L’America latina per depenalizzare l’aborto

Gruppi di lavoro, proposte di legge, manifestazioni e iniziative in Messico, Venezuela, Cile e Perù sull’onda del risultato ottenuto in Argentina.

di David Lifodi

                                                        Foto: https://inredh.org/

Il vento della depenalizzazione dell’aborto, dopo l’esempio dell’Argentina, sembra spirare forte anche in altri paesi dell’America latina: dal Messico al Venezuela, dal Cile al Perù, cresce la mobilitazione dei movimenti femministi e della società civile.

In Messico, lo scorso 28 settembre, buona parte delle deputate del partito governativo Morena (Movimiento Regeneración Nacional) hanno aderito al Día de Acción Global por el acceso al Aborto Legal y Seguro e la Suprema Corte di Giustizia ha dichiarato incostituzionale la criminalizzazione dell’aborto.

Finora, in Messico, solo quattro stati autorizzano l’aborto volontario entro le prime dodici settimane di gestazione senza alcuna conseguenza dal punto di vista penale: Ciudad de México, Oaxaca, Veracruz e Hidalgo.

Le deputate di Morena hanno sottolineato che la battaglia per l’aborto legale non obbliga le donne ad abortire, ma permette loro di scegliere autonomamente senza dover sottostare ai medici che invocano l’obiezione di coscienza.

Tuttavia, il percorso resta accidentato. Se la maggioranza di Morena sostiene con forza la depenalizzazione dell’aborto, dalla bancada della destra panista (Partido de Acción Nacional, di orientamento conservatore e cattolico) è arrivato un rifiuto totale a modificare la Ley General de Salud per inserire la normativa sulla depenalizzazione dell’aborto.

Anche in Cile, pur tra mille difficoltà, avanza un progetto per la depenalizzazione dell’aborto, attualmente riconosciuto dallo Stato solo per tre opzioni: violenza sessuale, gravi malformazioni del feto e rischio di morte per la donna. Aldifuori di questi tre scenari si materializza una condanna tra i 3 e i 5 anni di prigione.

La Democrazia cristiana cilena, nota per rappresentare i valori più conservatori della società, ha dovuto comunque ammettere che l’aborto è una realtà nel paese, indipendentemente dalle convinzioni personali su questo tema. A tale proposito, il Partito comunista cileno ha ricordato che la criminalizzazione dell’aborto ha come unico risultato quello di far crescere le interruzioni di gravidanza clandestine e favorire una situazione di illegalità.

In Cile l’aborto era stato del tutto proibito nella fase finale della dittatura pinochettista, prima della parziale depenalizzazione all’epoca della seconda presidenza di Michelle Bachelet (2014-2018).

Attualmente, segnalano le femministe cilene, i casi di aborto clandestino sono in costante crescita. In mancanza del diritto libero e gratuito ad abortire, solo fino al 2017 si erano verificati circa 70.000 aborti clandestini.

La destra cilena, sotto questo punto di vista, continua a non sentirci, si appella al “diritto alla vita” e non si cura di gran parte dei sondaggi che assegnerebbero ai favorevoli alla depenalizzazione una percentuale intorno al 73% dei consensi rispetto ad un solo 7% che si dichiara totalmente contrario all’aborto e ad un 12% che lo ammetterebbe soltanto nei casi stabiliti adesso dalla legge.

Sull’onda delle mobilitazioni in Messico e in Cile si è mossa anche la la Ruta Verde de Venezuela, che raccoglie i movimenti femministi del paese ed ha promosso un’agenda di lavoro che prenda in considerazione “la depenalizzazione legale e sociale dell’aborto”, ancora del tutto vietato in paesi come Haiti, Honduras, Nicaragua e Repubblica dominicana.

Ad oggi l’aborto rappresenta la terza causa di morte materna in Venezuela e gli aborti clandestini sono in crescita soprattutto tra le fasce sociali più povere del paese. Almeno per i casi in cui sia a rischio la vita delle donne, siano evidenti le malformazioni del feto o nei casi di violenza sessuale è forte la mobilitazione affinché alle donne sia permesso di decidere liberamente sul proprio corpo e sulla propria vita.

Nonostante la difficile situazione politica che sta vivendo il Perù, anche nel paese andino, lo scorso 1° ottobre, le organizzazioni femministe, insieme alla congressista di Juntos por el Perú Ruth Luque hanno annunciato di lavorare ad un progetto per la depenalizzazione dell’aborto diretto a modificare l’articolo 119 del Codice penale, affinché riconosca l’interruzione volontaria di gravidanza come non punibile.

Nel solo 2020 quasi 9.000 donne hanno chiesto informazioni su come poter abortire durante il lockdown dovuto al Covid-19 in un paese dove ogni anno si verificano oltre mille casi di aborti tra adolescenti in età tra i 12 e i 17 anni.

Anche in Perù la depenalizzazione dell’aborto si fa ogni giorno più urgente: qui, come in tutto il resto dell’America latina, le interruzioni di gravidanza clandestine mettono a rischio la vita di migliaia di donne e adolescenti.

Un motivo in più perché la marea verde (il colore da cui è partita la mobilitazione per la depenalizzazione in Argentina) raggiunga presto anche Perù, Messico, Cile e Venezuela.

David Lifodi
Sono nato a Siena e la mia vera occupazione è presso l'Università di Siena. Nel mio lavoro "ufficioso" collaboro con il sito internet www.peacelink.it, con il blog La Bottega del Barbieri e ogni tanto pubblico articoli su altri siti e riviste riguardo a diritti umani, sindacalismo, politica e storia dell’America latina, questione indigena e agraria, ecologia.

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