviare una transizione verso la defossilizzazione.

In questo senso, l’Uruguay appare come uno dei paesi più avanzati della regione in termini di transizione energetica verso le energie rinnovabili. Nel corso del 2017 tutta la sua energia elettrica è stata generata da fonti rinnovabili (aveva solo un 2% termico). La generazione della matrice elettrica — che rappresenta il 28,2% dell’energia totale — era costituita da generazione idroelettrica (52%), eolica (26%), biomasse (18%) e solare (2%) nello stesso anno. Se si considera la matrice energetica totale, poco più di dieci anni fa le energie rinnovabili, soprattutto idrauliche, coprivano il 36% della domanda, ma nel 2017 tale cifra è salita al 64% (Fornillo, Kazimierski e Argento, 2022).

Il piano di politica energetica è stato lanciato nel 2008, sotto il governo del Fronte Largo, e nel 2010 c’è stato un accordo multipartitico, con l’obiettivo di far avanzare la sovranità energetica e contribuire alla lotta al cambiamento climatico attraverso la decarbonizzazione. Nel 2017, su scala globale, l’Uruguay era tra i primi 10 al mondo per generazione eolica e solare; terzo dietro la Danimarca e davanti alla Germania (Chávez, 2019). Certo, la scala del paese — le sue dimensioni minori rispetto ai vicini Brasile e Argentina — contribuì all’adozione di tale politica dello Stato, ma non bisogna dimenticare che l’Uruguay “non è una piccola isola né un’economia di base, e che ha un reddito pro capite superiore a quello di Polonia, Ungheria, Croazia e altri paesi europei” (Chávez, 2019).
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Tuttavia, non è tutto luce in questo processo accelerato di transizione. Nonostante questo paese abbia una storia di difesa di ciò che è pubblico-statale, il modello di transizione energetica che è stato approntato si basa sulla privatizzazione della generazione di energia.
La modifica del quadro normativo, che ha consentito la privatizzazione e tolto il monopolio all’impresa statale, fu realizzato nel 1977 dalla dittatura civico-militare. Negli anni ’90 il tentativo di privatizzare l’impresa pubblica dell’elettricità fallì grazie a un plebiscito, organizzato dal basso in difesa del settore pubblico, che ottenne il 72% dei voti.
Nel 1997 fu generato un quadro normativo per il mercato elettrico, basato sulla legge del 1977, ma con norme di regolazione più affinate che hanno facilitato la generazione privata [di energia]. La crisi del 2002 fermò questi progetti, poi ripresi dal Fronte Largo, che finirono per dare un grande impulso alle rinnovabili, favorendo a loro volta gli investimenti di capitali privati ​​(Messina, 2019). Così, contestualmente all’avvio della transizione energetica verso le rinnovabili, si è attivato un modello di intervento privato nel campo della produzione.

In questo quadro, sebbene la società statale Administración Nacional de Usinas y Transmisiones Eléctricas (UTE) abbia alcuni parchi eolici propri e, negli ultimi tempi, abbia anche aumentato la sua partecipazione, i progressi nell’energia eolica sono stati prevalentemente privati: mentre nel 2012, il 5% dell’energia elettrica proveniva da produttori privati ​​— sostanzialmente biomassa proveniente dalla grande azienda di cellulosa UPM —, nel 2016 è salita fino al 28%, dove l’energia eolica rappresenta il 72% del totale (Fornillo, Kazimierski e Argento, 2022).

Nel suo discorso alla COP26 del 2021, l’attuale ministro delle finanze uruguaiano ha annunciato “la seconda rivoluzione energetica” come risposta post-pandemia, basata principalmente sulla sostituzione dei combustibili fossili nei trasporti con veicoli elettrici.
Allo stesso modo, il ministro ha dichiarato che il suo paese sta lavorando a un primo progetto pilota per il trasporto pesante di merci per utilizzare l’idrogeno verde 16.

Ci sono altri elementi da evidenziare quando si soppesa il modello uruguaiano senza cadere in facili idealizzazioni. In primo luogo, il processo di privatizzazione è stato accompagnato dalla disuguaglianza energetica. Per alcuni analisti il ​​problema non è tanto la tariffa quanto la sua struttura, ovvero l’enorme divario tra il costo dell’energia elettrica residenziale e quello dei grandi consumatori, che in pratica pagano la metà (Messina, 2019). Per questo motivo, la Cooperativa Comuna e il sindacato Agrupación de Servicios de las Usinas y Transmisiones Eléctricas del Estado (AUTE) hanno presentato proposte per ottenere una riduzione del divario e puntare sull’energia come bene comune. La proposta ha due assi: uno, attraverso la riduzione dell’Iva su tutti i costi fissi legati alla tariffa elettrica, che sarebbe esentata fino a un consumo di 200 kWh. “Quello che si consuma fino a lì è un diritto umano, è un consumo di base”. Due, una modifica del finanziamento del costo fiscale, attraverso un aumento del 5% della tariffa per i consumatori medi e del 10% della tariffa per i grandi consumatori (Messina, 2019).

In secondo luogo, l’Uruguay ha raddoppiato il proprio consumo di energia in poco più di 10 anni; aumento che si spiega con l’incorporazione di energie rinnovabili, essenzialmente biomasse e, in misura minore, eolica. Due settori rappresentano questo aumento dei consumi: il settore dei trasporti, sostanzialmente su strada, come nel resto della regione, e ancor di più il settore industriale (dal 23% al 43% del totale). All’interno del settore industriale, l’area cellulosa e carta ha registrato un forte incremento.
Come sostengono Fornillo, Kazimierski e Argento:

L’Uruguay ha aumentato enormemente il suo consumo, questo consumo è principalmente spiegato dalla domanda delle cartiere, e questa domanda è prodotta da residui di biomassa, in gran parte prodotti dalle stesse. In breve, oggi l’Uruguay, come quasi nessun altro paese al mondo, utilizza più energia da biomassa che dal petrolio per la produzione di elettricità, ma quasi tutta questa energia rinnovabile incorporata va direttamente all’industria della cellulosa e della carta (che oltretutto vende il surplus al sistema, che ne fa un’unità di business a sé stante). In questo senso, è necessario ancora una volta occuparsi dell’enorme produzione e domanda di energia associata all’estrazione di risorse naturali” (Fornillo, Kazimierski e Argento, 2022).

A questo aggiungiamo che, da anni, è in progetto una terza cartiera che, secondo i primi annunci del 2019, avrebbe un contratto di vendita di energia in eccedenza prima di essere installata.

Infine, nonostante la roadmap di successo in termini di transizione energetica, la tentazione fossilista riappare sempre, tanto più in un contesto internazionale di crisi energetica come quello attuale. Cinque anni fa, nel bel mezzo del boom degli idrocarburi non convenzionali, l’Uruguay è diventato il primo paese dell’America Latina a dichiarare una moratoria sul fracking, per quattro anni, fino alla fine del 2021. Nonostante alcuni funzionari abbiano recentemente espresso l’intenzione di riaprire la discussione, il Ministro dell’Industria ha affermato che l’Uruguay è impegnato per l’ambiente, per pratiche sostenibili e che il fracking non ha cittadinanza, nel paese (El Observador, 2021). Tuttavia, l’agenda fossilista è tornata: nel giugno 2022, l’impresa Ancap ha deciso di andare avanti con la tanto discussa estrazione petrolifera offshore, attraverso l’aggiudicazione di tre blocchi per l’esplorazione di petrolio e gas nel mare dell’Uruguay, che comprende la perforazione di un quarto pozzo esplorativo 17.
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4.3. Verso un progressismo “ambientale”?

Esiste la possibilità di un progressismo ambientale in America Latina?
Sia l’esperienza dei progressismi di prima generazione (2000-2015), che i deboli progressismi che hanno seguito l’alternanza — Argentina e Bolivia — sembrerebbero indicare che l’impegno per l’estrattivismo, e per i combustibili fossili in particolare, continua ad essere la regola, al di là dei progressi compiuti nel campo delle energie pulite.
Su questa linea, vorremmo evidenziare un elemento di novità nello scenario latinoamericano, visibile nel programma di governo del Patto Storico del Presidente della Colombia, Gustavo Petro, che recita:

Una graduale riduzione della dipendenza economica da petrolio e carbone”, sostiene che: “L’esplorazione e lo sfruttamento di giacimenti non convenzionali saranno vietati, i progetti pilota di fracking e lo sviluppo di giacimenti offshore saranno bloccati. Non saranno concesse nuove licenze per l’esplorazione di idrocarburi”… e aggiunge che “l’estrazione delle attuali riserve di combustibili fossili […] sarà utilizzata per il consumo interno secondo criteri tecnici e socioeconomici che consentano una maggiore efficienza nel loro utilizzo e un maggiore tasso di ritorno energetico” (Colombia Sin Fósiles, 2022).

La proposta di transizione graduale e giusta presentata da Petro comprende la salvaguardia dei settori economici e dei lavoratori che oggi dipendono dall’estrazione di combustibili fossili (35% delle esportazioni della Colombia). Implica non solo cambiamenti nella matrice energetica, ma anche l’opportunità di promuovere la diversificazione e il deconcentrazione economica della Colombia.
Secondo l’ingegnere petrolifero Andrés Gómez: “Il Paese ha solo lo 0,1% delle riserve mondiali e anche così, nel 2021 è dipeso per il 32% delle entrate dalle esportazioni di petrolio” (Público, 2020). Potrebbe essere anche un vero esempio per la regione e per il mondo per la sperimentazione di nuove strade, proponendo di lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo. Questa transizione, che implicherebbe la sospensione dell’esplorazione di idrocarburi in Colombia come primo passo verso la transizione energetica, e che deve essere accompagnata dalla sospensione del fracking, consentirebbe la costruzione di una roadmap ragionevole, come affermato da Tatiana Roa Avendaño, ingegnere e ambientalista, da Censat-Acqua viva (Pubblico, 2020).

La vittoria colombiana arriva ad ossigenare una politica latinoamericana caratterizzata dalla ripetizione [delle stesse politiche] e dall’assenza di visioni politiche innovatrici, rappresentata dai progressismi fossili che, come in Argentina, Bolivia e molto probabilmente Brasile, non sono interessati ad aprire l’agenda socio-ambientale, né a discutere una giusta transizione, e di conseguenza riducono significativamente gli orizzonti della democrazia e di una vita dignitosa e sostenibile.
È vero che si potrebbe dire che il nuovo presidente colombiano Petro non sarebbe solo, poiché il Cile, con Boric e l’alleanza che lo ha portato al governo, potrebbe portare anche un rinnovamento politico della sinistra.
Entrambi gli sforzi rappresentano la speranza di un “progressismo di seconda generazione” in America Latina, dove la democrazia e i problemi socio-ambientali possano finalmente esprimersi trasversalmente nel programma di governo e non solo come un compartimento stagno (Svampa e Viale, 2022b).
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Sulla stessa linea, lo scorso giugno, il governo cileno ha annunciato, nell’ambito della “giusta transizione socio-ecologica” contenuta nella promessa elettorale, la chiusura definitiva della fonderia di Ventanas che “sarà realizzata attraverso un processo graduale e responsabile insieme alla popolazione e ai lavoratori” e garantendo che “nessun lavoratore sarà lasciato disoccupato a seguito di questa decisione”.
Ventanas è una fonderia, appartenente alla società statale Codelco, denunciata decenni fa per i suoi altissimi livelli di inquinamento.
Per questo “la decisione è stata presa considerando i ricorrenti casi di intossicazione che si sono verificati nella zona, le continue chiusure temporanee di scuole, i bambini e le bambine ammalati, e la saturazione ambientale della zona”.
La fonderia si trova nel polo industriale più inquinato del paese, vicino a Valparaíso, dove nel 1964 iniziò a funzionare la prima fonderia e raffineria di rame della Compagnia nazionale delle miniere (ENAMI). Nel 2016 il parco industriale ospitava più di 17 imprese, tra cui sette centrali termoelettriche a carbone, una raffineria e una fonderia di rame, tre imprese legate alla distribuzione di idrocarburi, due imprese di stoccaggio di sostanze chimiche e tre distributori di gas. È lì che è nato il gruppo Mujeres de Zona de Sacrificio Puchuncaví-Quintero en Resistencia, che ha svolto un enorme lavoro di de-naturalizzazione della contaminazione, denunciando l’ingiustizia ambientale e gli impatti sulla salute (Svampa, 2021a).

Insomma, il nuovo governo della Colombia potrebbe aprire una fase per quel paese e per l’intera regione.
Non sarà certo facile, perché le sfide politiche e sociali sono enormi ed estremamente complesse.
Il quadro delle alleanze stabilite da Petro a livello nazionale (presenza di figure politiche tradizionali), la possibilità di apertura di nuovi spazi regionali di integrazione nella chiave di progressismi di nuova generazione (crisi climatica e transizione giusta), nonché i rapporti con il Nord (in particolare con gli Stati Uniti), impegneranno il nuovo governo e definiranno il suo corso in questi vari percorsi.
E senza dubbio il programma di transizione ecosociale è, insieme alla pace, la più grande sfida che avrà il nuovo governo, sia per ragioni politiche che economico-produttive. Infine, visto che Petro ha un orizzonte di soli quattro anni al potere (in Colombia non c’è nessuna rielezione), nel migliore dei casi getterà le basi per il futuro, per arrivare a un allargamento della discussione sul modello di sviluppo a tutta la società colombiana e latinoamericana.

(3. Continua)

* Maristella Svampa è sociologa, scrittrice e ricercatrice presso il Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas (CONICET) Argentina. Professoressa all’Università Nazionale di La Plata. Laurea in Filosofia presso l’Università Nazionale di Córdoba e PhD in Sociologia presso la School of Advanced Studies in Social Sciences (EHESS) di Parigi. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui il platino Kónex Prize in Sociology (2016) e il National Prize for Sociological Essay per il suo libro “Debates latinoamericanos. Indianismo, sviluppo, dipendenza e populismo” (2018). Nel settembre 2020 ha pubblicato “El colapso ecológico ya llegó. Una brújula para salir del (mal)desarrollo”, insieme a Enrique Viale, per la casa editrice Siglo XXI (www.maristellasvampa.net).

(*) Tratto da Ecor.Network.
Traduzione di Giorgio Tinelli.



Dilemas de la transición ecosocial desde América Latina

Maristella Svampa
Fundación Carolina, Documentos de Trabajo Nº especial FC/Oxfam Intermón – 34 pp.

Download:


Note:

 9) Datos de Oxfam, citados en El País (2020).
10) Para un abordaje comparativo de estos tres países, véase Fornillo, Kazimierski y Argento, 2022.
11) Disponible en: http://energiasdemipais.educ.ar/la-matriz-energetica-argentina-y-su-evolucion-en-las-ultimas-decadas/.
12) Dos ejemplos recientes, sucedidos durante la pandemia de la COVID-19, dan cuenta del lugar que ocupa la explotación hidrocarburífera en términos de política pública: el primero es que, en 2020, frente a la caída del precio internacional del petróleo, el gobierno de Alberto Fernández firmó un decreto que garantizaba un precio especial, el llamado “barril criollo” a 45 dólares, muy por encima de los 30 dólares que entonces cotizaba a nivel internacional. El segundo, en 2021, el mismo gobierno que aprobó el impuesto extraordinario a la riqueza destinó el 25% del mismo a programas de exploración, desarrollo y producción de hidrocarburos. Ver: https://resumen.cl/articulos/argentina-aprueba-impuestos-a-los-super-ricos.
13) Informe de BP de 2019, citado en Del Valle Guerrero, 2020.
14) En mayo de 2018, el gobierno de Macri firmó un acuerdo con el FMI que le otorgó el mayor préstamo de su historia y sumó a la crisis más fuga de capitales, así como un insostenible sobreendeudamiento.
15) Para el tema, véase Svampa y Viale (2022a).
16) Véase: https://www.gub.uy/presidencia/comunicacion/noticias/uruguay-promueve-segunda-transicion-energetica-mediante-desarrollo-del.
17) Véase: https://www.ancap.com.uy/13796/1/ancap-resolvio-la-adjudicacion-de-tres-bloques-para-exploracion-de-petroleo-y-gas-en-el-mar-uruguayo-que-incluye-la-perforacion-de-un-cuarto-pozo-exploratorio.html.


Riferimenti bibliografici:

 

alexik

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