Intervista a Alessandra Daniele – 1

di Mauro Antonio Miglieruolo

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Questa volta il ritardo con la quale inserisco nel blog l’intervista a Alessandra Daniele non è dovuto a malattia, anche se in verità ho dovuto scontare almeno altri dieci giorni di un ritorno d’influenza; e al fermo del computer che, oltre a indurre dispiacere in Daniele Barbieri, ha avvilito me stesso con la costrizione a saltare un paio di appuntamenti mercolediani nel suo blog. Questa volta il ritardo è dovuto al dilemma provocato dal tanto da dire sulla grande scrittrice siciliana rispetto al nulla di adeguato che, ogni volta che tentavo, m’usciva dalla biro.* * *

A

Sollecitato e direi pure giustamente ripreso dall’altra Alessandra, Alessandra Cecchi, che ha fatto da tramite, sono costretto ora a rimediare; e veder bene che in fondo quell’impotenza non era altro che rifiuto  di dar conto della scrittrice (considero, e mi tengo sul prudente, ve ne siano poche – e pochi – alla sua altezza in Europa), prima di aver  detto della persona. Il problema è che di quest’ultima ben poco so. Anzi, quasi nulla. Mentre, a causa del molto che traspira dai suoi scritti, moltissimo invece avrei voluto sapere. Non a caso, non appena ricevuto risposta alla domande che le avevo rivolto, risposte brevi, come è nel suo stile, chiare e precise come non è nel costume di tanti (politici e non), ho provato un disagio che non ho saputo nascondere. Perché ai miei occhi (miopi) creava un mistero nei confronti di una persona che misteriosa non è (che è tutta chiara e trasparente, invece); e perché non forniva strumenti sufficienti a costruire il ritratto a tutto tondo agognato dai miei vizi intellettuali; un ritratto cioè che, per quanto sintetico, fosse ricco di altrettanti elementi di quanti potevano e possono esser tratti dall’ormai cospicuo corpo di sue scritture. Mi si dice che è Alessandra Daniele è persona riservata. Una rarità. Non oggi, sempre. Io dico di più: che è persona di forte e fondate amicizie, che non è bene deludere (lei mai delude il suo pubblico). Ed io uno, considerando quel che qui considero, palesemente fuori di testa. In questo coerente sempre con me stesso.

Ed eccomi, dopo aver tanto tergiversato, all’obbligo che mi sono assunto di parlare dell’artista; e di parlarne all’interno di una forma che chiede soprattutto all’artista di parlare di se stesso. E però sempre dopo che l’intervistatore curioso, più appassionato che curioso, ne abbia parlato. Il minimo necessario almeno per inquadrarlo nella temperie culturale dei nostri tempi. Esporre di lei l’essenziale che si vede, ma non tutti riescono a sintetizzare e spiegare. Per esempio, come è potuta sorgere una scrittrice di tale vaglia, e di tanta affabile sintetica leggibilità, in un paese dove la parola è tutto e il contenuto nulla? Dove, come diceva Gramsci, osservazione valida ancora oggi, gli intellettuali si sentono più vicini a Annibal Caro che ai contadini delle loro terre? In Italia, salvo qualche eccezione, o si scrive come nei discorsi da bar, oppure in uno stile già classico, virtuoso, invecchiato prima ancora di entrare nei programmi delle case editrici. Da statua equestre; o cranio di personaggio austero, la testa austera essa stessa, collocata su una stelle in quel di Villa Borghese.

E invece Alessandra Daniele, che gioia leggerla, che spasso e che insegnamenti! Con modalità proprie fonde l’una e l’altra dimensione, senza essere né nell’una, né nell’altra; accedendo a un livello che dovrei spendere molte parole per definirlo; definizione che invece Alessandra Cecchi – interpellata – realizza con un semplice, elementare “è un genio”, che non lascia spazio ad altro che dire, sì, è proprio così, Alessandra Daniele è un genio; un genio capace di creare una forma di letteratura profonda, brillante e creativa che costituisce un tutt’uno permanente di satira, racconto, saggio, sdegno e impegno civile; con un di più di brevità molto poco praticato, una brevità che neppure Charles Bukowsky ha saputo realizzare; una brevità che mentre nulla toglie alla completezza del discorso, serve a scolpire con forza nell’intelligenza delle persone il senso ultimo di ciò che è scritto. Il messaggio, i valori, lo spirito che li guida.

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Adesso passiamo al sodo. Dalle mie chiacchiere alle parole di Alessandra Daniele.

Avido come sono dell’argomentare della scrittrice, ho deciso di riportare sia il poco dell’intervista – fatta a tappe – iniziata l’anno scorso e mai conclusa sia le risposte (brevissime) di quest’anno. Ritengo che molto guadagnerà chi vorrà leggerle riflettendoci sopra. Attraverso questa riflessione chi legge meglio comprenderà l’autrice e determinati aspetti delle problematiche relative alle scritture.

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LEGENDA: I paragrafi in corsivo sono dell’intervistatore (prolisso); quelle in caratteri normali sono di Alessandra Daniele (concisa). Tutta mia la soddisfazione per aver portato a compimento un compito che da me mi ero dato. La troverete divisa in tre parti sul blog di Daniele Barbieri e su quello di Mauro Antonio Miglieruolo.

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Cominciamo dalla bibliobiografia:

Sono palermitana, appassionata di fantascienza da sempre, e dal 2006 sono fra i redattori di Carmilla, per la quale ho scritto centinaia fra articoli e racconti. Ho collaborato con un racconto ciascuno a tre raccolte cartacee: due progetti collettivi Creative Commons che ho contribuito a ideare, Sorci Verdi (Alegre, 2011), e Scorrete lacrime, disse lo sceriffo (Crash, 2008), e l’antologia urban horror Sinistre Presenze (Bietti, 2013) ). Ho pubblicato due diverse raccolte dei miei testi carmilliani: Schegge Taglienti (Agenzia X, 2014), e l’ebook gratuito L’Era del Cazzaro (Carmilla, 2016) EPUB, MOBI, PDF .
Parlo poco di me perché credo che chi scrive non debba ”impallare”, cioè oscurare col proprio ego quello che scrive. Il rischio principale è che ciò che si scrive perda forza autonoma, diventi secondario e accessorio rispetto all’immagine dell’autore, come un commento a una foto.

Quali autori leggi con più piacere e quali ritieni abbiano influenzato la tua scrittura.

Gli autori della Golden Age della fantascienza come Robert Sheckley, Fredric Brown, Richard Matheson, e Philip K. Dick che considero fondamentale anche per la mia formazione politica. Lo stile è asciutto e diretto, privilegia il contenuto, ma non è sciatto come alcuni pensano, al contrario è un meccanismo perfetto che scatta come una tagliola, e arriva esattamente dove vuole arrivare.

Ho anche un modello di riferimento che non è strettamente letterario: la migliore commedia all’italiana anni ’60 per la sua capacità di dire con apparente leggerezza delle cose feroci, tragiche e verissime sull’Italia e sulla natura umana sempre attuali. Penso a film come Il Boom, I Mostri, Il Sorpasso, Il Vedovo.

Quale è la tua opinione sul tuo modo di scrivere e come ci sei arrivata (a questo modo di scrivere). Hai sempre prodotto pezzi sintetici e nello stesso tempo intensi ed esaurienti?

 Quando scrivo la mia intenzione è mostrare. Il punto di vista che adotto nei racconti è infatti quasi sempre impersonale come l’occhio d’una telecamera. Anche nei corsivi cerco di mostrare invece di enunciare, evoco immagini. Il mio stile è una scelta, ma è anche nella mia natura. È il mio modo naturale di scrivere da sempre, ma questo non vuol dire che non richieda elaborazione. La prima stesura dei miei pezzi mi prende pochi minuti, però è sempre un po’ più lunga e verbosa della versione definitiva, il lavoro di potatura e sintesi successivo è il più impegnativo.

Un’ultima (per il momento) domanda: la tua “visione del mondo” alias  formazione ideologica; e, se l’hai, quella politica.

 Le mie idee politiche sono abbastanza evidenti da quello che scrivo, io sto a sinistra e ritengo la distinzione fra destra e sinistra più sensata e necessaria che mai. Anche le mie idee derivano sia dalle mie letture ed esperienze, che dalla mia natura.

Schegge taglienti è in mio possesso. Un libro strano. Legato alla cronaca, ritengo potrà essere letto con divertimento e profitto anche fra una trentina di anni, quando i protagonisti dell’attuale scena politica saranno in un cronicario.  Cosa significa sinistra per te? Te lo chiedo perché è facile porsi a sinistra rispetto al renzismo o il berlusconismo, ma il riformismo del vecchio PCI era o meno di sinistra? Lo era e lo è il berlinguerismo? lo è il veltronismo?

 Non mi pare ci sia più niente di sinistra da almeno 40 anni nel PCI-PD, prima complice della DC e del PSI, e stalinista verso i movimenti, e poi alfiere del neoliberismo e del neocolonialismo. Renzi non è altro che l’attuale incarnazione, la conseguenza logica di quel percorso. Sinistra significa innanzitutto antifascismo, e qui non mi riferisco soltanto al  fascismo storico e al neofascismo comunemente inteso, razzista, guerrafondaio, eccetera, ma anche al neofascismo mercatista, cioè quel neoliberismo che condivide la dottrina della disuguaglianza, fondamentale tratto distintivo del fascismo, in forma di classificazione degli esseri umani in base al loro prezzo di mercato, come scatolette, o polli surgelati. È un feroce totalitarismo tecnocratico mascherato da democrazia.

Sinistra è combattere il fascismo. Sia quello nazionalista, che quello globalista, che oggi si contendono il pianeta

(in “bottega” segue domani giovedì 11 maggio 2017, sempre ore 9)

 

Alessandra Daniele su Carmilla tiene una sua rubrica intitolata “Schegge taglienti”, il cui link è: https://www.carmillaonline.com/categorie/schegge_taglienti/

 

 

 

Miglieruolo
Mauro Antonio Miglieruolo (o anche Migliaruolo), nato a Grotteria (Reggio Calabria) il 10 aprile 1942 (in verità il 6), in un paese morente del tutto simile a un reperto abitativo extraterrestre abbandonato dai suoi abitanti. Scrivo fantascienza anche per ritornarvi. Nostalgia di un mondo che non è più? Forse. Forse tutta la fantascienza nasce dalla sofferenza per tale nostalgia. A meno che non si tratti di timore. Timore di perdere aderenza con un mondo che sembra svanire e che a breve potrebbe non essere più.

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