La nuova fase di privatizzazione dei CPR…
… e le sue conseguenze.
di Marika Ikonomu, Alessandro Leone, Simone Manda (*)
Nonostante il sistema abbia dimostrato di non funzionare, i centri di trattenimento per migranti sono sempre più foraggiati. Per ridurre i costi, sono subentrati degli attori privati, sempre più grandi.
Nel 2006, Giuliano Amato, all’epoca ministro dell’Interno del governo Prodi, delega alla commissione guidata da Staffan De Mistura – formata da soggetti del ministero e del terzo settore – un’indagine sul sistema di detenzione amministrativa per i cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno e sui loro centri, i Cpta, i Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza. La commissione avrebbe dovuto valutare le condizioni di sicurezza e la situazione di vivibilità dei centri e formulare proposte sulle possibili strategie future. Il 31 gennaio 2007, dopo sei mesi di lavoro, la commissione presenta il suo rapporto al Viminale, dichiarando la volontà di superare i Cpta, «attraverso un processo di svuotamento graduale dei centri».
Dal 1998 a oggi abbiamo invece assistito al potenziamento della detenzione amministrativa e a un’evoluzione nella gestione, diventata privata perché meno costosa.
I Cpta hanno avuto molte trasformazioni e oggi sono divenuti Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Le criticità sono però rimaste le stesse evidenziate dalla commissione De Mistura: un sistema che «non risponde alle complesse problematiche del fenomeno», «non consente una gestione efficace dell’immigrazione irregolare», «comporta costi elevatissimi con risultati non commisurati» e «disagi alle forze dell’ordine, nonché disagi e frustrazioni alle persone trattenute».
Nati nel 1998 con la legge Turco-Napolitano, per i primi dieci anni circa i Cpr vengono gestiti dalla Croce Rossa, all’epoca ente pubblico, per poi nel 2008 aprirsi ai privati per diminuire i costi di gestione. Anche durante il periodo di gestione pubblica diversi rapporti delle Ong hanno denunciato le pessime condizioni di trattenimento.
La Coalizione Italiana Libertà e diritti civili (Cild) nel rapporto Buchi Neri. La detenzione senza reato nei Cpr del 2021, per esempio, parla di «un sistema eccessivamente oneroso, inutilmente vessatorio e drammaticamente inumano». «La detenzione amministrativa rappresenta il più importante strappo alla nostra Costituzione dal dopoguerra – spiega Salvatore Fachile, avvocato dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi).
L’idea, che conosciamo benissimo dal regime fascista e da altri regimi autoritari, per cui una persona può essere privata della libertà personale, il bene più importante dopo la vita, per ragioni di tipo amministrativo e logistiche». Si tratta infatti di una deroga alle norme costituzionali che prevedono che la libertà personale possa essere limitata solo con un provvedimento dell’autorità giudiziaria, un giudice togato.
Per i cittadini stranieri, invece, il sistema ha creato livelli di garanzie differenti, dando la competenza al Giudice di pace, un magistrato onorario che per i cittadini italiani non può condannare a pene detentive. Questa figura non rappresenta un vero contrappeso, spiega l’avvocato di Asgi, «perché gli vengono dati pochi poteri, non può entrare nel merito e non ha l’indipendenza tipica della magistratura». Non c’è neppure un magistrato dell’esecuzione, come per il carcere, che monitori «i diritti della persona nel Cpr».
A delineare le modalità della detenzione nei centri, inoltre, è un regolamento ministeriale, che non offre strumenti per far valere i propri diritti, segnalare mancanze o violazioni da parte delle istituzioni o degli enti gestori privati.
Un sistema che si basa sulla prassi e non su norme
«Nel carcere hai una vita dignitosa, per quanto possibile. Sei detenuto, ma comunque hai la tua dignità. Nel Cpr ti tolgono tutto, o almeno ci provano», ha raccontato Anthony nella seconda puntata della serie #CprSpa.
Come lui, molte altre persone passate anche dal carcere pensano che il Cpr sia molto peggio. È un sistema, infatti, molto poco disciplinato. La detenzione ha regole molto precise, poteri e azioni delineati in modo dettagliato. Una serie di contrappesi che nel sistema Cpr non esistono. Le norme labili, le poche garanzie e l’opacità che caratterizza il sistema dei Cpr sono, per Fachile, «un obiettivo preciso dei vari governi, la possibilità quindi che una parte dello Stato, il potere esecutivo, possa avere ampi margini di manovra, distaccarsi anche impunemente dalle regole che ci sono e avere ridotte possibilità di essere controllato».
Ne è un esempio l’area del Cpr di Torino, l’Ospedaletto, che per molti anni ha avuto la funzione di isolamento, e dove tra il 2019 e il 2021 sono morte due persone. Giustificata con le esigenze sanitarie, la zona «veniva impiegata anche per altri scopi sinteticamente riconducibili a problemi di convivenza tra le persone trattenute o a ragioni di sicurezza/mantenimento dell’ordine», ha scritto il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale dopo la visita al centro del 14 giugno 2021, mettendo in dubbio la legittimità delle prassi.
Le misure di isolamento nei contesti detentivi, ricorda il garante, devono essere previste da una norma specifica, avere un limite massimo di durata, consentire di contestare la misura. «Garanzie che devono ancor più essere assicurate e rafforzate in un contesto – quale quello del trattenimento – che dovrebbe essere totalmente privo di connotazione punitiva e afflittiva», si legge nel rapporto. Un sistema dunque, quello dei Cpr, che si basa essenzialmente sulle prassi, diverse in base alla struttura, alla Prefettura competente e all’ente gestore.
Privatizzare la detenzione