Evo Morales e il futuro della Bolivia

di David Lifodi

La visita di Evo Morales in Italia lo scorso 13 giugno, dovuta alla sua nomina presso la Fao di ambasciatore speciale dell’Onu per l’agricoltura e l’alimentazione, ha creato le condizioni per un incontro tra il presidente boliviano e la rete dei movimenti sociali romani. L’iniziativa è stata un successo: le cronache parlano di quasi 500 persone che hanno affollato la sala delle Carte Geografiche di via Nazionale, a Roma, e di un dialogo aperto e produttivo.

Tuttavia la giornata romana di Evo, e soprattutto alcune sue battute, meritano l’apertura di una riflessione sul destino del compañero presidente, della Bolivia e dei suoi tanti attori sociali in gioco. Durante il confronto con i movimenti italiani, Morales ha sottolineato l’impegno del suo governo per “trovare un equilibrio tra ambiente e sviluppo”. Al contrario, leggendo le sempre puntuali analisi dei mininotiziari America Latina dal basso (vedi www.kanankil.it) di Aldo Zanchetta e le riflessioni del professor Antonio Moscato sul suo sito web (antoniomoscato.altervista.org), sembra che Evo Morales si sia assai distaccato da quei movimenti popolari che pure avevano condotto un indio alla conquista di Palacio Quemado per la prima volta nella storia travagliata del Paese andino. Inoltre, le interviste e la pubblicazione di articoli su www.kanankil.it e antoniomoscato.altervista.org riportano il parere di lottatori sociali di primo piano: Oscar Olivera, storico animatore delle lotte per l’acqua di Cochabamba, Pablo Mamani (sociologo aymara presso l’Università di El Alto) e Pablo Stefanoni, corrispondente dalla Bolivia per il manifesto e autore del libro Evo Morales – il riscatto degli indigeni in Bolivia (Sperling&Kupfer editore). Tutti sembrano partire da un dato di fondo: la complessità della situazione boliviana potrebbe condurre a una nuova sollevazione sociale in un contesto in cui, al tradizionale ritardo dello Stato boliviano in quanto istituzione, si sommano una serie di mosse quantomeno discutibili della coppia presidenziale Morales-García Linera. Intendiamoci: Morales ha restituito dignità a un Paese dove gli indigeni valevano meno delle bestie, si è schierato in maniera decisa a favore dell’Alba (l’Alternativa Bolivariana per le Americhe), ha affrontato con coraggio i vari tentativi di destabilizzazione interni (dall’Oriente boliviano e dalla razzista elite cruceña) ed esterni. Detto questo, e precisato che non è assolutamente augurabile il ritorno di loschi personaggi quali Sánchez “Goni” de Losada, l’esecutivo Morales solo per rimanere nel breve periodo ha evidenziato un atteggiamento ambiguo su almeno tre questioni: l’imposizione del gasolinazo, poi fallito, nel dicembre 2010, con metodi piuttosto energici, l’approvazione di leggi a opera dell’Assemblea Legislativa Plurinazionale dai tratti anti-indigeni e che criminalizza le lotte sociali (vedi il Deslinde Jurisdiccional), infine la questione del Tipnis (Territorio Indígena y Parque Nacional Isiboro Sécure). Proprio dal Tipnis in poi si sono addensate le maggiori perplessità sulla strada intrapresa da Morales e dal suo Movimiento al Socialismo (Mas). Di più: sono emerse le contraddizioni della Bolivia moderna e delle sue componenti sociali. Oggetto del contendere è la strada tra Villa Tunari (dipartimento di Cochabamba) e San Ignacio de Moxos (nel dipartimento orientale del Beni) che attraverserebbe per un tratto il Parque Nacional Isiboro Sécure, dichiarato territorio indigeno dal 1990 e popolato dalle etnie dei moxeños, yurakarés e caimanes. L’opposizione degli indigeni, riuniti sotto le sigle della Cidob (la Confederazione dei Popoli Indigeni di Bolivia) e della Conamaq (Consejo Nacional de Ayllus y Markas del Qullasuyu) ha scatenato la reazione governativa, non solo militare (fatto già grave), ma anche politica: gli oppositori al Tipnis sono stati accusati di essere infiltrati da Usaid, dalle oligarchie locali, dalla destra. E’ senz’altro vero che le trame dell’oligarchia boliviana mirano a riprendere il consenso perduto anche a costo di cavalcare l’onda dei movimenti popolari in lotta per rivendicare una giusta causa, così come sono noti i tentativi di destabilizzazione del Paese organizzati a Washington, ma questa sindrome da assedio, per quanto reale, ha spinto Morales a tacciare come appartenenti alla destra tutti coloro che osano criticare la sua linea. Da qui ne deriva una situazione che non sempre permette al presidente boliviano di analizzare gli eventi con la dovuta lucidità, ma che è portatrice di una certa confusione all’interno degli stessi movimenti sociali. Ad esempio, osserva Pablo Stefanoni, i principali promotori della strada che attraverserà il Tipnis “non sono i gruppi oligarchici, ma i cocaleros, ormai demonizzati da vari dei sostenitori del <<viver bene>> e dal gruppo di ex funzionari diventati critici che rivendicano il <<rinnovamento>> del processo di trasformazione”. Scrive ancora Stefanoni: “L’idea, tra gli stessi aymara e quechua, che gli indigeni amazzonici siano selvaggi o primitivi, ha una lunga tradizione fin dall’epoca degli incas e non è estranea al modo in cui i coltivatori di coca e altri contadini prendono oggi in esame il problema della strada del Tipnis”. Quindi, ne deduce Stefanoni, le complicate combinazioni fra conservatorismo e radicalità rappresentano un aspetto che va preso necessariamente in considerazione per analizzare la realtà politica boliviana. Forse questi argomenti avrebbero messo un po’ di sale in più all’incontro tra Morales e i movimenti italiani, in un contesto in cui Evo ha giustamente sottolineato i progressi della Bolivia, sotto la sua guida, in tema di redistribuzione delle risorse, lotta all’analfabetismo, attenuazione delle differenze di razza e di classe in una situazione geopolitica tutt’altro che favorevole. Tuttavia nel governo di Evo Morales sembrano convivere, in modo contraddittorio, processi realmente rivoluzionari, come il buen vivir (finora non troppo messo in pratica e rimasto a livello di intenzione) e il miglioramento delle condizioni di un Paese che, nell’intenzione dell’entourage evista, potrebbe passare attraverso pratiche sviluppiste non necessariamente condivisibili, come dimostra non solo la questione del Tipnis, ma anche la coniugazione del capitalismo in chiave andina che è costata al presidente l’accusa di essere subordinato alle transnazionali brasiliane.

Nel breve periodo potremmo sapere verso quale direzione è diretta l’”ebollizione boliviana” a cui si riferisce Pablo Mamani: sollevazione sociale o ripristino dello status quo dell’oligarchia?

NOTA: su www.kanankil.it è possibile consultare tutti i mininotiziari America Latina dal basso, a cura di Aldo Zanchetta, in particolare il nunmero 1 del 2011 (Evo e il gasolinazo), il n. 37 del 2011 (la marcia per il Tipnis), il 12 del 2012 (l’intervista ad Oscar Olivera), i numeri 16 e 20 del 2012 (relativi rispettivamente alle riflessioni di Pablo Mamani e alla visita di Evo Morales a Roma).

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