Il rimedio di Frantz Fanon contro il razzismo

di Mamadou Ba, migrante senegalese residente nel Portogallo, attivista antirazzista, docente del Centro di Studi Sociali dell’Università di Coimbra

Sì alla vita. Sì all’amore. Sì alla generosità. Ma l’uomo è anche un no. No al disprezzo dell’uomo. No all’indegnità dell’uomo. Allo sfruttamento dell’uomo. All’assassinio di ciò che c’è di più umano nell’uomo: la libertà. […] Io sono un uomo, ed è tutto il passato del mondo che devo riprendere. Ogni volta che un uomo ha fatto trionfare la dignità dello spirito, ogni volta che un uomo ha detto no a un tentativo di schiavizzazione del suo simile, mi sono sentito solidale con il suo atteggiamento. Io, uomo di colore, voglio solo una cosa: che non ci sia mai più schiavizzazione dell’uomo da parte dell’uomo.

Frantz Fanon, in Pelle nera, maschere bianche

Lo scorso 20 luglio Frantz Fanon avrebbe compiuto 100 anni. Nato martinicano e morto algerino, molto giovane, il 6 dicembre 1961. Ha rispettato alla lettera l’impegno dell’umanesimo rivoluzionario, che rifiuta di scendere a compromessi con la difesa dell’inviolabilità della dignità umana di tutti i popoli e in qualsiasi contesto. Nel 1943, all’età di 17 anni, di fronte alla minaccia nazista, Fanon si arruolò nella Resistenza francese.

Autore di una vasta opera che comprende saggi su riviste scientifiche, opere teatrali, testi letterari e politici, fu teorico e attore della lotta contro il dominio coloniale, la fondazione della sottomissione razziale e la sua perpetuazione politica e culturale. Come medico nell’ospedale psichiatrico di Blida-Joinville, consapevole dell’impatto dell’alienazione sui pazienti causata dalla disumanizzazione, Fanon si impegna a rivoluzionare la pratica medica attraverso la socioterapia, mettendo la persona al centro delle preoccupazioni.

Il confronto con questa violenza rafforza le sue convinzioni anticoloniali e lo porta a schierarsi a favore della lotta per l’indipendenza dell’Algeria, il che gli costa l’espulsione dal paese e lo spinge a unirsi al Fronte di Liberazione Nazionale algerino.

Non si limitò ad analizzare sul divano, nella produzione teorica e nella pratica politica, la patologia coloniale in tutte le sue espressioni materiali e soggettive: si unì alla lotta armata; divenne ambasciatore del governo provvisorio della Repubblica d’Algeria in Ghana (guidato da Kwamé N’krumah), uno dei primi paesi africani a conquistare l’indipendenza. Quindi, proprio come aveva fatto a 17 anni contro il nazismo, Fanon si è mobilitato fisicamente e intellettualmente nella lotta per la totale liberazione dal giogo coloniale, sia sul fronte armato che su quello diplomatico. Ha mobilitato tutti i campi delle scienze per studiare e smantellare i fondamenti della psicosi collettiva che mobilita la razza come elemento strutturante dei rapporti di potere costruiti dall’ordine coloniale.

L’opera di Fanon ha segnato tutti i movimenti di liberazione coloniale e razziale, influenzando in modo decisivo l’analisi delle radici della produzione, del mantenimento e dei meccanismi di sopravvivenza del razzismo come forma sofisticata di disumanizzazione e leva del suprematismo e della “nevrosi razziale collettiva”, costitutiva dell’ordine coloniale e strumento di sottomissione razziale.

La supremazia bianca è, nella sua prospettiva, un’alienazione che sedimenta la gerarchizzazione umana, una patologia sistemica che costituisce un fallimento dell’idea stessa di umanità. È fuori discussione conciliare la dignità umana con il mantenimento del progetto coloniale e della dottrina razziale, perché, come scrive in Pelle nera, maschere bianche«la sventura dell’uomo di colore è quella di essere stato ridotto in schiavitù. La sventura e l’inumana crudeltà del bianco sono quelle di aver ucciso l’essere umano da qualche parte”.

La sua lotta è stata, e continua ad essere, per un progetto di umanità spogliato dal fantasma della categorizzazione razziale come definitore del valore della condizione umana. È a questo che si riferisce in I dannati della terra“Io, l’uomo di colore, voglio solo una cosa: che lo strumento non domini mai l’essere umano. Che cessi per sempre la sottomissione dell’uomo da parte dell’uomo. Cioè, di me da parte di un altro. Che mi sia permesso scoprire e amare l’essere umano ovunque si trovi. Il nero non esiste. Così come non esiste il bianco”.

Contrariamente alle accuse infondate di chiusura identitaria e di esaltazione vendicativa del suo pensiero, Fanon mise in guardia contro ogni pretesa di isolazionismo o monolitismo culturale. Avvertì i nuovi leader dei paesi un tempo colonizzati che, molto più che cristallizzare il problema della liberazione coloniale sulla dimensione epidermica dei soggetti politici, il problema sarebbe stato conoscere il posto riservato al popolo: «Il tipo di relazioni sociali che decidono di instaurare, la concezione che hanno del futuro dell’umanità. È questo che conta. Tutto il resto è letteratura e mistificazione». È un pensiero luminoso contro le tenebre della menzogna coloniale: «Il compito delle decolonizzazioni è anche quello di distruggere la menzogna coloniale, di liquidare le falsità inscritte nel corpo del colonizzato dall’oppressione», come scrive in Anno V della rivoluzione algerina.

Fanon propone di uscire dalla “zona del non essere”, dove il colonialismo e il razzismo hanno confinato i neri, e rifiuta il determinismo biologico e politico che vuole rendere i neri “schiavi della schiavitù che ha disumanizzato i loro antenati”. Sapeva che non c’è salvezza senza rompere con l’umanesimo eurocentrico occidentale alla luce delle sue ombre quando afferma: “Vogliamo che l’umanità salga di un altro gradino, se vogliamo portarla a un livello diverso da quello a cui l’Europa l’ha manifestata, allora bisogna inventare, bisogna scoprire. (…) Per l’Europa, per noi stessi e per l’umanità, è necessario cambiare i procedimenti, sviluppare un nuovo pensiero, cercare di mettere in piedi un uomo nuovo”.

Al centro delle sue preoccupazioni c’è la salvezza dell’umanità, possibile solo superando un modello di società fondato sulla violenza esercitata su coloro che sono stati costruiti come altri, privati della dignità umana e a cui viene negato qualsiasi sentimento di coscienza etica sull’inaccettabilità della violenza coloniale e razziale. Il fatalismo biologico e manicheo che colloca bianchi e neri tra la «zona dell’essere» e la «zona del non essere» è di esclusiva responsabilità della dottrina coloniale che ha investito nella «razzializzazione del pensiero» e della pratica politica e ha fatto del colono bianco lo strumento di perpetuazione di questo immaginario letale dell’umanesimo illuminista europeo.

Consapevole della necessità di uscire dall’ordine coloniale e sostituirlo con un nuovo umanesimo, Fanon ha dichiarato che “l’uomo colonizzato che scrive per il suo popolo [per tutti i popoli, aggiungo] deve, quando utilizza il passato, farlo con lo scopo di aprire il futuro, invitare all’azione, fondare la speranza”. In tutta la sua opera, Fanon mostra come il colonialismo abbia dovuto fabbricare il soggetto nero senza soggettività, contenuto etico o morale, in opposizione alla bianchezza (basata sull’esclusivo umanesimo eurocentrico), per «definire i propri limiti, designare l’umanità come una conquista [esclusivamente sua] e dare forma alla categoria di animale», come sottolinea la ricercatrice Zakiyyah Iman Jackson. In altre parole, come il colonialismo, partendo dal razzismo, ha definito chi fa parte dell’umanità e chi no.

Il colonialismo è un apparato di morte simbolica e fisica dell’umanità del soggetto colonizzato. La decolonizzazione degli spiriti e delle pratiche, ieri e oggi, è l’assunzione che la permanenza della colonialità è inconciliabile con la vita di coloro che hanno saccheggiato, soggiogato e ucciso. La morte del colonialismo è quindi indispensabile per rifondare il progetto umano per salvare l’umanità, restituirla dove è stata negata e difenderla intransigentemente dove e ogni volta che è minacciata. È di questo che parla Fanon quando dice che «la decolonizzazione è semplicemente la sostituzione di una “specie” di uomini con un’altra “specie” di uomini». La decolonizzazione è la sostituzione del soggetto colonizzato e colonizzatore dell’ideologia della disumanizzazione e della sottomissione con un soggetto umano libero. In sintesi, il compito è «cercare di mettere in piedi un uomo nuovo».

Il pensiero di Fanon, essendo una negazione della negazione dell’umanità del soggetto coloniale, è l’antitesi della rassegnazione al fardello coloniale e al suo corollario, la razzializzazione. Recentemente, una mia dichiarazione ha suscitato un sentimento di affiliazione al «uomo bianco colonialista, razzista e assassino» al punto da provocare grande commozione collettiva nello spazio pubblico, il che dimostra che l’immaginario coloniale persiste nelle nostre società e che il fantasma della gerarchia razziale lo oscura.

Dimostra anche che la visione di Fanon è ancora da realizzare: “La morte del colonialismo è allo stesso tempo la morte del colonizzato e la morte del colonizzatore”. Il colonialismo non muore solo per la liberazione politica e soggettiva del colonizzato se il colonizzatore non lo uccide in sé, politicamente e soggettivamente. Il pensiero di Fanon rifiuta le vie facili, ci esorta a non rassegnarci mai quando la dignità è minacciata. Era risolutamente contrario allo status quo. La volontà di interrogare e sfidare costantemente la realtà è ben rappresentata nell’ultima frase di Pelle nera, maschere bianche«La mia ultima preghiera: o mio corpo, rendimi sempre un uomo che interroga!». Sapeva che solo così la ribellione dello spirito di libertà contro la povertà della certezza della servitù avrebbe potuto trionfare.

L’eredità di Fanon è una farmacia attuale e necessaria per curare il determinismo biologico che stratifica e fissa le persone in base al colore della loro pelle o alla loro cultura, ma soprattutto per sconfiggere il suprematismo bianco che ha strutturato tutti i suoi privilegi accumulati nel corso della storia a partire dall’idea di superiorità razziale.

da qui

Segnaliamo alcuni link della recente discussione in “bottega”: Suprematismo: «solo l’Occidente conosce la Storia» (due articoli di Gigi Sartorelli e Renata Pepicelli), Suprematismo occidentale 2: bugie scioviniste di… (da Radio Città Fujiko), Suprematismo occidentale / 3 : «Quella piazza mi ha sconvolta» (di Djarah Kan), Suprematismo occidentale/4 : ma il 12 ottobre vi… (con le riflessioni di Lance Henson) e Occidente? Oriente? No: Occiriente (di Sergio Sinigaglia)

La vignetta qui sopra è di Chief Joseph.

 

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