Dove va il Congo? 30 anni di guerra per le risorse
a cura della rete “Insieme per la pace in Congo”(*)
Un giorno si dirà: «Tutto ciò poteva essere evitato»
Nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) prosegue indisturbato da quasi trent’anni il conflitto più mortale dalla Seconda guerra mondiale. Un’infinita guerra per le enormi risorse naturali, con la presenza di eserciti stranieri e di oltre cento gruppi armati. Il grande Kivu (Nord-Kivu e Sud-Kivu) e l’Ituri sono le regioni più colpite.
1. Un trentennio di guerre
Incalcolabile il numero dei morti. Si parla di oltre dieci milioni, uccisi dalle armi e soprattutto dalla fame e dalla miseria accentuate dalla guerra. Sette milioni gli sfollati interni. Massacri in piccole comunità agricole, in villaggi e città. Stupri di massa e incendio di interi villaggi. Devastazione ambientale anche in aree protette.
Il 1° ottobre 2010, l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani pubblicava il “Rapporto Mapping” sui gravi crimini commessi nella RDC dal 1993 al 2003, cioè negli ultimi anni del potere di Mobutu e durante le due guerre del 1996-1997 e del 1998-2002, certificando almeno 6 milioni di vittime e repertoriando oltre 600 massacri, alcuni classificati come crimini di guerra, crimini contro l’umanità e alcuni come crimini di genocidio. Numerosi rapporti di esperti delle Nazioni Unite hanno esaminato nei dettagli situazioni e responsabilità. [1–3]
2. A fine 2021, divampa la guerra dell’M23
Ma la guerra non si è fermata. Sono proseguite nell’Est del Congo le politiche di aggressione da parte del vicino Stato del Ruanda, con i suoi suppletivi, in vista dell’annessione di territori dell’est del Congo, ricchi di risorse minerarie.
Le milizie armate del Movimento M23 (Mouvement du 23 Mars, movimento erede dell’AFDL, dell’RCD-Goma, del CNDP e di una prima forma di M23, quest’ultima nata nel 2012 con riferimenti agli accordo firmati il 23 marzo 2009 con il governo congolese e da qui il nome M23) e l’AFC (Alliance du Fleuve Congo, guidata da Corneille Nangaa, congolese, ex presidente della CENI-Commission Électorale Nationale Indépendante) hanno condotto l’avanzata a partire dalla frontiera ugando-congolese, avanzando nel Nord-Kivu.
Il 13 giugno 2022 hanno occupato la città di Bunagana e hanno proseguito, conquistando villaggio dopo villaggio, installandosi nei siti minerari più importanti, fra cui quello di Rubaya, uccidendo, violentando, bruciando villaggi e mettendo in fuga la gente. Si stima che vi venga prodotto il 15% del coltan mondiale. [4]
Insufficiente e incerta la resistenza dell’esercito nazionale congolese, le FARDC, da tempo indebolite da continui accorpamenti previsti per legge e infiltrazioni di ex-ribelli di dubbia obbedienza e provenienza.
Dal 2022 al 2024, la guerra è proseguita nella parte sud del Nord-Kivu senza una efficace resistenza da parte congolese, malgrado le varie truppe di paesi vicini chiamate in soccorso dal Presidente congolese. Testimoni di atrocità o temendo l’avanzata, molti abitanti dei villaggi si sono messi in fuga, dirigendosi verso il capoluogo, Goma. Attorno a questa città di circa 1 milione di abitanti, si sono affollati oltre un milione e mezzo di profughi, in enormi campi di sfollati, assistiti più che altro dalla solidarietà della gente.
Una strategia costante degli aggressori è stata quella di sostituire le autorità tradizionali (alcune in fuga, altre uccise, altre acquisite alla causa per paura) con nuove autorità imposte. Si assiste al consolidamento di uno Stato parallelo, di fatto rispondente al Ruanda e con la propria gestione amministrativa, economica e politica. E la decisione del Kenya di nominare, a metà agosto, un Console generale a Goma è un segnale evidente delle manovre sottobanco dei “grandi”.
Né il paese né la comunità internazionale hanno saputo reagire adeguatamente. Secondo il rapporto consegnato dagli esperti nel dicembre 2024 al Consiglio di sicurezza dell’Onu, la milizia M23 punta a una «occupazione a lungo termine» della regione nell’ottica di sfruttarne il territorio e contrabbandarne le risorse. [5]
3. Nel 2024, in piena guerra, l’UE firma un accordo col Ruanda sui minerali
Come denunciato, fra gli altri, dalla rete “Insieme per la Pace in Congo”-IPC, l’Unione Europea ha firmato, il 19 febbraio 2024, un Protocollo d’Accordo per l’approvvigionamento di minerali critici. È noto che il Ruanda non dispone che di una minima quantità di tali risorse nel proprio sottosuolo. Tutto il resto viene saccheggiato dal Congo, come rilevano diversi rapporti delle Nazioni Unite. Inutili le proteste sia delle autorità congolesi che della società civile europea. Grandi interessi economici sono in gioco per economie che puntano a un approvvigionamento sempre più intenso e a basso prezzo di minerali strategici per l’“economia verde” e l’elettronica di punta.
Il 1° gennaio 2021 era entrato in vigore il Regolamento 2017/821 del Parlamento europeo per la tracciabilità dei minerali, per un loro commercio regolare e trasparente. Si riferisce in particolare alle importazioni dei cosiddetti 3TG: stagno, tantalio, tungsteno e oro (3TG: Tin, Tantalum, Tungsten, Gold). Un regolamento, tuttavia, attenuato e mai applicato, reso inefficace fin dal punto di partenza dei minerali, falsamente etichettati. [6–7]
4. L’escalation nel 2025
Grave l’escalation dagli inizi del 2025. Le milizie M23, AFC e le forze armate ruandesi (Rwanda Defence Force, RDF) allargano l’occupazione del Nord-Kivu, avvicinandosi progressivamente a Goma, compiendo massacri e crimini di guerra, crimini contro l’umanità e assassini mirati e violando il diritto internazionale.
Il 26 gennaio viene occupata Goma, capoluogo del Nord-Kivu. Tremila, ma forse più, sono i morti tra militari e civili durante l’occupazione della città in due giorni di combattimenti.
In febbraio, gli occupanti costringono gli sfollati a lasciare in fretta i campi per errare ancora senza mezzi e spesso avendo perso tutto. L’M23 e suppletivi infatti non vogliono campi di sfollati, così intere famiglie hanno cercato ed ottenuto rifugio nelle case degli abitanti regolari, anch’essi in difficoltà. [8]
Da Goma le truppe occupanti progressivamente scendono verso il Sud-Kivu, conquistando villaggio dopo villaggio fino all’entrata senza resistenza nel capoluogo, Bukavu, il 16 febbraio.
Gli aggressori, oggi, occupano e controllano totalmente un territorio grande tre o quattro volte il Ruanda e ricco da morire! Sono stati nominati nuovi governatori delle due province e sindaci delle città più importanti.
Un ulteriore disastro umanitario, come sottolineato alla fine di gennaio dalla Rete IPC nella sua lettera agli europarlamentari. Pesantissimo il bilancio di morti. Una popolazione ridotta allo stremo dalle violenze, uccisioni, stupri, intimidazioni, saccheggi, dal taglieggio quotidiano di tasse esorbitanti, dalla perturbazione delle scuole, dalla chiusura di banche e impercorribilità di arterie stradali importanti. [9]
Alla fragilità dell’esercito regolare congolese cercano di supplire le forze popolari di resistenza, chiamate Wazalendo. Gli scontri continuano, nelle campagne, con un elevato numero di morti anche ruandesi. Il regime ruandese però non può ammettere le lacrime che scorrono sui volti di tante famiglie per la perdita dei loro giovani: non deve infatti apparire la loro presenza nella RDC. [10]
Il rapporto dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti umani del 5 settembre 2025 afferma che tutte le parti in conflitto hanno commesso gravi violazioni del diritto internazionale umanitario nelle province congolesi del Nord e Sud-Kivu. Tali violazioni possono costituire dei crimini di guerra e crimini contro l’umanità. [11]
5. Importante ma insufficiente reazione internazionale
Come anche altre realtà associative, alla vigilia della presa di Bukavu, la Rete IPC rivolgeva un appello agli europarlamentari chiedendo una denuncia pubblica dell’aggressione da parte del Ruanda e dell’AFC/M23 e una pressione sull’UE per l’annullamento del Protocollo d’Accordo con il Ruanda che legittimava il saccheggio delle risorse congolesi. Si chiedevano inoltre l’introduzione di sanzioni contro Kigali e l’AFC/M23. Fermare i massacri e ristabilire la giustizia dovrebbe essere il compito della politica internazionale, a cominciare dall’Europa. [12]
Il Parlamento europeo il 13 febbraio 2025 a grande maggioranza approvava una decisa «risoluzione di indirizzo politico» sull’escalation nella regione dei Grandi Laghi, proposta da sei eterogenei gruppi parlamentari. Un atto, purtroppo non vincolante ma politicamente molto significativo, che andando oltre la condanna dell’occupazione di Goma e di altri territori della RDC, chiedeva alla Commissione Europea e al Consiglio di sospendere il memorandum UE-Ruanda sulle catene di valore sostenibili relative alle materie prime, fino alla fine dell’ingerenza militare ruandese e dell’esportazione di minerali estratti in zone della RDC controllate dall’M23. [13]
Il 23 febbraio 2025 anche il Consiglio di sicurezza dell’Onu condannava per la prima volta l’offensiva del Ruanda chiedendo il ritiro immediato delle sue truppe dalla RDC. [14]
Tutti questi provvedimenti delle istituzioni europee e internazionali sono rimasti però senza seguito! L’ONU non ha imposto sanzioni e quelle dichiarate da Stati Uniti, dal Regno Unito e dalla stessa Unione europea non hanno toccato il nodo della questione.
6. Accordo di Washington, a parole
Per salvaguardare il suo potere a rischio, il presidente Félix Tshisekedi ha chiesto aiuto al presidente statunitense Donald Trump perché metta fine alla guerra, in cambio di licenze d’accesso ai minerali strategici.
Il 27 giugno a Washington è stato firmato un accordo di pace fra RDC e Ruanda, mediato dal presidente Trump. L’accordo, sintetizza il Bollettino “Congo Attualità”, «comprende due componenti principali: la sicurezza e l’economia. Prevede in particolare il rispetto dell’integrità territoriale di entrambi i Paesi, la cessazione delle ostilità tra i rispettivi eserciti e l’impegno reciproco a non sostenere più gruppi armati come le FDLR o l’M23/AFC. Include inoltre l’istituzione di un meccanismo congiunto di coordinamento della sicurezza basato sul concetto di operazioni adottato a Luanda in ottobre 2024. Sul fronte economico, l’accordo mira a rafforzare la cooperazione bilaterale attorno a progetti comuni, in particolare nei settori dell’energia idroelettrica, della gestione dei parchi nazionali e della tracciabilità mineraria. Si basa sulle organizzazioni regionali già esistenti – CIRGL, COMESA ed EAC – per promuovere l’integrazione economica e contrastare il contrabbando e il commercio minerario illegale. Gli Stati Uniti avranno un ruolo più incisivo come investitori in settori strategici». [15]
Un comunicato della Rete IPC puntualizza: «Come rete “Insieme per la Pace in Congo”, riaffermiamo l’imperativo morale nostro, del nostro paese e dell’Europa, di essere al fianco della popolazione congolese che da trent’anni è vittima di guerre a ripetizione che non ha provocato e che non vuole. È tempo di rendersi conto che fingersi pacificatori quando si cercano i propri interessi è diventare complici della morte di milioni di persone. È tempo di ritrovare l’obbedienza ai valori che hanno fondato la nostra libertà, abbandonando supine e interessate obbedienze. (…) Che gli USA e altre potenze occidentali possano acquistare direttamente dal Congo gli agognati minerali: ma potrà il saccheggio trasformarsi in collaborazione regionale, e di quale tipo? Non diverrà il Congo il grande bacino di estrazione per le industrie in Ruanda? E che l’assenza totale del tema della giustizia per milioni di vittime e di sopravvissuti traumatizzati non impedisca un giorno di portare gli autori davanti alla giustizia». [16]
Il Rapporto dell’Alto Commissariato ONU per i diritti umani del 5 settembre 2025 conferma che sul terreno non si constatano segnali di cessazione delle ostilità, ma piuttosto un aumento di truppe da entrambi le parti, tentativi da parte dell’M23 e associati di estendere la conquista e nuovi massacri: «Queste iniziative purtroppo non si sono tradotte in una cessazione immediata delle ostilità tra M23 e FARDC, Wazalendo e gruppi armati alleati. A luglio, sia M23 che FARDC hanno rafforzato le loro posizioni nel Sud-Kivu, vicino al confine con il Burundi, rendendo la situazione della sicurezza altamente instabile e sollevando preoccupazioni per una ripresa della violenza e un’ulteriore regionalizzazione del conflitto. L’M23 ha inoltre mantenuto la pressione militare nel Nord-Kivu, prendendo di mira le forze residue di FARDC, FDLR e Wazalendo nei territori di Lubero, Rutshuru e Walikale. In particolare, a luglio, l’M23 ha lanciato una grande operazione offensiva nella chefteria di Bwisha (Rutshuru) – un’area a maggioranza hutu e tradizionale roccaforte delle FDLR – in cui i sopravvissuti hanno descritto l’esecuzione sommaria di centinaia di civili, per lo più hutu, tra cui decine di bambini (inclusi neonati) con machete e asce.» [17–18]
7. Il dialogo in Qatar: chi l’ha visto?
In parallelo, con la mediazione del Qatar, a luglio 2025, la RDC e il gruppo armato Movimento 23 marzo (M23) hanno firmato una «dichiarazione di principio» che promette di aprire la strada alla fine dei combattimenti nell’est della RDC. Ma l’ottimismo è subito smorzato da interpretazioni diametralmente opposte del testo. Se da un lato il governo congolese celebra l’accordo come un impegno al ritiro immediato dei ribelli, questi ultimi negano tale clausola, sostenendo che ogni smobilitazione sarà solo la conseguenza di un accordo di pace definitivo che affronti le cause profonde del conflitto. Un’ambiguità centrale su cui si gioca il futuro del cessate il fuoco e la stabilità dell’intera regione. [19]
Del resto l’intesa di luglio si presentava come la base per i negoziati che dovevano iniziare l’8 agosto e concludersi il 18 agosto, ma tutto è stato rinviato fra accuse reciproche. «Il primo problema – scrive ancora Congo Attualità – è di natura tecnica. Da parte sua, l’AFC/M23 parla di almeno 700 persone (membri del movimento, combattenti e simpatizzanti) arrestate da Kinshasa e detenute in carcere. È quindi necessario comporre, verificare e certificare le liste, in modo tale che ottengano il consenso e l’approvazione di entrambe le parti. Per facilitare questo lavoro, le due parti hanno concordato di ricorrere al Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) come intermediario neutrale. Un altro problema in discussione è quello del rilascio dei prigionieri della parte governativa che sono nelle mani dell’AFC/M23, tra cui un buon numero di militari. (…) Secondo fonti governative, in gennaio e febbraio, l’AFC/M23 aveva reclutato circa 1.500 militari dell’esercito nazionale e li aveva inviati al campo militare di Rumangabo, vicino a Goma, per una sessione di “aggiornamento” e aveva catturato più di 300 membri della Guardia Repubblicana. Si tratta di due esempi su cui le due parti devono raggiungere un accordo, per poi potere iniziare i negoziati veri e propri». [20]
I negoziati in Qatar proseguono in modo altalenante, ma intanto nell’Est della RDC l’M23 prosegue con i discorsi bellicosi sulla “liberazione del Congo” e continua a occupare nuovi territori. [21]
Sul terreno, la popolazione dei territori occupati, impoverita dai saccheggi sia degli occupanti che di banditi locali favoriti dalla distruzione del sistema giudiziario, dalle tasse esorbitanti, dalla perdita del lavoro e dalla chiusura di arterie importanti per i rifornimenti, vive una situazione di grande penuria, e pur resistendo con tenacia resiliente, è tentata dallo scoraggiamento non sapendo da dove verrà la salvezza, se non dall’alto, dalla sua fede tenace in Dio.
E gli scontri sul terreno vanno avanti, specialmente all’interno, dove si assiste a un continuo aumento di truppe da parte degli aggressori e dal tentativo costante di aprirsi varchi verso il nord (da Walikale si va a Kisangani) e verso il sud (come dimostra il tentativo di accerchiare la resistenza nella piana della Ruzizi scendendo verso Uvira attraverso le montagne).
A Uvira, in settembre 2025, giornate di “ville morte”, manifestazioni, con perdite di vite umane, hanno ottenuto dalle autorità congolesi il cambio di un comandante che era considerato inadeguato a difendere la città. [22]
8. Nel Nord-Est, massacri senza fine
Parallelamente, milizie dell’ADF (Allied Democratic Forces), formazione che si definisce affiliata allo Stato islamico, hanno recentemente ucciso oltre 70 persone a Ntoyo nel Nord-Kivu. Non è che un episodio di una lunga serie di massacri gratuiti di gente innocente nelle proprie case, in strada, nei campi. [23]
Quale l’intento di questa forza, che apparentemente è fatta di oppositori al regime ugandese ma che non ha mai sferrato un attacco contro l’Uganda? Servono per giustificare la presenza sul territorio congolese di truppe ugandesi, che però non sanno porre fine al fenomeno, pur collaborando con l’esercito congolese. Eppure, si tratta di poche centinaia di ribelli. L’Uganda guadagna alla grande dall’uscita illegale di oro e altri minerali, cacao, legname, dall’est del Congo. Molte le domande che nascono. [24]
“Photo du jour 31 Octobre 2013” by MONUSCO is licensed under CC BY-SA 2.0.
9. Dove vanno gli Hutu trasferiti a migliaia in Ruanda?
Un’ulteriore denuncia, contenuta in un documento di Human Rights Watch del 18 giugno 2025 riguarda il trasferimento, probabilmente forzato, verso il Ruanda di migliaia di cittadini di etnia Hutu (spesso di solo lontana origine ruandese, e anche cittadini congolesi, nel Nord-Kivu), in atto alla grande dal maggio scorso. Già più volte costretti a lasciare case e campi di fortuna e sostituiti da nuovi arrivati, alla fine sono fatti salire su convogli diretti in Ruanda. Le autorità ruandesi e l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati hanno dichiarato che si tratta di rifugiati ruandesi che varcano spontaneamente la frontiera e che saranno reintegrati nella società ruandese. Possibile? [25]
10. Il fallimento della missione delle Nazioni Unite
La MONUSCO (United Nations Organization Stabilization Mission in the Democratic Republic of the Congo) è attiva in Congo dal 1° luglio 2010, quando ha preso il posto della precedente missione MONUC (30 novembre 1999 – 30 giugno 2010). È considerata la missione ONU più imponente, con fino a 20.000 caschi blu, e la più costosa, con un budget superiore a 1 miliardo di dollari all’anno.
Eppure, i risultati concreti della missione sono stati pochi. Attualmente, MONUSCO è già in fase di disimpegno, con la scadenza fissata al 31 dicembre 2025. Nata come missione di “peacekeeping” in un Paese privo di pace, si è trovata subito a dover fronteggiare regole di ingaggio inadeguate: di fatto, i caschi blu erano presenti soprattutto come osservatori, con scarso margine di intervento concreto per fermare massacri che, in alcuni casi, avvenivano a poca distanza dalle loro basi.
Un esempio emblematico è l’uccisione, il 22 febbraio 2021, nei pressi di Goma, dell’Ambasciatore italiano Luca Attanasio, insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e al congolese Mustapha Milambo, autista del Programma Alimentare Mondiale (PAM). L’attacco avvenne lungo la Strada Nazionale 2, un’importante arteria di comunicazione, in un’area infestata da criminali ma che si riteneva sotto il controllo delle FARDC e della MONUSCO, durante un viaggio organizzato proprio dal PAM.
Il fallimento di questa missione dell’ONU, che avrebbe dovuto salvare vite ma è stata spesso percepita come forza occupante o addirittura complice dell’occupazione, è evidente anche dal fatto che non sono mai stati arrestati capi di milizia né eradicate milizie attive. Questo ha portato la popolazione civile a manifestare e a chiedere un disimpegno definitivo della missione.
11. Dove va il Congo?
La situazione congolese nel suo insieme è stata analizzata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU nel mese di agosto con l’audizione di Martha Ama Akyaa Pobee, assistente del Segretario generale ONU per l’Africa. La crescente insicurezza nell’Est impedisce i progressi diplomatici. Recenti attacchi dell’M23 e dell’AFC, insieme agli assalti dell’ADF, hanno aumentato le vittime civili. La RDC presenta una delle emergenze umanitarie più gravi al mondo, con una insicurezza alimentare acuta, in crescita, e 5,9 milioni di sfollati interni, rileva l’ONU. L’evoluzione del conflitto sul campo non corrisponde ai progressi diplomatici. Nell’indifferenza generale, persistono la violenza sulle donne e il reclutamento forzato dei minori. La richiesta è che il Consiglio di sicurezza spinga per veri negoziati di pace e il rispetto della sua risoluzione di febbraio. [26]
Vista l’inefficacia degli interventi militari e diplomatici messi in atto, è legittimo chiedersi dove stia andando questo grande Paese, che non ha mai conosciuto giorni di vera pace, nel rispetto dei diritti, ma che ora, nella sua regione orientale soprattutto, vive situazioni di gravità inaudita.
Mentre il progetto di guerra e di conquista continua, mentre si installano nuovi padroni delle miniere, il Congo sembra scivolare verso una spartizione che strapperà al potere di Kinshasa la parte est, più ricca in miniere. Magari non formalmente – ufficialmente le frontiere potrebbero per il momento restare intatte – ma nei fatti, con una cooperazione commerciale fra paesi vicini che in realtà, lo si vede da ora, sarà sfruttamento da padrone a schiavo. È in atto un vero e proprio piano di balcanizzazione della RDC.
Questa spartizione non avverrà tranquillamente. Benché mal governati, i congolesi tengono fermamente alla loro unità nazionale, soprattutto hanno già sperimentato e sperimentano la durezza dell’occupazione ruandese e non la accettano. C’è una soglia oltre la quale la popolazione esploderà.
Allora però, che nessuno parli dei “soliti africani tribalisti e feroci”. Che ci si chieda in che cosa abbiamo noi stessi attizzato il fuoco, anziché impedire che s’accendesse.
Intanto, in Rwanda, con ogni performance, si sono svolti, dal 21 al 28 settembre, i campionati mondiali di ciclismo. E molti si felicitano con questo paese all’avanguardia, ignorando il terrore che il regime di Paul Kagame ha installato all’interno e all’esterno del Paese. Mentre i ciclisti corrono, nel vicino Congo tanta povera gente è in fuga dall’aggressione ruandese. Davvero era il caso di accettare questa corsa-propaganda?
12. Resilienza
In questo contesto, la società civile della RDC e la stessa popolazione dell’est della RDC continuano a essere attive. Fra gli esponenti che esprimono la voce della popolazione alcuni sono all’estero impediti dalle minacce di tornare; altri hanno avuto il coraggio di restare e nella discrezione, ma con determinazione restano a fianco della gente. Un aspetto importante della loro azione è la registrazione degli uccisi, con circostanze e presunti autori, in modo che un giorno la giustizia se ne possa occupare.
Giovani di quartieri periferici di Bukavu, per esempio, hanno manifestato con coraggio, altri si sono sottratti all’arruolamento forzato o hanno resistito a promesse di ingaggio. Donne della città, spose e madri di uomini rastrellati sono andate in gruppo a chiederne la liberazione. La solidarietà reciproca permette di sopravvivere a chi non ce la fa più. Insegnanti hanno continuato ad insegnare malgrado l’assenza o l’insignificanza del salario. La carità di tanti, in particolare delle comunità di base, ha permesso di continuare a nutrire quotidianamente tutti i malati dell’ospedale generale e di far uscire molti che guariti, trovavano i cancelli chiusi per non aver onorato la fattura. Molte case discretamente, ospitano sfollati guerra, familiari di soldati fuggiti…
A marzo gli studenti e gli insegnanti dell’università di Butembo (UCG) hanno scritto una pressante e urgente lettera appello «per costruire insieme la pace nel mondo e nella Repubblica democratica del Congo». Scrivono fra l’altro: «Siamo stanchi di perdere ogni giorno vite umane, con una guerra ingiusta imposta al nostro paese. La pace è il prerequisito di tutto, per noi e per il nostro paese. Con la guerra, tutto è perduto. Permetteteci di vivere! Ridateci la pace. (…) Vogliamo che queste nostre ricchezze vadano a vantaggio delle figlie e dei figli della RDC. Vogliamo che le potenze negozino direttamente con la RDC partenariati condotti in equo e pacifico, nell’interesse di tutti i popoli. Le nostre risorse non devono essere estorte con lo sfruttamento illecito, al prezzo delle nostre vite. Insieme dobbiamo trovare il modo di condividerle nel rispetto di tutti i diritti umani e del principio della sovranità degli Stati». [27–28]
Indispensabili, insieme all’empowerment della società civile e all’assistenza umanitaria che è insufficiente, sono la verità, la giustizia e il risarcimento dei danni alle vittime.
Il Premio Nobel per la Pace 2018 e chirurgo congolese Denis Mukwege chiede anche il riconoscimento del genocidio per ragioni economiche, o Genocost, e l’istituzione di un Tribunale Penale Internazionale per la RDC. Lo stesso governo congolese ha istituito il 2 agosto la giornata di memoria del Genocost, allineandosi di fatto alla sensibilizzazione e commemorazione che da anni portano avanti vari gruppi e organizzazioni della Diaspora e della Società congolesi. [29]
13. Che cosa è mancato?
Malgrado le denunce, dunque:
a) il Memorandum minerali con il Ruanda non è stato sospeso;
b) il Ruanda non subisce ritorsioni, anzi continua da molti ad essere visto come uno Stato modello in Africa e rifornito di armi di precisione.
In questo modo, come abbiamo visto:
a) l’AFC/M23 prosegue nell’occupazione del Nord e Sud-Kivu, dirigendosi verso altre province;
b) la RDC continua a essere terreno di saccheggio minerario (e non solo) per diverse potenze, non solo occidentali;
c) la popolazione congolese continua a essere vittima di violenze e miseria;
d) mandanti ed esecutori dei crimini di guerra, crimini contro l’umanità e crimini di genocidio continuano a essere impuniti.
14. Che fare?
Le autorità congolesi prendano sul serio la sofferenza delle popolazioni dell’est del paese, affettivamente ed effettivamente con il coraggio di ridurre il proprio stile di vita, attuare le riforme necessarie sia nel governo che nell’amministrazione che nelle forze armate. Ricerchino la pace nella giustizia senza alcun interesse personale.
L’Unione africana e le organizzazioni regionali dovrebbero assumere o accompagnare ruoli negoziali seri, non lasciandosi dominare dall’intimidazione e dalla propaganda dei dittatori al loro intento. Che sia una UA dei popoli non di persone che vogliono tenere il potere a ogni costo. Verifichino nel frattempo che sia data la necessaria assistenza umanitaria.
Le Chiese continuino il loro ruolo di promotrici di dialogo fra le varie forze politiche e con la popolazione, si tengano a fianco degli oppressi e osino levare la voce per far intendere il grido della popolazione.
I Paesi vicini cessino di aggredire con avidità la RDC in cerca delle sue ricchezze e delle sue terre: siano piuttosto riconoscente a questo paese che li ha sempre accolti nei momenti di crisi. Instaurino una politica di buon vicinato e non si lascino sedurre dalle effimere promesse dei poteri forti internazionali.
Le potenze mondiali come gli Stati Uniti, l’Unione Europea e i suoi singoli stati, come pure le potenze dell’Oriente cessino di guardare all’Africa come terra da sfruttare. Evitino ogni politica di accaparramento delle ricchezze minerarie o del suolo, che calpesti la giustizia e i diritti umani.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite ritrovi il suo ruolo di promotrice della pace e della giustizia fra i popoli e nel caso specifico della RDC, tiri fuori dai cassetti il Rapporto Mapping e desecreti i nominativi delle persone accusate di crimini e delle multinazionali le cui responsabilità sono state individuate in questo saccheggio. L’ONU aggiorni il Rapporto Mapping investigando il periodo dal 2003 a oggi e crei, finalmente, un Tribunale Penale Internazionale per la RDC o delle Camere miste per rendere giustizia alle vittime di questo genocidio silenzioso e dimenticato.
Le multinazionali dei minerali abbandonino comportamenti di sfruttamento neocoloniale e scelgano rapporti economici basati sulla giustizia.
15. E noi?
Noi cittadini comuni, aiutati dal lavoro di giornalisti e testimoni, siamo chiamati da una parte, a informarci, ad assumere uno stile di vita sobrio e coerente con il diritto di tutti a una vita decente, e dall’altra a inventare e mettere in atto forme di pressione verso i decisori politici, per quanto possibile in connessione con le società civili congolesi e africane.
Roma, 07 ottobre 2025
Rete “Insieme per la Pace in Congo”
NOTE
- International Rescue Committee (IRC), stima 5,4 milioni di morti 1997-2008: https://www.rescue.org/country/democratic-republic-congo#what-caused-the-current-crisis-in-congo
- OHCHR, DRC Mapping Report (1993-2003): https://www.ohchr.org/sites/default/files/Documents/Countries/CD/DRC_MAPPING_REPORT_FINAL_EN.pdf
- ONU, Comitato sanzioni 1533 RDC – Rapporti degli esperti: https://main.un.org/securitycouncil/en/sanctions/1533/panel-of-experts/expert-reports
- Stima produzione coltan area di Rubaya: riferimento nel testo.
- Intervista a John Mpaliza (IPC), il manifesto: https://ilmanifesto.it/la-guerra-non-interessa-le-risorse-si
- Rete “Insieme per la Pace in Congo” – Accordo UE-Ruanda sui minerali: https://insiemeperlapaceincongo.org/un-accordo-di-cooperazione-ruanda-ue/
- UE – Commercio responsabile di minerali da aree ad alto rischio (3TG): https://eur-lex.europa.eu/IT/legal-content/summary/responsible-trade-in-minerals-from-high-risk-or-conflict-reas.html
- Human Rights Watch (18 giugno), recuperi e rimpatri forzati nell’area di Sake: riferimento a documenti HRW nel testo.
- Rete IPC – Lettera agli europarlamentari sulla crisi Est RDC: https://insiemeperlapaceincongo.org/crisi-est-rdcongo-lettera-agli-europarlamentari/
- Foto satellitari sul cimitero militare di Kanombe (Kigali): riferimento a documenti HRW nel testo.
- OHCHR (5 settembre 2025), rapporto su violazioni in Nord/Sud-Kivu: https://www.ohchr.org/sites/default/files/documents/hrbodies/hrcouncil/ffmk-drc/a-hrc-60-80-auv-fr.pdf
- IPC – Appello sul voto del 13 febbraio 2025: https://insiemeperlapaceincongo.org/appello-agli-europarlametari-sul-voto-del-13-febbraio-2025/
- Parlamento europeo – Risoluzione 13 febbraio 2025: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-10-2025-0020_EN.html
- Consiglio di Sicurezza ONU – Risoluzione 2773 (2025), condanna offensive M23: https://reliefweb.int/report/democratic-republic-congo/security-council-strongly-condemns-ongoing-offensives-m23-rebel-movement-eastern-democratic-republic-congo-unanimously-adopting-resolution-2773-2025
- Congo Attualità, n. 515, 15 settembre 2025, p. 3 (sintesi accordo di Washington).
- Rete IPC – Comunicato sull’accordo del 27/06/2025: https://insiemeperlapaceincongo.org/wp-content/uploads/2025/07/Comunicato-di-IPC-sullAccordo-del-27.6.2025-1.pdf
- OHCHR (5 settembre 2025), come alla nota 11.
- Ibid., Lettera D, punto 19.
- Africa Rivista – Intesa a Doha con M23 e controversie interpretative: https://www.africarivista.it/rd-congo-firmata-intesa-a-doha-con-m23-ma-e-subito-scontro-sullinterpretazione/273869/?srsltid=AfmBOoqri3zVKhUsp3JmF4AzFvSzuF5XrLSddYDPPHBWmwz6YFY6PwCV
- Congo Attualità, n. 515, 15 settembre 2025, p. 1 (negoziati e questioni tecniche).
- Nota sul ritiro richiesto a Bukavu per evitare ecatombe (società civile): riferimento nel testo.
- Mobilitazioni a Uvira e cambio di comando (settembre 2025): riferimento nel testo.
- Actualité.cd – Attacco ADF a Ntoyo (Lubero): https://actualite.cd/2025/09/09/rdc-plus-de-70-morts-dans-une-attaque-adf-pres-de-manguredjipa-lubero
- Nota su FDLR e assenza di attacchi in Ruanda: riferimento nel testo.
- Human Rights Watch (18 giugno 2025) – Trasferimenti di civili hutu verso il Ruanda: https://www.hrw.org/fr/news/2025/06/18/rd-congo-le-groupe-arme-m23-transfert-de-force-des-civils
- UN News (agosto 2025) – Aggiornamento Consiglio di Sicurezza su RDC: https://news.un.org/en/story/2025/08/1165707
- Peacelink – Appello UCG/Butembo: https://www.peacelink.it/conflitti/a/50618.html
- Amnesty International – Perché la RDC è dilaniata dal conflitto: https://www.amnesty.org/en/latest/campaigns/2024/10/why-is-the-democratic-republic-of-congo-wracked-by-conflict/
- Città Nuova – Appello per il riconoscimento del Genocost: http://www.cittanuova.it/appello-per-il-riconoscimento-del-genocidio-in-congo/
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