I desplazados di Medellin

di Raúl Zibechi (*)

Un gigantesco anfiteatro costeggiato dalle montagne. Sotto, nel fondo della valle attraversata dal fiume Medellín, edifici che indicano il centro, autostrade strapiene di veicoli e, a mano a mano che lo sguardo sale lungo le laderas, (i versanti delle colline, ndt) migliaia di abitazioni ammassate, sospese sui dirupi, gole e valichi che le successive ondate di migranti hanno dominato, trasformandoli in una sorta di città verticale.

Una duplice migrazione. Quella storica, dalla campagna verso la città, che comincia durante La Violencia (1946-1958) che ha sottomesso il paese alla guerra civile tra liberali e conservatori causando tra i 200 e i 300 mila morti. Solo nel 1957 la violenza si placa, ma questo non vale per la persecuzione dei contadini, che crea le condizioni per un ritorno del conflitto con la comparsa, negli anni ’60, della guerriglia.

La migrazione è però continuata ad ondate successive, che hanno strappato centinaia di migliaia di contadini dalle loro terre, contese da latifondisti, narcos e paramilitari. Secondo un dettagliato studio del Comune di San Carlos, a 100 chilometri da Medellín, l’ultima ondata si è registrata tra il 1998 e il 2007, nella zona orientale della regione di Antioquia, sette anni che hanno fatto terra bruciata. [1]

In cifre, lo spopolamento del Comune è allucinante. Nel 1985 aveva 29.156 abitanti che si sono ridotti a 13 mila nel 2005, in quella che viene descritta come “una danza di guerra”, dove, secondo il ricercatore Carlos Oyala, “i paramilitari massacravano indiscriminatamente gli abitanti del Comune, mentre le guerriglie attaccavano le principali aree urbane di tutte le località della regione, si scontravano con l’esercito nelle zone rurali e uccidevano gli abitanti ritenuti informatori o collaboratori dei paramilitari” [2].

In questa piccola città, ci sono stati 36 massacri, al ritmo di quattro l’anno, più di 500 persone sono state assassinate e 152 sono state fatte sparire. Per impartire una lezione più dura, i combattenti abbandonavano i corpi delle vittime nei sentieri, nelle strade e sui marciapiedi. Nel momento peggiore della guerra, fino all’80 per cento della popolazione è fuggita in altri comuni; una parte è ritornata verso il 2007 quando la mattanza si è placata.

Così si sono popolati i versanti delle colline di Medellín, dove giungeva la popolazione sfollata, abbandonata al suo destino. Ogni dieci abitanti, quattro erano sfollati a causa del conflitto. Le classi sociali sono segnate dall’ubicazione geografica. I più poveri vivono nelle comunità più lontane dal centro. Quelli più vicini alle cime sono stati gli ultimi ad arrivare.

Il piccolo autobus si arrampica lungo le pendici con un gemito rauco, affronta improvvisi tornanti lungo una strada tortuosa e stretta. Si imbatte in un traffico lento, con decine di passanti che attraversano e camminano costeggiando la strada, altri autobus, camion della nettezza urbana e [mezzi] per la consegna delle merci. Impieghiamo un’ora e mezza da quando partiamo da San Benito, in centro, a quando le case di mattoni e il tetto di lamiera cominciano a farsi più rare.

Entriamo nella zona più alta del municipio 3, il quartiere di Bello Oriente, da dove si può distinguere laggiù in fondo, il centro, più in alto il versante occidentale disseminato di casette e, all’orizzonte, le vette verdi e brumose. Scendiamo di fronte ad una grande villa in mezzo a un prato, una casa comunale dove una cinquantina de persone – otto su dieci sono donne – aspettano, a gruppi, l’inizio della riunione.

La villa di due piani è chiamata El Paraíso e appartiene agli abitanti della zona da 18 anni. Lì si riuniscono i movimenti e i collettivi che abitano sulle colline, organizzano bazar per la vendita di vestiario ed elettrodomestici che vengono scambiati tramite baratto, si riunisce la rete [che gestisce] gli orti della zona, i diversi gruppi che operano nel quartiere e organizzano festival gastronomici come forma per raccogliere fondi.
Inizia la riunione. Tutti si presentano: ragazzi che si occupano di mezzi comunicazione (Señales de Humo), Mujeres Aventureras impegnate nella difesa dei diritti, la Red Barrial Social de Bello Oriente, composta da vari collettivi e istituzioni, gruppi culturali e artistici, studenti universitari, il Comité de Población Desplazada de Comuna 13 (Comitato degli sfollati della Comuna 13) e la Mesa Interbarrial de Desconectados [articolazione di organizzazioni di quartiere e comunitarie impegnata nei diritti fondamentali per garantire una vita degna ai settori popolari.

Claudia Serna, avvocatessa attiva nella Mesa, spiega che [la Mesa] è stata creata nel 2009 per riunire coloro che non hanno accesso all’acqua, all’energia elettrica e a un’abitazione degna e che raggruppa gli abitanti di sei municipi. Jairo, un signore anziano della Red Barrial, spiega che il “Megaprogetto ci costringerà a trasferirci”, facendo riferimento al progetto comunale Cinturón Verde, che pretende di impedire la costruzione di nuovi quartieri lungo i versanti, e di evacuare coloro che occupano aree considerate critiche.

“Quello che in realtà progettano è vendere la città agli stranieri e al turismo”, spiega chi si considera uno sfollato “intraurbano”, giacché ha dovuto abbandonare la sua abitazione in centro perché non ha potuto continuare a pagare l’affitto. Dice anche che alcuni suoi vicini hanno subito tre o quattro trasferimenti, il primo dalla campagna alla città e, in seguito, all’interno di questa, cambiando zona fino ad arrivare a Bello Oriente, un posto da cui adesso li vogliono sgomberare.

Bello Oriente ha 5 mila abitanti e forma assieme ad altri cinque quartieri la cosiddetta Franja Alta della Comuna 3-Manrique, che nel suo complesso ha 155 mila abitanti. La Franja Alta ne ha circa 30 mila, è la zona popolata più di recente, quella che ha i servizi peggiori o non li ha affatto, e quella che il Comune vuole sgomberare. Circa il 55 per cento della popolazione è costituita da sfollati a causa del conflitto armato, la maggioranza sono lavoratori informali e disoccupati. [4]

La maggior parte delle famiglie sono formate da donne, ragazzi e bambini, non sono in possesso di atti legali relativi alle loro abitazioni, molti sono stati scollegati da servizi come acqua e luce perché non possono pagare. Secondo un rapporto del 2013, le strade “sono state costruite dagli abitanti mediante lavoro collettivo comunitario” [5] e la comunità “ha improvvisato servizi artigianali non convenzionali come fognature comunitarie, collegamenti informali ai lampioni dell’illuminazione pubblica e acquedotti comunitari di acqua potabile” [6].

Questa ampia rete di collettivi comprende inoltre, spazi di formazione ed educazione, mercati informali di scambio e vendita, e gli orti comunitari e familiari. Alcuni sono cominciati con l’appoggio di programmi del municipio, però dopo un po’ sono continuati da soli. La maggior parte di Bello Oriente si trova a circa 200 metri dalla villa: un vasto spazio di 100 metri per 50 dove lavorano 12 famiglie. “Si lavora in forma comunitaria, una parte [del raccolto] va alle famiglie e il resto si vende”, spiega un anziano che ritorna dal campo e si sente felice di tornare a lavorare la terra.

Uno dei commenti inevitabili dei residenti allude ai (“muchachos”). Se la rete comunitaria è una sorta di potere popolare, i “muchachos” incarnano il contrario. Sono raggruppati in “strutture paramafiose” come le Autodefensas Gaitanistas della Colombia, chiamate anche “Urabeños”, che esercitano un forte controllo territoriale e sociale e, di fatto, [nei quartieri] dei versanti montuosi sono un governo parallelo. Dove la presenza dello Stato è scarsa, le bande paramilitari o combos sono un potere antipopolare, alleato di quelli che stanno in alto.

A Medellín ci sono 350 combos, dei quali fanno parte 13 mila “muchachos”, che controllano il 70 per cento della città. A Bello Oriente “sono esempio vivo di questo controllo territoriale, sociale e economico”, per mezzo di un gruppo che si chiama “La 30” che, oltretutto, domina diversi quartieri limitrofi. Il gruppo armato mescola il piccolo traffico di droghe con [l’imposizione di] “vaccini” (imposte illegali/estorsioni) ai commercianti e alla vendita di uova, sigarette marca Ibiza, arepas [focacce di mais], gas e al trasporto pubblico [8].

Si difendono dicendo che “garantiscono sicurezza”, però chi non vuole collaborare può finire in un fosso con un proiettile nella nuca. Dominano i centri di raccolta e poiché controllano il “centro mobile per la riconciliazione e la convivenza” risolvono problemi di matrimoni, debiti, confini, fino agli inevitabili pettegolezzi. Tutto a forza di minaccia.
Un esempio. Due anni fa hanno convocato una riunione di microimprese produttrici di arepas e le hanno informate che il “vaccino” passava da 50 mila a 300 mila pesos al mese (da 20 a 120 dollari). Molti non hanno potuto pagare e il risultato è che “a Bello Oriente su 10 microimprese di arepas non ne rimangono che quattro” [9]. Il risultato è che regolano il mercato avallati dallo Stato, poiché in questa zona, il CAI (Comando di Attenzione Immediata) della Polizia Nazionale, non interferisce nei loro affari.
Il forum “La ladera parla alla città”, ha affrontato questo tema. Sostiene che i combos agiscono esercitando pressioni sulla popolazione per costringerla ad andarsene dalle aree dove il Comune intende realizzare delle opere. “Con la costruzione della cabinovia nel municipio 1, molte persone sono state minacciate affinché abbandonassero le loro case, proprio dove si stavano realizzando lavori per la costruzione dei piloni e delle stazioni”. [10]

Il vasto progetto di controllo sociale della popolazione povera e di internazionalizzazione della città (grandi eventi e turismo), presuppone non solo la creazione del Cinturón Verde sulla cresta delle montagne, ma anche un insieme di investimenti in infrastrutture: cabinovia, scale mobili, edifici-simbolo come parchi-biblioteche ed altri che prevedono interventi verticali sul tessuto urbano, come la Biblioteca España. [11]

“I municipi sono stati costruiti dalla gente, non si può dimenticare che a queste comunità è costato molto approntare il territorio, e poi arrivano altri a trarre profitto da questa situazione”, dicono le organizzazioni sociali [12]. Grazie al loro lavoro, la terra si è valorizzata, per questo esigono che qualora si vedano costretti a trasferirsi nuovamente, le famiglie debbano ricevere un “plusvalore sociale” di compensazione.

Una parte della popolazione di Medellín non ha accesso ai servizi di base. Si calcola un deficit abitativo di 50 mila case, altre 30 mila sono in zone ad alto rischio (pericolo di frane) e 35 mila famiglie che sono state scollegate dall’acqua potabile e dall’energia elettrica, vale a dire circa 300 mila persone che non hanno potuto pagare e hanno perso questi servizi [13]. Questo settore, che è circa il 15 per cento della popolazione della città e più di un terzo di coloro che vivono nei municipi popolari, verrebbe costretto ad andarsene al fine di sviluppare una città che favorisce la speculazione immobiliare e finanziaria.

Claudia Serna analizza rigorosamente i piani comunali, “Medellín cerca di posizionarsi come una città rigenerata nel suo tessuto urbano, pacificata e aperta al mondo attraverso mega eventi internazionali, i cui messaggi cercano di dipingerla come una città sicura per gli investimenti”. Tuttavia, aggiunge, questa sicurezza “si traduce in grandi investimenti in dotazioni militari nelle comunità in modo che anche queste offrano questo potenziale turistico”, che si basa su opere come la cabinovia [14].

La militarizzazione dei quartieri popolari ha, quindi, due logiche: una micro, inserita nella quotidianità, in base ai combos che controllano la popolazione; e quella macro, legata alla presenza poliziesca e militare e alla costruzione di strutture. In sei anni, dice Serna, nei quartieri che si vogliono evacuare, si sono costruiti sei posti di polizia, cinque stazioni e nove CAI, “con i quali si intende controllare i quartieri con alti livelli di conflittualità” [15].

Tuttavia questo mega controllo, somma del micro e macro controllo, è al servizio di progetti di infrastrutture che ingrassano l’accumulazione del capitale nello stesso tempo in cui rafforzano il controllo sociale. La contropartita è che “in meno di dieci anni l’amministrazione ha trasferito circa 40 mila persone ubicandole in cubicoli di solo 42 metri quadrati” [16], ma in aree remote, dove le loro strategie di sopravvivenza non valgono più e dove il nuovo tessuto urbano gli si rivolta contro.

La Mesa Interbarrial de Desconectados è uno dei coordinamenti tra i municipi più importanti di Medellín. Si definisce come “un’articolazione di organizzazioni di quartiere e comunitarie sul tema del distacco dai servizi pubblici e per un’abitazione degna, che rivendica e agisce sui diritti fondamentali a favore della vita degna dei settori popolari” [17].

La Mesa ha una “scuola inter-quartiere” itinerante, uno spazio per la formazione popolare di base a favore degli abitanti dei municipi, conta di un ufficio di consulenza legale per difendere gli abitanti nei casi di sfratto, spazi per le donne, spazi culturali (realizzano un Carnevale, radionovelas, gruppi che si occupano di mezzi audiovisivi), produzione negli orti, organizzano incontri di Desconectados [persone che hanno subito il distacco dai servizi pubblici] e pubblicano la rivista Vida Digna.

Nell’aprile 2014 hanno dato impulso al Forum Sociale Urbano Alternativo e Popolare, in concomitanza del VII Forum Urbano Mondiale organizzato dall’ONU-Habitat, al quale, nelle quattro giornate di dibattiti, hanno partecipato decine di collettivi di base di Medellín, della Colombia e dell’America Latina. [18]

Dire che gli abitanti dei versanti delle colline [di Medellín], come quelli del municipio 1, sono poveri, non è sufficiente per comprendere la loro realtà. Un sondaggio fatto casa per casa nel 2010 dalla Red de Instituciones y Organizaciones Comunitaria de los Barrios La Cruz y La Honda (RIOCBACH) [Rete Comunitaria delle Istituzioni e Organizzazioni dei Quartieri La Cruz e La Honda] collegata a Bello Oriente, rivela la profondità di questa povertà [19].

Nel 20 per cento delle famiglie non lavora nessuno dei suoi membri. Il 7 non ha alcuna entrata. Il 32 riceve meno di 45 dollari mensili e il 65 ha un’entrata inferiore ai 142 dollari mensili per famiglia [20]. Solo il 4 per cento delle famiglie ha un’entrata superiore al salario minimo (nel 2010, 515 mila pesos o 245 dollari).

Il 22 per cento sono lavoratori informali, solo l’11 ha un contratto fisso, ma il 38 pratica il “rebusque” [lavoro in nero] o “el recorrido”, che consiste nell’andare in giro per le piazze del mercato o in centro per procurarsi gratuitamente alimenti e altre prestazioni necessarie alla vita, una specie di accattonaggio appena nascosto. [21]

Nei municipi della Franja Alta, la metà della popolazione non ha accesso al servizio statale di acqua potabile e si approvvigiona con gli acquedotti comunitari. Durante la riunione delle organizzazioni di El Paraíso, Jairo ha spiegato che a Bello Oriente il Comune non li rifornisce di acqua in quanto intende trasferirli a seguito del [progetto] del Cinturón Verde. “Abbiamo un acquedotto comunitario che raccoglie le fuoruscite di acqua del camion cisterna dell’impresa, tuttavia non è potabile”.

In Colombia c’è una lunga tradizione di acquedotti comunitari, tanto nei villaggi o nelle comunità rurali così come nei quartieri delle città. Come fa notare la rivista Vida Digna, “sono costruzioni popolari attorno alla gestione dell’acqua”, comunemente diffuse tra indigeni, comunità nere, contadini e settori popolari urbani.

“Le loro origini si trovano nella vicinanza, nella solidarietà, nel rispetto per l’ambiente e negli usi e costumi di ognuna delle comunità che in maniera ancestrale hanno unito i loro sforzi per supplire alle necessità” [22]. In Colombia ci sono più di 11mila acquedotti comunitari [23] e a Medellín diverse decine.

Sono poteri che riflettono e affermano l’autonomia dei settori popolari. Per questo vengono combattuti a ferro e fuoco.

Note

[1] Carlos Olaya, Nunca más contra nadie. Ciclos de violencia en la historia de San Carlos, un pueblo devastado por la guerra, Medellín, Cuervo Editores, 2012.
[2] Idem, p. 14.
[3] La Red è costituita da: ASOMUJPAR (Asociación de mujeres cabeza de familia del Paraíso), JAC (Junta de Acción Comunal), RAÍCES (Colectivo de memoria histórica de la comuna 3), Mesa Interbarrial de Desconectados, Kolectivo Kultural, Fundación Sumapaz, Comité barrial por la defensa del territorio, Fundación Palomá, Colectivo Audiovisual Señales de Humo, oltre a organizzazioni esterne.
[4] Anderson Ortiz Giraldo, Caracterización Comuna 3 Manrique de la ciudad de Medellín, revista Kavilando, 24 dicembre2013, p. 6, in http://www.kavilando.org/index.php/2013-10-13-20-05-51/informes/2324-caracterizacion-comuna-3-manrique-de-la-ciudad-de-medellin
[5] Convite: lavoro collettivo comunitario.
[6] Idem, p. 8.
[7] Luis Fernando Quijano, “Criminales “emprendedores” in la Comuna 3 (Manrique)”, 30 ottobre 2013 in http://analisisurbano.com/?p=4262
[8] Idem.
[9] Idem.
[10] “La ladera le habla a la ciudad”, Comunicato N° 4, 11 dicembre 2012 in http://mesainterbarrialdedesconectados.blogspot.com/2012/12/la-ladera-le-habla-la-ciudad-comunicado_7700.html
[11] Il caso del Parque Biblioteca España (foto) è il miglio esempio di un investimento mal riuscito: a sette anni dalla sua inaugurazione, stava crollando e la sua ristrutturazione ha un costo analogo a quello di tutta quest’opera faraonica.
[12] Idem.
[13] “Medellín: una ciudad que indigna”, rivista Kavilando in http://www.kavilando.org/index.php/2013-10-13-19-52-10/territorio/898-medellin-una-ciudad-que-indigna
[14] Claudia Serna, “Medellín: La dinamización de la lógica del capital y del control territorial”, in rivista Kavilando, v. 4, N° 1, gennaio-giugno 2012, p. 51, in http://revistakavilando.weebly.com/uploads/1/3/6/3/13632409/9._dinamizacion_de_guerra_y_el_control_territorial_medelln.pdf
[15] Idem, p. 53.
[16] Idem, p. 54.
[17] http://mesainterbarrialdedesconectados.blogspot.com
[18]http://mesainterbarrialdedesconectados.blogspot.com/2014/03/programacion-foro-social-urbano.html
[19] RIOBACH, “Diagnóstico Comunitario Alternativo”, Medellín, ottobre 2010.
[20] Secondo la quotazione del dollar nel 2010.
[21] Idem.
[22] Vida Digna, Boletín de la Mesa Interbarrial de Desconectados, N! 26, febbraio 2015.
[23] El Espectador, 21 marzo 2013.

Fonte: Cip Americas
Traduzione per Comune: Daniela Cavallo

(*) tratto da http://comune-info.net/ – 5 luglio 2015

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *