Il Brasile di fronte all’onda nera

Non sono passate nemmeno due settimane dal tentato colpo di stato in Brasile. Il bolsonarismo, per ora, è stato arginato, ma complottisti e fascisti che guardano al Messia Nero Bolsonaro con devozione hanno fatto capire che l’onda nera, nel più grande paese dell’America latina, è tutt’altro che sconfitta.

La democrazia brasiliana riuscirà a resistere? Articoli e analisi ripresi da Micromega, blog collettivo L’America latina, L’Antidiplomatico, Comitato Carlos Fonseca e una lettera aperta di un gruppo di ricercatori, scienziati politici e scrittori che denuncia la propaganda bolsonarista di Limes pubblicata sul blog https://artedisalvarsi.wordpress.com

Il ritorno di Lula (che a qualcuno fa paura)

di Antonio Lettieri (*)

 

L’assalto ai palazzi del potere a Brasilia è un’ulteriore dimostrazione dell’importanza dell’elezione di Lula alla presidenza del Brasile. Nel corso degli ultimi anni il presidente Bolsonaro aveva cambiato (o provato a cambiare) le istituzioni democratiche del Brasile. Con la rielezione di Lula il Brasile rientra nello scenario democratico globale. Dobbiamo, tornare, non ostante i rigurgiti dell’estrema destra alimentata dal vecchio regime di Bolsonaro, alla novità costituita dalla nuova presidenza per i possibili cambiamenti nella politica brasiliana. Ma non solo.

Una straordinaria esperienza nella storia del Brasile e a livello globale
Vale la pena di ricostruire l’eccezionale storia personale e politica di Lula. Non solo in vista del futuro possibile del Brasile. La presidenza di Lula non solo muta lo scenario brasiliano (e per molti versi dell’America latina) ma si pone con un ruolo primario nella scena politica globale contribuendo a cambiare i rapporti fra le grandi potenze oggi concentrati sulla sfida tra Stati Uniti e Russia con a fianco il ruolo per molti versi determinante della Cina.
Il ritorno di Lula alla presidenza del Brasile per la terza volta è stato un evento senza precedenti. La sua vittoria è stata per molti versi un evento straordinario. Nessuno prima di lui aveva assunto tre volte la presidenza. Trova un paese in difficoltà dominato da Bolsonaro con il sostegno della estrema destra dal 2019.
Il suo ministro della giustizia Sergio Moro era riuscito, quando era ancora magistrato, a far condannare Lula nel 2017 con accuse rivelatesi infondate. Lula era rimasto in carcere 19 mesi per essere poi provvisoriamente liberato in attesa di un nuovo processo. Una condanna rivelatasi senza fondamento e eliminata dai gradi più alti della magistratura nel 2021, quando ha definitivamente rilanciato la sfida per la presidenza.
Lula ha nuovamente raggiunto la presidenza col sostegno della CUT, la confederazione sindacale, e dei partiti della sinistra brasiliana, ma anche col sostegno di una parte della borghesia brasiliana. Non a caso, ha accettato l’appoggio decisivo di una parte della destra rappresentata dal candidato alla vicepresidenza Geraldo Alckmin.
La sua prima decisione politica è stata l’intervento nell’Amazzonia diventata preda della speculazione internazionale con la distruzione di parte della foresta. Dovrà affrontare le difficoltà della crisi economica di carattere globale che si riflette sul Brasile, riducendo le esportazioni e facendo aumentare i tassi d’interesse. L’aumento della spesa pubblica dovrà essere sostenuto dall’incremento delle imposte sui ceti agiati. Nell’insieme una politica razionale ma in netto contrasto con quella praticata dall’estrema destra di Bolsonaro.
La presidenza di Lula cambia non solo la politica ma il ruolo del Brasile sulla scena internazionale. La sua storia personale e politica ne fanno un leader singolare nel panorama degli ultimi decenni. Vale la pena, sotto questo profilo, di ricordare l’inizio della sua vita pubblica, quasi casuale, quando il Brasile era sotto il dominio del regime militare. Una vita per molti aspetti straordinaria di cui conviene ricordare o primi passi in una campagna quasi sconosciuta nel nordovest del Brasile.

Luiz Inácio da Silva, chiamato quando era ancora bambino Lula che ripete la consonante iniziale del suo nome, nacque a Caetés nelle campagne della provincia di Pernambuco nel centro-ovest del Brasile. Era il settimo figlio, cui fece seguito la nascita della terza sorella. Il padre era andato a cercare lavoro lontano, con un’altra donna che era cugina di sua madre, nella periferia di San Paolo. Fino all’età di cinque anni Lula non conobbe il padre. I fratelli non avevano avuto la possibilità di studiare, salvo Frei Chico che aveva frequentato i primi anni di scuola. Il padre e la madre erano analfabeti. Lula si era dovuto fermare alla scuola elementare.
Quando la famiglia decise di trasferirsi nel sud per avvicinarsi al padre fecero un viaggio di tredici giorni fermandosi col camion che li trasportava nelle stazioni di servizio. A Santos, città sul mare a una settantina di chilometri da San Paolo, non avevano una residenza stabile. Le tre sorelle si adattavano come persone di servizio quando trovavano una famiglia che le ospitava. Lula faceva qualche lavoro casuale. Ma riprese anche a studiare e divenne tornitore. La madre era molto orgogliosa del suo ultimo figlio.

Lula, fino all’età adulta, non si era mai occupato di politica e non intendeva occuparsi del sindacato sostanzialmente sottoposto al regime militare. Suo fratello Frei Chico, operaio, era invece diventato membro di uno dei due sindacati comunisti in forma clandestina, com’era necessario sotto il regime militare. Il destino di Lula cambiò in modo imprevisto quando Frei Chico fu arrestato, avendo la polizia sospettato la sua attività. Lo portarono in prigione e con la tortura cercarono di aver informazioni sul partito e i rapporti col sindacato.

Lula ne fu profondamente colpito pur non avendo condiviso la militanza politica di suo fratello. Ma ormai non poteva rinunciare al ruolo che i compagni di lavoro volevano che svolgesse come membro del sindacato. Benché non ambisse a particolari cariche divenne un esponente importante del sindacato.

La lotta sindacale nelle forme consuete era proibita. Ma gli scioperi nella periferia di San Paolo, l’area più industrializzata del Brasile, si diffondevano in una forma che mirava a impedire l’intervento della polizia. I lavoratori entravano all’ora consueta in fabbrica ma incrociavano le braccia. Il padronato non riusciva a bloccare questa forma di sciopero. La polizia avrebbe voluto arrestare i capi del sindacato, ma il sindacato negava di aver proclamato lo sciopero, ammettendo solo di assistere i lavoratori che “spontaneamente” occupavano le fabbriche.

Senza esserselo inizialmente proposto, Lula era diventato protagonista di questa nuova forma di sindacalismo. Vi furono importanti scioperi nelle maggiori fabbriche che, tra le altre, comprendevano grandi società multinazionali come Volkswagen, Mercedes, e Ford. Lula divenne uno dei capi del nuovo sindacalismo dei metalmeccanici. Quando nel 1979 fu organizzata una grande manifestazione che vide riuniti oltre centomila lavoratori nello stadio di San Paolo, Lula concentrò il suo intervento non sugli aspetti politici, ma sulle pretese del padronato, l’insufficienza dei salari, le condizioni di lavoro.  Ebbe un grande successo come indiscusso capo del sindacato dei metalmeccanici nell’area più industrializzata del Brasile.

Nel 1980 cominciò a frequentare un gruppo di intellettuali di sinistra che, sorpresi dai risultati delle nuove forme di mobilitazione, puntavano a formare un partito lontano non solo da quelli che il governo aveva infeudato, ma anche dai due partiti comunisti clandestini. Fu costituito il Partito dei lavoratori (PT) di cui Lula fu il capo riconosciuto. Era il primo passaggio destinato a cambiare la storia politica del Brasile. Nel 1983 si ebbe il secondo con la creazione della CUT, la Centrale unica dei lavoratori.
In un breve lasso di tempo era cambiata la storia non solo sindacale ma anche politica del Brasile, avendo il regime militare perduto il controllo del paese. Lula, ormai alla testa di un grande movimento popolare, fu eletto nella Camera dei deputati e nel 1989 fu proposto dal partito alla presidenza della repubblica, sfiorando la vittoria non ostante accuse senza fondamento.
Lula era ormai un esponente politico di fama internazionale sia per la fondazione del più importante sindacato dell’America latina, sia per il ruolo politico che l’aveva portato alla soglia della presidenza. Fu inviato in decine di paesi. L’Italia divenne una delle mete più importanti (sua moglie Marisa era di una famiglia di origine italiana).
Il sindacalismo italiano, sia pure diviso, aveva una particolare caratteristica sposando una forte e articolata dimensione rivendicativa a una dimensione politica esercitata in larga misura unitariamente. Questo lo distingueva dal sindacalismo francese dove la CGT, pur forte, rimaneva separata da gli altri due principali sindacati; come dal sindacalismo tedesco che storicamente escludeva la sinistra comunista.

Lula venne molte volte in Italia accolto dai sindacati e dai partiti di sinistra membri del governo nella seconda parte degli anni Novanta. In Italia era interessato alla costituzione di un’associazione – il Centro internazionale di studi sociali – che chi scrive dirigeva; e che, inaugurata da Jacques Delors, metteva insieme i rappresentanti delle tre confederazioni e un gruppo di intellettuali della sinistra italiana ed europea.

Nel corso degli anni Novanta le elezioni in Brasile furono vinte da Fernando Henrique Cardoso, un intellettuale educato nelle Università americane, sostenuto dalla destra brasiliana. Nelle elezioni della fine del 2002 il risultato si presentava ancora una volta incerto. Ma al secondo turno la vittoria di Lula fu schiacciante. Era iniziata una nuova era in Brasile. Lula formò un governo per molti versi sorprendente perché appoggiato dalla destra brasiliana. Col suo doppio mandato mutò radicalmente tra il 2003 e il 2010 il ruolo del Brasile nella scena internazionale. Il Brasile divenne un modello di cambiamento economico e sociale.

Tornando rapidamente a oggi, il suo ritorno alla presidenza del Brasile ha avuto un’eco importante non solo in America latina ma a livello globale. Sotto la sua presidenza il Brasile rientrerà pienamente nello scenario internazionale a cominciare dalla guerra in Ucraina che, a suo avviso, deve essere risolta da una pace negoziata.

Il Brasile intende giocare un ruolo attivo com’è possibile per il più importante paese dell’America latina e per il ruolo che gli spetta a livello globale. Non si si può anticipare il tragitto della nuova presidenza. Ma sappiamo che la sua vicenda ne fa un personaggio singolare nel panorama politico degli ultimi decenni. Ancora una volta Lula per la sua storia e il suo carisma si pone al centro della scena politica internazionale.

(*) Link all’articolo originale: https://www.micromega.net/il-ritorno-di-lula-che-a-qualcuno-fa-paura

 

***********************

La propaganda bolsonarista raggiunge Limes

Lettera aperta di un gruppo di ricercatori, scienziati politici e scrittori promossa dal blog https://artedisalvarsi.wordpress.com

 

L’appello originale e i firmatari sono pubblicati qui: https://artedisalvarsi.wordpress.com/2023/01/13/la-propaganda-bolsonarista-raggiunge-la-rivista-limes/

 

**************

Attacco in Brasile: le responsabilità

Dopo l’attacco ai tre poteri in Brasile, ci sono molteplici responsabilità da assegnare, che vanno oltre i manifestanti bolsonaristi. Di questo e del ruolo della religione nella politica ne parla Don Mauro Silva da Belo Horizonte, dallo stato di Santa Caterina.

Il podcast: https://lamericalatina.net/2023/01/12/attacco-in-brasile-le-responsabilita/

 

******************

Brasile. “I fascisti si sono dati la zappa sui piedi”

di Miguel Enrique Stedile e Ronaldo Pagotto (*)

 

1. Bolsonaro è arrivato al potere solo perché la borghesia, disperata per la crisi capitalista, senza alternative tra le proprie fila e con la possibilità di vittoria della sinistra con Haddad, ha puntato tutte le sue fiches sul “capitano”. Nonostante conoscessero l’ideologia fascista del capitano, necessitavano scaricare tutto il peso della crisi sulla classe lavoratrice, con la riduzione dei diritti dei lavoratori, della sicurezza sociale, imponendo limiti alla spesa pubblica e depredando le casse dello stato.

2. Ed il bolsonarismo che ne scaturì rappresentava una coalizione di forze identificate con la destra e l’estrema destra, approfittando di uno spiraglio di opportunità storico. Facevano parte di questa unione il “lava-jatismo”, i mercati finanziari, gli evangelici, l’agribusiness, commercianti, ed il basso clero nel Congresso, con i politici tradizionali che avevano l’antica ARENA come referenza (PP). Durante la legislatura, alcuni di questi settori o loro rappresentanti si sono distanziati, altri sono stati definitivamente incorporati al bolsonarismo. Ed il suo nucleo centrale dirigente erano i militari (con Villas Boas, Braga Netto e Augusto Heleno, ed altri di rango inferiore, ecc.) alleati dei miliziani (famiglia Bolsonaro), che a loro volta avevano legami con la nuova destra estrema mondiale (Trump, Steve Bannon) attraverso Eduardo Bolsonaro e Olavo de Carvalho.

3. Con la pandemia, dopo le elezioni e, finalmente, con la vittoria di Lula, il bolsonarismo si è andato frammentando. Alcune frazioni di questi settori sono andati alla ricerca di sopravvivenza nel governo Lula (Centro, alcuni politici del gruppo degli evangelici, mezzi di comunicazione, capitale finanziario). Altri tentano di occupare il vuoto lasciato dalla destra, per il ridimensionamento del PSDB (Lava-Jato, Moro, PL, PSD, Unione Brasiliana) e, quindi, anche il nucleo centrale fascista sta correggendo la sua rotta a caccia della propria sopravvivenza.

4. Tuttavia, si è generata una contraddizione. Una parte del gruppo centrale sono militari, anche riformati, e quindi vincolati alle istituzioni dello Stato. La tattica di questo settore è lasciare tutto così com’è: hanno indicato il ministro della Difesa, non subirebbero rappresaglie per la politica esercitata durante la pandemia (in particolare per le accuse di genocidio contro i popoli originari, politica diretta da Pazuello e dalle forze armate), il nuovo governo non toccherebbe l’assistenza sociale ai militari o l’insegnamento presso le scuole militari. E tanto meno rischierebbero di essere puniti per i misfatti commessi da alcuni dei 6.400 militari che erano migrati verso l’esecutivo litigandosi privilegi e vantaggi.

5. Un’altra parte del comando è la famiglia Bolsonaro che ha bisogno di sopravvivere politicamente. Seguendo la strategia e i consigli di Bannon/Trump, Bolsonaro dovrebbe rimanere come grande leader della destra, per mettersi in condizioni di non essere arrestato e competere nelle elezioni del 2026. La base sociale “purosangue” bolsonarista è formata principalmente da militari (inclusa la polizia militare) e loro familiari, persone anziane, mettendo insieme tematiche morali ed economiche ultraconservatrici. Sociologicamente sono una minoranza di classe media bianca e razzista. Questa base ha bisogno di essere costantemente mobilitata, principalmente in forma polarizzata. Per questo, durante tutto il governo, poiché non avevano iniziative pratiche e concrete, Bolsonaro teneva alta la tensione permanentemente per mantenere la sua base coesa e allerta. A tale fine usa e abusa di fake news su ogni argomento, per creare uno stato di allerta.

6. Così, gli accampamenti di fronte alle caserme avevano una doppia funzione: fare pressione per le rivendicazioni politiche, dei propri valori conservatori e corporativi delle forze armate per mantenere i privilegi, e sopravvivere al governo Lula mantenendo la base bolsonarista mobilitata per sopravvivere come forza politica. In molte città, gli accampamenti erano formati dai familiari dei militari, soprattutto donne. Ma a Brasilia, era un accampamento nazionale, finanziato dall’agribusiness, dalle imprese di estrazione mineraria, compresi i sottoproletari che contribuiscono alle estrazioni minerarie illegali.

7. Come forma organizzativa, il bolsonarismo si è strutturato all’interno del modello ucraino di guerra ibrida o del terrorismo di Al Qaeda, con circoli di diversi livelli di partecipazione e direzione, ma perseguendo un obiettivo centrale, pur lasciando autonomia relativa a questi circoli. Il bolsonariso non è riuscito a costituirsi come partito formale, non solo nel senso istituzionale, ma neanche come forza politica organizzata. Questa è un’altra contraddizione con cui Valdemar de Costa Neto, presidente del PL [Partito Liberale], si sta confrontando, perché il bolsonarismo non può essere inquadrato dentro le “quattro linee” di una azione istituzionale tradizionale. Quindi c’è un messaggio principale (fiaccare il nuovo governo/mostrare forza) e lasciare che molti gruppi satellite agiscano con tattiche diverse e una certa autonomia.

8. Anche i sassi nel Palazzo dell’Alvorada sapevano che l’azione di domenica scorsa sarebbe accaduta:
a) La sequela di “nuovi fatti” che mantenevano la base bolsonarista mobilitata si è esaurita con l’insediamento del nuovo governo e di fronte allo svuotamento degli accampamenti e dei gruppi nelle reti social dopo il primo gennaio. Serviva raggruppare e mobilitare le truppe con una novità.
b) Le relazioni tra il nuovo governo e le forze armate rimane interrotta, come si può notare dall’assenza di ufficiali al cambio di comando della Marina e dall’ingerenza di José Múcio nell’esercito.
c) C’era fedeltà e complicità da parte di diverse forze di polizia a Brasilia, specialmente della Polizia Militare del Distretto Federale (PM DF), come si è visto nella sera della diplomação [l’atto istituzionale di riconoscimento dei risultati elettorali] del 12 dicembre 2022.
d) C’era fedeltà e complicità nel governo del Distretto Federale, evidente dalla nomina di Anderson Torres, ex ministro e fedele alleato di Bolsonaro, proprio per controllare la sicurezza e le forze di polizia.

9. L’azione non fu e non aveva intenzione di essere un colpo di stato, gli obiettivi erano:
a) Indebolire il nuovo governo e creare una situazione di ingovernabilità dopo solo 8 giorni di mandato.
b) Creare le condizioni per una crisi istituzionale e di legittimità.
Ad esempio, se il Governo avesse emanato un decreto di Garanzia di Legge e Ordine (GLO) e l’esercito si fosse rifiutato di eseguire l’ordine o avesse accompagnato pacificamente i terroristi, il governo ne sarebbe uscito indebolito di fronte alla società e all’estero, dimostrando l’incapacità di governare le forze armate e di mettere mano all’apparato militare.
c) Distruggere attrezzatura e materiale del Gabinetto di Sicurezza Istituzionale, dove si trovavano armi e documenti.
d) Testare la fedeltà e depurare internamente la militanza bolsonarista, chiarendo che si tratta di loro fedeli seguaci.
e) Dimostrare forza e capacità di mobilitazione, che sarebbero risultati migliori dell’esito elettorale ottenuto da Bolsonaro. Quindi, in qualsiasi condizione, rappresenterebbe un leader di estrema destra da consultare e coinvolgere nelle decisioni politiche nazionali pur non essendo al potere (come ad esempio l’estrema destra in Francia).

10.  L’elemento centrale della tattica è poter contare sulla complicità dell’esercito. Tanto che i manifestanti sono tornati tranquillamente agli accampamenti, senza disperdersi, sapendo di essere protetti.

11.  Tuttavia:
a) Il governo ha agito con rapidità, fermezza e senza esitazioni:
ha subito dato un nome ai colpevoli (Bolsonaro, Ibaneis, Anderson Torres e l’agrobusiness) ed ha preso misure dure, costituzionali e sostenute dall’opinione pubblica.
b) È stato intelligente a non ricorrere al GLO coinvolgendo ulteriormente le forze armate. L’unico aspetto di cui si è occupato l’esercito è stato proteggere lo sgombero degli accampamenti all’alba. Successivamente, subordinandosi alle direttive governative nel Distretto Federale, contribuì alla rimozione degli accampamenti a Brasilia e all’arresto di oltre 1.500 fascisti.

12.  Come risultato dei fatti, i fascisti si sono dati la zappa sui piedi.
Di conseguenza:
a) Il nuovo governo ha incassato la solidarietà internazionale e nazionale, istituzionale e mediatica. Ora sì, è diventato un governo di unità nazionale.
b) Il bolsonarismo si è isolato come piccolo gruppo di estrema destra, deve realmente depurarsi e restringersi al 10% della popolazione. Tuttavia è un bottino che non interessa alle forze politiche istituzionali, compreso il PL
c) Il bolsonarismo dovrà vedersela con attacchi su più fronti, non solo il discorso legato all’eredità maledetta del governo, ma anche un fronte parlamentare (possibile una Commissione Parlamentare di Inchiesta), e un fronte giuridico (nelle prefetture e nei tribunali statali e federali). Non avrà la forza per affrontarli tutti insieme senza gli apparati dello stato (connivenza di [Augusto] Aras). Al massimo, solo i militari potranno scamparla. E l’ineleggibilità e l’incarcerazione di Bolsonaro non sono più solo slogan.
d) Con l’arresto dei “pesci piccoli”, abbandonati, dovranno iniziare ad uscire i nomi dei veri mandanti e finanziatori.
e) La complicità delle forze militari – e i loro servizi di intelligence – è risultata evidente e riduce le possibilità di negoziazione e l’autorità morale dei militari di fronte alla società e nel nuovo governo.
f) È possibile che ora, di fronte all’idiozia bolsonarista, la borghesia, la destra classica, tenti di costruire altri leader, più intelligenti e utili.

13.   Ora bisogna approfittare di questa vittoria politica con la società, per concludere ciò che non abbiamo portato a termine nelle urne: sconfiggere storicamente l’estrema destra come forza politica!

14.  Bisogna mobilitare i movimenti in manifestazioni di massa:
– Poche bandiere e chiare (carcere per i terroristi; Commissione Parlamentare di Inchiesta; ecc.).
– Sostenere le azioni di governo con mobilitazioni.
– Non è stato un Colpo di Stato, ma dobbiamo denunciarlo come tale.
– Denunciare i finanziatori, come gli affaristi, i circoli di tiro, e, soprattutto, la piccola borghesia dell’agribusiness, in particolare del centro-ovest del paese.
– Fare attenzione ai trucchi sui social media e agli atti disperati che la feccia fascista può ancora provocare.

(*) Link all’articolo originale: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-brasile_i_fascisti_si_sono_dati_la_zappa_sui_piedi/5694_48421/

 

*****************

Brasile: Trumpismo ‘made in’ Brasile? L’assalto del bolsonarismo che ha provocato un intervento federale a Brasilia

di Nazareth Balbás

Ad una settimana dall’aver assunto il potere, Lula affronta una delle prime crisi politiche del suo terzo mandato.

Il vistoso assalto al Campidoglio degli USA ora ha il suo correlato in Sudamerica. Questa domenica, una folla abbigliata con magliette ‘verdigialle’ ha fatto irruzione nelle tre sedi emblematiche del potere politico a Brasilia: il Palazzo di Planalto, il Congresso e il Tribunale Supremo.

Dopo aver rotto un assedio della polizia, i simpatizzanti dell’ex mandatario di destra Jair Bolsonaro hanno attaccato con violenza le installazioni e hanno colpito alcuni agenti che hanno tentato di contenerli.

Nei video diffusi nelle reti sociali, molti dei presenti hanno documentato i danni e le aggressioni ai funzionari di polizia, anche se sono circolate registrazioni nelle quali si vedevano gli uomini in uniforme in un’apparente atteggiamento passivo mentre i manifestanticompivano l’occupazione.

In pochi minuti di confusione e bailamme, nelle reti sociali è stata diffusa la scena delle rotonde strutture dell’architetto Oscar Niemeyer circondate da centinaia di persone che chiedevano le dimissioni del presidente Luiz Inácio Lula da Silva e un intervento militare, appena una settimana dopo che il dirigente del Partito dei Lavoratori (PT) aveva assunto il suo terzo mandato. In mezzo allo stupore, la domanda è stata la stessa: come è stata possibile questa irruzione?

Un funzionario chiave

I manifestanti, concordi con l’ex presidente del Brasile, non sono apparsi dal nulla. Da due mesi molti di loro permangono in accampamenti vicini al Quartier Generale dell’Esercito, dove si sono riuniti per non riconoscere il risultato dell’elezione più inconciliabile della storia del paese.

Sotto le teorie di una frode che non hanno potuto dimostrare, i radicali chiedono la liberazione del “codice fonte” che comproverebbe il presunto imbroglio nelle passate elezioni, che dettero la vittoria a Lula con poco più dell’ 1% dei voti.

Gli striscioni con questo messaggio hanno ondeggiato durante l’occupazione dei tre poteri, mentre il resto del paese incominciava a farsi domande sui responsabili della situazione. I primi riflettori si sono fissati sul governatore del Distretto Federale, Ibaneis Rocha, che ha affermato di aver dato l’ordine a tutte le forze di polizia di contenere i manifestanti.

Nonostante ciò, alcune ore più tardi, il governatore ha annunciato la destituzione del suo segretario della Sicurezza Pubblica, Anderson Torres, che era stato ministro della Giustizia del Governo di Bolsonaro, tra il 2021 e il 2022.

Rocha, inoltre, si è discolpato con Lula e con il resto dei poteri attaccati durante la giornata: “Quello che è successo oggi è stato inaccettabile. […] Sono veri vandali, veri terroristi”, ha detto in un video diffuso nelle reti sociali.

Rapporti della stampa locale affermano che l’attuale ex funzionario si trova in vacanza negli USA, fatto che ha provocato un’ondata di ripudio e la richiesta della Procura Generale dell’Unione (AGU) affinché sia processato come presunto responsabile delle violenze.

Bosonaro, nel frattempo, si trova negli USA. Il suo viaggio in territorio nordamericano è avvenuto alcuni giorni prima dell’atto di investitura di Lula, che non solo ha convertito l’ex mandatario nel grande assente del trapasso, ma ha suggellato il suo rotondo silenzio sulla sua sconfitta elettorale.

Intervento a Brasilia

Le parole più attese della giornata sono state quelle di Lula. Il mandatario è intervenuto per condannare il fatto “senza precedenti nella storia” del Brasile ed emettere un decreto che gli permetta di militarizzare il Distretto Federale, mediante un’intervento che sarà vigente fino al prossimo 31 gennaio.

Ricardo García Capelli, attuale segretario esecutivo del Ministero della Giustizia, è stato la persona nominata come controllore e che tra le sue attribuzione avrà la facoltà di chiedere agli organi civili e militari, dell’amministrazione pubblica federale, tutti i mezzi necessari per portare a termine il suo compito.

Lula ha difeso il decreto come una misura necessaria di fronte alla gravità degli avvenimenti, che hanno compromesso “gravemente” l’ordine pubblico, attribuendone la responsabilità anche al suo predecessore.

“Questo è anche una sua responsabilità e dei partiti che appartengono a lui [Bolsonaro]”, ha denunciato Lula, dopo aver ricordato i discorsi dell’uomo di ultradestra per attaccare i poteri dello stato. Allo stesso modo, ha affermato che se qualche membro del suo Governo ha facilitato “per omissione” la violenta azione a Brasilia, dovrà farsene carico per quanto lo riguarda davanti alla Giustizia.

Il mandatario ha anticipato che viaggerà a Brasilia per verificare la gravità dei danni causati negli edifici dei poteri pubblici, e ha garantito che questo tipo di azioni non torneranno ad avvenire.

“Io persi le elezione nell’89, io persi nel 94, io persi le elezioni nel 98, e in nessun momento avete visto dei militanti del mio partito o di sinistra fare delle umiliazioni ad un presidente della Repubblica eletto”, ha ricordato il dirigente storico del Partito dei Lavoratori (PT).

Rioccupazione, detenzioni e indagini

Dopo il discorso del presidente brasiliano, portavoce del Congresso si sono uniti alle voci di rifiuto degli atti vandalici, mente il Supremo Tribunale Federale del Brasile ha dato un sostegno alla decisione delle autorità federali nella capitale.

Poco dopo, i media locali hanno annunciato la rioccupazione delle installazioni, mentre la Polizia Civile ha confermato la detenzione di 300 manifestanti.

Nel frattempo, il Partito Liberale -che ha sostenuto Bolsonaro- si è smarcato dalle violente proteste, anche se ha rivendicato con un tono ambiguo l’accampamento di fronte al Quartiere.

“È una vergogna per tutti noi, non rappresentano il nostro partito né Bolsonaro”, ha affermato il presidente del Partito Liberale, Valdemar Costa Neto, in una dichiarazione divulgata nelle reti sociali. In questo video, il portavoce ha affermato che i movimenti di cui sono stati protagonisti i militanti bolsonaristi “sono stati tutti pacifici”.

Ma al di là delle voci della scena politica brasiliana che sono uscite a rifiutare la violenza, durante la giornata ha spiccato la reazione internazionale nel sostenere il Governo entrante. Paesi come Venezuela, Messico, Ecuador, Cuba, Cile, Bolivia, Argentina, Colombia e Spagna sono stati i primi a pronunciarsi per condannare l’irruzione del bolsonarismo contro i tre poteri e denunciare, anche, l’atteggiamento antidemocratico delle manifestazioni.

“Come presidente della CELAC e del Mercosur, metto in allarme i paesi membri affinché ci uniamo in questa inaccettabile reazione antidemocratica che cerca di imporsi in Brasile”, ha detto il presidente argentino, Alberto Fernández.

Così, a meno di una settimana dall’aver assunto il suo terzo mandato, Lula affronta la sua prima grande crisi politica con un movimento che mostra i muscoli per rivelare la frattura politica del Brasile, mentre il capo di una parte della frattura si trova negli USA.

(*) Link all’articolo originale: https://comitatocarlosfonseca.noblogs.org/post/2023/01/09/brasile-trumpismo-made-in-brasile-lassalto-del-bolsonarismo-che-ha-provocato-un-intervento-federale-a-brasilia/

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *